
DAGOREPORT - LA CAPITALE DEGLI AFFARI A MISURA DUOMO, A CUI IL GOVERNO MELONI HA LANCIATO L’ANATEMA…
1- MARONI SFIDA I COLONNELLI LEGHISTI: «MI ISOLANO, MA LA BASE à CON ME»...
Paolo Bracalini per "il Giornale"
«Osannato dai militanti e isolato da certi colonnelli... è uno splendido isolamento». La battuta fatta da Maroni col suo cerchio (non magico) di fedeli, rende l'idea della situazione dentro al comando generale del Carroccio, quello dei colonnelli e del generale Umberto.
L'ex ministro ha ottenuto un plebiscito dalla base leghista, con 320 sezioni che l'hanno invitato nonostante il divieto di via Bellerio, ma tra i capi della Lega non trova altrettanti consensi, anzi il contrario. Bossi sospetta di lui, del suo protagonismo, della popolarità tra i militanti. Ma sono soprattutto gli altri capi che non vedono affatto di buon occhio l'ultimo Maroni «movimentista».
A cominciare dal suo eterno rivale per la successione, Calderoli, che di fronte al diktat non avrebbe mosso un dito, assecondando la decisione-bavaglio del capo, davanti ad una platea di trenta coordinatori provinciali riuniti nel nazionale (così si chiama la direzione politica della Lega lombarda) e allibiti dal divieto di comizi deciso per Maroni. Il bergamasco non viene considerato vicino al «cerchio magico», ma neppure a Maroni, anzi molti pensano che non si straccerebbe le vesti se «il Bobo» venisse fatto fuori.
E pure Roberto Castelli non condivide la linea «ribelle» di Maroni, anche se lo ha sentito a lungo per telefono consigliandogli prudenza (sono vecchi amici). L'ex ministro di Lecco comunque un segno di vita pare l'abbia dato, cercando di calmare i segretari provinciali, molti dei quali maroniani e quindi sul piede di guerra, assicurando che «se conosco il rapporto tra Maroni e Bossi si parleranno e faranno pace», cosa che poi in qualche modo è avvenuta, anche se più che pace è tregua armata.
Maroni (che da Fazio a RaiTre ha detto «a qualcuno ai vertici non sto simpatico») però non ha apprezzato questa prudenza (i maroniani più hot dicono invece «pavidità ») dei colonnelli. La delusione più grande, dicono, riguarderebbe un big che fino all'altro ieri era considerato un maroniano di ferro, cioè Giancarlo Giorgetti, che poi, da segretario nazionale della Lega in Lombardia, è stato l'esecutore materiale del diktat (suo malgrado, dicono invece i maroniani meno bellicosi...). In Veneto c'è l'asse con Tosi, non con Zaia che è attendista, mentre su Roberto Cota, governatore piemontese e segretario della Lega Piemont (da lì nessun invito a Maroni), c'era la certezza che avrebbe seguito l'ordine di Bossi.
Dalla loro i colonnelli sostengono due cose. Primo, la Lega è Bossi, anche quando prende provvedimenti che scontentano il partito. Secondo, a che titolo Maroni detta la linea su Cosentino o parla delle future alleanze della Lega? In effetti, dal punto di vista formale Maroni è solo un deputato. Non è più ministro, non è segretario di niente, non è neppure capogruppo, perché Bossi gli ha detto che non glielo fa fare, lasciandolo all'arcinemico Marco Reguzzoni.
Quindi, chiedono i colonnelli, perché Roberto (Maroni) parla da leader? Mettiamoci anche un po' di invidia, e la guerra la capisce anche un bambino.
E adesso? Anche dopo l'incontro di ieri a Milano tra Bossi e Maroni («abbiamo fatto due chiacchiere»), la situazione è di attesa, ma piena di tensioni. Cosa succederà domani a Varese, al teatro Apollonio dove si sono radunate centinaia di persone per celebrare Maroni? Quali saranno, e contro chi, gli slogan della platea maroniana, fatta di sindaci e militanti? Arriverà Bossi a sorpresa? Stessi presagi che caricano la vigilia della manifestazione della Lega a Milano, il «No Monti Day». Anche lì si prevedono fischi (a Bossi, come a Pontida?), striscioni inneggianti, caos. La soluzione, per tre quarti del partito, sono i congressi.
