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La potente banca d'affari Goldman Sachs, dove Mario Draghi ha lavorato dal 2002 al 2005, ha pubblicato una ricerca sull'impatto delle elezioni del presidente della Repubblica sull'economia italiana. Se Draghi lasciasse il governo per il Quirinale, le riforme rallenterebbero. Tra gli economisti che firmano lo studio c'è anche l'italiano Filippo Taddei, prima impegnato nella sinistra Pd, poi consigliere economico di Matteo Renzi
LO STUDIO DI GOLDMAN SACHS SUI RISCHI DEL PASSAGGIO DI DRAGHI AL QUIRINALE
Stefano Lepri per “la Stampa”
Un grafico con tre linee colorate sostiene che per l'economia italiana sarebbe meglio se Mario Draghi restasse a Palazzo Chigi. Se invece salisse al Quirinale, l'attuazione del Recovery Plan rallenterebbe; ritarderebbe ancor più se poi si andasse ad elezioni anticipate. La differenza si sentirebbe poco quest' anno, molto nei due successivi. Fa notizia anche che questa analisi arrivi dalla potentissima banca d'investimento Goldman Sachs, dove Draghi ha lavorato dal 2002 al 2005.
Fa notizia anche che tra gli otto economisti di varie nazionalità che la firmano ce ne sia uno che la politica italiana la conosce bene, Filippo Taddei, prima impegnato nella sinistra Pd, poi consigliere economico di Matteo Renzi. Ma si può anche prenderla come segnale di valutazioni che circolano non soltanto dentro Goldman Sachs, anche in altri grandi operatori sui mercati finanziari.
Si teme l'incertezza, invece si vede stabilità continuando come prima, dato che le doti di Draghi finora sono apparse più appropriate a un capo del governo, benché il prestigio adatto a un capo dello Stato non gli manchi. Con ironia, il dilemma viene riassunto dalla nota canzone dei Clash, vecchia di quarant' anni ma ancora un pezzo forte nelle discoteche, «Should I stay or should I go».
Alla fine, il responso è che nel combinarsi delle convenienze dei vari partiti è leggermente più probabile lo «stay», ossia che Draghi rimanga presidente del Consiglio, piuttosto che «vada» al Quirinale. Mica facile, però continuare: «guidare il governo nel 2022 molto probabilmente si rivelerà più impegnativo che nel 2021» per l'ovvio motivo che le tensioni fra i partiti della eterogenea coalizione si faranno più aspre avvicinandosi alla fine della legislatura.
Già nella legge di bilancio 2022 Draghi è stato costretto a inserire misure anti-crescita come pensioni anticipate e superbonus. Gli resta solo la forza di essere, per i partiti, insostituibile. A sostenere il ragionamento c'è una stima sui numeri dell'economia. Già nella migliore delle ipotesi a fine anno l'Italia, a causa delle ben note lentezze e inefficienze, sarà riuscita a spendere solo il 60% dei 39 miliardi di euro di sovvenzioni europee (la parte più ambita di NgEu, quella che non si dovrà restituire).
Con Draghi al Quirinale e i tempi di formazione di un nuovo governo si calerebbe al 30%, in caso di voto anticipato forse addirittura sotto al 15%, verso il 10%. Insomma, meno soldi in giro, meno posti di lavoro. Chissà però se gli economisti di Goldman Sachs hanno riascoltato bene il testo di quella canzone. Verso la fine dice: «If I go there will be trouble, if I stay it will be double». Ovvero: se vado sono guai, se resto sono doppi guai.
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