BRAVI DA MORIRE - GLI STUDENTI CHE SI SUICIDANO NELLE UNIVERSITÀ AMERICANE COMINCIANO A DIVENTARE UN CASO – MOLTI STUDENTI HANNO DENUNCIATO L’ENORME STRESS A CUI SONO SOTTOPOSTI - LE GRANDI UNIVERSITÀ PRIVATE COSTANO UNA FORTUNA, E LA COMPETIZIONE È A LIVELLI ASSURDI - IN TANTI LASCIANO LE PROPRIE CASE PER ANDARCI ED ECCELLERE, MA SI RITROVANO IN GABBIA…

Massimo Gaggi per il "Corriere della Sera"

«Sad news», notizia triste, ha annunciato per tre volte quest'anno il sito dell'università di Harvard, la più celebrata d'America. Tre nomi di studenti, tre storie diverse, ma stesse espressioni di cordoglio del rettore, Evelynn Hammonds, per il loro suicidio.

Non è la prima volta che nel mondo accademico americano si parla di ragazzi messi troppo sotto pressione o incapaci di denunciare i loro disagi, che si tolgono la vita. Ma stavolta l'Harvard Crimson, il giornale del «campus», ha deciso di andare a fondo, pubblicando un'inchiesta a puntate corredata da interviste a studenti che hanno tentato, per fortuna senza successo, il suicidio.

Ne viene fuori il ritratto di giovani andati a vivere a Boston già con le loro fragilità. Pensavano, cambiando vita e dandosi l'obiettivo di eccellere, di lasciarsi quei problemi alle spalle. Invece la competizione serrata, la solitudine di una vita lontano dalla famiglia e dai vecchi amici, hanno peggiorato la situazione.

Ma c'è di più: nei migliori atenei, quando ti trovi in difficoltà per questa pressione, non riesci nemmeno a chiedere aiuto: «Andiamo lì per eccellere» confessano gli studenti «e dobbiamo accettare una cultura dominante che è quella del successo sempre e comunque. Quando arrivi ti metti una maschera per nascondere le tue vulnerabilità, che, però, restano con te. Avresti bisogno di assistenza psicologica, ma non puoi chiederla perché altrimenti denunci il tuo disagio, contraddici la tua immagine. Fai capire agli altri che stai restando indietro».

La situazione deve essere effettivamente questa se il «Crimson», che ancora non ha concluso la sua inchiesta, è già subissato di lettere di altri allievi che si dicono d'accordo, denunciano disagi simili e chiedono interventi.

Harvard non è un caso isolato, né il più appariscente: problemi analoghi ce ne sono anche nelle altre maggiori accademie americane. Fin qui hanno fatto notizia soprattutto i gesti folli di studenti che periodicamente commettono stragi nei «campus», come a VirginiaTech, dove nel 2007 Seung-Hui Cho uccise 32 persone.

Ma, benché meno visibile, anche il problema dei suicidi si affaccia periodicamente, tanto che nel 2010, quando la questione tornò alla ribalta per sei suicidi in un solo anno accademico alla Cornell University di Ithaca, il Daily Beast stilò una classifica degli atenei più «stressati» d'America. Venne fuori che gli studenti sottoposti alla pressione maggiore erano quelli della Columbia University di New York, seguiti da quelli Stanford.

Terza Harvard, i cui amministratori al tempo dissero di non sentirsi particolarmente esposti sul problema dei suicidi. Ce ne erano stati diversi negli anni '90, è vero, ma poi i numeri erano rientrati e scesi ampiamente sotto la media nazionale. Ne seguì una controversia un po' macabra col Crimson che contestò quei dati: scrisse che, considerando anche i suicidi avvenuti lontano dal «campus» ed esaminando soprattutto gli «undergraduate», Harvard torna in testa alla classifica.

Il problema comunque, al di là della fragilità psicologica, rimane quello dell'eccessiva pressione sugli studenti che diventa addirittura spasmodica nelle migliori università, dove frequentare i corsi costa una fortuna (da 50 mila dollari l'anno in su): se non riesci a eccellere ti senti un fallito. Se non raggiungi la media del 4.0, quella che ti dà accesso alla laurea «summa cum laude» (o almeno a quella «magna cum laude», un gradino sotto), puoi apparire uno sconfitto.

Certo, un sistema meritocratico non può produrre solo vincitori, ma probabilmente si è arrivati a livelli di esasperazione eccessiva. E le vulnerabilità dei ragazzi sono probabilmente accentuate sempre più dall'uso (e abuso) di farmaci coi quali si cercano di estendere le loro capacità di concentrazione e di apprendimento.

C'è una cultura da cambiare. E comunque gli allievi in difficoltà avrebbero bisogno di assistenza. Ad Harvard ne trovano poca mentre, ad esempio, alla New York University è stato creato uno staff di 40 medici specializzati in malattie mentali, pronto ad aiutare gli studenti. Ma anche la NYU è corsa ai ripari solo dopo che diversi studenti, anni fa, si gettarono dalle finestre del loro «campus» nel cuore di Manhattan.

 

HarvardHarvardL ABBIGLIAMENTO DEGLI STUDENTI DI OXFORD Studenti per Obama STUDENTI CANADESI IN PIAZZA NUDI CONTRO LAUMENTO DELLE TASSE UNIVERSITARIE