L’EX BRACCIO DESTRO DI SCIABOLETTA GLI DÀ UNA BELLA COLTELLATA: “CERTO CHE LO INFORMAI DELLE MINACCE A MARCO BIAGI. RACCOLSI UN DOSSIER PER DIFENDERMI DALLE EVENTUALI ACCUSE”

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Carlo Bonini per ‘La Repubblica'

«Nella morte di Marco Biagi hanno sbagliato sicuramente in molti. Anche Claudio Scajola. Ma non da solo. Un giorno, forse potrò dirle anche quello che stasera devo tacere per rispetto del segreto istruttorio di chi sta indagando. Oggi posso dire a me stesso che ho fatto bene a raccogliere e conservare quelle carte. Viceversa, oggi sarei io quello con il cerino in mano».

La voce di Luciano Zocchi, 67 anni, milanese, capo della segreteria e quindi assistente personale di Claudio Scajola al Viminale dall'11 giugno del 2001 al 3 luglio 2002, tradisce insieme il senso di liberazione e il timore per un segreto che cade. Nel suo archivio, trovato nel luglio del 2013 durante una perquisizione disposta dalla Procura di Roma in ben altra indagine, ci sono le ragioni per le quali la Procura di Bologna oggi torna a indagare sulle responsabilità di chi lasciò Marco Biagi solo di fronte ai suoi assassini.

Cosa provano quelle carte?
«Che tutte le informazioni di cui entrai in possesso in virtù del mio incarico, molte delle quali, le assicuro, tutt'altro che segrete, vennero regolarmente trasmesse al ministro Scajola, che era il mio unico superiore gerarchico».

Anche le sollecitazioni a mantenere la scorta a Marco Biagi e i rischi che comportava la decisione contraria?
«Tutte».

Dunque, Scajola sapeva?
«Sapeva sicuramente ciò di cui lo informai. Ma non mi chieda che uso poi ha fatto di quelle informazioni, perché non lo so».

Tra i documenti che lei ha archiviato c'era anche una lettera di Maroni?
«Non la ricordo. Ma questo, naturalmente, non significa che non sia stata scritta e non sia stata portata all'attenzione di Scajola. Al Viminale esisteva anche un ufficio di gabinetto»

Visto che nel suo archivio è stato trovato un appunto attribuito a un politico e vistato dallo stesso Scajola, se non è di Maroni, di chi é?
«Direi che quell'appunto potrebbe essere stato redatto da me con le informazioni che avevo ricevuto da questo politico».

È Maurizio Sacconi?
«Non posso entrare nel merito del segreto istruttorio. Ma ho letto sui giornali che è stata sentita la moglie di Sacconi ».

Perché lei ritenne di dover portare via con sé dal Viminale quei documenti su Biagi?
«Perché dopo la morte del povero Biagi, il ministro Scajola ordinò una relazione ispettiva al prefetto Sorge sulle responsabilità della mancata assegnazione della scorta. Una relazione di 57 pagine che il sottoscritto non ha mai visto, di cui, va ricordato, era stata promessa la pubblicità e di cui, al contrario, nessuno ha mai avuto cognizione.

Ebbene, ero convinto, anzi, davo per scontato, in quella primavera del 2002, che sarei stato sentito dal prefetto. Ma nessuno mi cercò. La cosa prima mi sorprese e poi mi inquietò. Forse non si voleva ascoltare quel che avevo da dire».

Ne chiese conto a Scajola del perché lei non era stato sentito?
«Con Scajola, provai più volte ad affrontare il tema Biagi, ma ogni volta si sottraeva. Fino a quando non disse in un'intervista qualcosa che mi fece gelare il sangue».

Cosa disse?
«Alla domanda di chi insisteva nel sapere se le informazioni sui rischi per la vita di Biagi gli erano state trasmesse, rispose: forse sono state trasmesse a qualcun altro. Ecco, compresi allora che dovevo proteggermi a futura memoria. Cominciai a raccogliere documenti, anche dopo essere uscito dal Viminale. Presi l'abitudine di registrare alcune mie conversazioni. E bene ho fatto».

È stato minacciato in questi anni?
«Diciamo che la domanda è intelligente ».

Oltre all'agente dell'Aisi cui lei chiese di custodire il suo archivio, chi altro era a conoscenza del suo segreto?
«Quel povero ragazzo e amico dell'Aisi non sapeva nulla del contenuto della decina di sacchi comprati in una bottega di cinesi in cui avevo stipato le carte che gli avevo chiesto di custodire. L'unica persona cui parlai della vicenda Biagi fu l'allora segretario di Stato vaticano Tarcisio Bertone».

Avevate un rapporto di confidenza?
«Era stato mio rettore alla facoltà di studi salesiani. E poi avevo avuto modo di conoscerlo bene negli anni in cui era stato arcivescovo di Vercelli».

Le indagini della Procura di Roma che l'hanno riguardata hanno accertato che Bertone ricevette da lei un assegno circolare da 10 mila euro nel 2008. Perché?
«Era la restituzione di un prestito. Anni prima, in un momento di difficoltà, Bertone mi aveva prestato 17 milioni di lire».

Cosa le consigliò Bertone?
«Di agire secondo coscienza. E poi, da persona generosa, ma anche franca e disinvolta quale è, mi disse: "Lascia stare, evita di metterti nei guai"».

E infatti lei, in 11 anni, non ha mai pensato di presentarsi di fronte a un magistrato.
«Anche questo silenzio, un giorno, sarò in grado di chiarirlo».

Eravate amici con Scajola?
«Direi che eravamo due ex giovani democristiani, democristianamente diversi. Io ero stato segretario dei giovani dc a Savona, mentre lui lo era stato a Imperia. Ci eravamo rincontrati nel '98. Io lavoravo per una multinazionale, ma avevo contratto il virus della Politica. E quando Scajola diventò ministro mi chiese di andare a lavorare con lui».

E una volta usciti dal Viminale, fine dei rapporti.
«Io tornai nel privato. Finii a lavorare per Ricucci, finché non mi accorsi dove ero finito. Ma questa è un'altra storia....».

 

SCAJOLA ARRESTATO jpegARRESTO CLAUDIO SCAJOLA IL _FOGLIO_ ACCOMUNA LA BICICLETTA DI MARCO BIAGI CON LA MAGLIETTA _FORNERO AL CIMITERO_0 biagi marco timecomBRIGATE ROSSE BERTONE-BERGOGLIO