Tre in particolare, già scaduti da mesi. Quelli per eleggere i nuovi segretari della Lega in Lombardia, Veneto e Piemonte. Alla conta, come si è capito, vincerebbe Maroni. E poi all'orizzonte c'è il congresso federale. Per ogni leghista Bossi è insostituibile. Ma se la sua leadership è fatta di divieti e investimenti in Tanzania, persino un leghista potrebbe cambiare idea.
2- E IL SENATUR SBOTTÃ: POTREI DIMETTERMI...
Marco Cremonesi per il "Corriere della Sera"
«Mi dimetto». Umberto Bossi ha accusato il colpo. Dopo la «fatwa», poi rientrata, contro Roberto Maroni, nella tarda mattinata di ieri, in via Bellerio, in molti riferiscono di aver sentito l'inaudito, il «Capo» che parla di passi indietro: «Il partito non è più con me». Un umore crepuscolare che, va detto subito, non supera l'ora di pranzo. Nel pomeriggio il leader leghista ha già cambiato attitudine e vede, tutti insieme, Giancarlo Giorgetti - già da lui definito «il mediatore confusionale» - e i «tre Roberti»: Calderoli, Cota e soprattutto lui, Roberto Maroni. Anche qui, è vero, il capo padano dice di essere rimasto colpito dalle reazioni della base agli ultimi eventi.
Tutti i presenti gli confermano che nessuno ha mai messo in discussione il suo ruolo, che la fiducia in lui è intatta. Ma anche che alcuni problemi non possono più essere tenuti sottotraccia. La sostanza del discorso dei maroniani è ben sintetizzata da uno dei dirigenti leghisti più vicini all'ex ministro dell'Interno, il bergamasco Giacomo Stucchi: «Nessuno mette in dubbio Bossi, ma i suoi consiglieri sì». Secondo il deputato, «il problema non è chi sta o chi non sta con Bossi, perché il partito è Bossi. La base chiede che al fianco del leader ci sia chi è legittimato dal basso». Di più: «Ruoli che vanno ricoperti da persone come Maroni, Calderoli, Cota, Giorgetti e non da chi se ne appropria e basta. La nostra gente non vede di buon occhio il Cerchio magico».
Bossi recepisce, ma non promette nulla. Mostra, semmai, di volersi gettare tutto quanto dietro le spalle senza troppo approfondire. E propone che tutti i presenti, lui escluso, vadano di fronte ai microfoni di Radio Padania per interpretare, una volta di più, l'eterna ammuina della Lega graniticamente unita.
Ma così non è stato. Secondo un amico di lunga data di Maroni, che ieri mattina ha raggiunto quota 320 inviti a manifestazioni pubbliche, ora l'ex ministro dell'Interno vuole un segnale. Il sospetto, che i sostenitori del «clan di Gemonio» non fanno nulla per allontanare, è che la retromarcia di Bossi sia stata semplicemente una mossa tattica per evitare clamorose contestazioni alla manifestazione di domenica prossima contro il «governo ladro». La barra dei «barbari sognatori», i sostenitori di Roberto Maroni, punta diritta ai congressi. Già alcune circoscrizioni, a partire da domenica scorsa, hanno approvato mozioni in tal senso e in tutta la Lombardia ci si attendono pronunciamenti analoghi almeno dall'80% delle segreterie.
Ma l'altro appuntamento che sta alzando l'adrenalina all'interno del Carroccio è il «Maroni day» di domani sera a Varese. La manifestazione ieri mattina è stata spostata in una sala più capiente. Probabilmente Bossi non ci sarà , e altrettanto probabilmente Roberto Maroni terrà un discorso molto netto «sulla Lega degli onesti, su casa nostra, sul nostro territorio», come riferisce un deputato.
Mentre l'appuntamento degli appuntamenti è per domenica. A dispetto della fragile tregua siglata tra i leader del Carroccio, resta comunque un appuntamento ad alto rischio. In cui è difficile che i più ardenti sostenitori dell'ex ministro rinuncino a portare in piazza del Duomo il loro tifo. Dal fronte opposto, la risposta è netta: «Se andrà così, finisce a botte».
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