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Marco Lillo per il “Fatto Quotidiano”
Quando il presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati Rodolfo Maria Sabelli dice che “Il governo accarezza i corrotti e prende a schiaffi i magistrati” forse si riferisce a Ercole Incalza. Lo abbiamo raccontato nel febbraio 2014 a beneficio di Matteo Renzi perché il presunto rottamatore facesse il suo mestiere rimuovendo dalla cabina di regia delle grandi opere Incalza, che non ha mai spiegato perché qualcuno ha pagato nel 2004 con 820 mila euro in assegni la casa destinata a sua figlia e al genero.
Renzi ha letto i nostri pezzi e ha tirato avanti lasciando le grandi opere e le piccole tasche dei contribuenti in balia di Incalza. Semplicemente perché così voleva Lupi. Per comprendere quanto suoni falsa la frase di Renzi “voglio uno Stato di pulizia e non di polizia”, bisogna ripercorrere la storia dall’inizio. È un classico caso in cui la polizia, anzi i carabinieri, hanno dovuto fare la pulizia che avrebbe dovuto fare Renzi.
NEL 2010 grazie alle indagini del solito Ros di Firenze emerge che Angelo Balducci si è interessato per far comprare al marito della figlia del suo amico Incalza una casa nel centro di Roma che il compratore non ha pagato. La casa valeva un milione e 140 mila euro però, come ha raccontato il genero di Incalza, Alberto Donati, agli investigatori che lo hanno sentito sotto giuramento nel 2010, sarebbe stata da lui pagata solo 390 mila euro.
La casa si trova in via Emanuele Gianturco, a due passi da Piazza del Popolo. Un terzo piano di 8,5 vani catastali in un bel palazzo umbertino. Donati racconta ai finanzieri nel 2010: “Tramite mio suocero, l’ingegnere Ercole Incalza, all’epoca consigliere del ministro delle Infrastrutture Lunardi, su suggerimento dato da Angelo Balducci (poi arrestato insieme a Diego Anemone, ndr) a mio suocero, fummo contattati o contattai l’architetto Angelo Zampolini (...) Il prezzo dell'appartamento lo discutemmo con Zampolini ed è quello risultante dall’atto”. Cioè 390 mila euro, un terzo circa del prezzo reale.
Il genero racconta di non sapere nulla degli assegni per 820 mila euro consegnati da Zampolini al venditore, Maurizio de Carolis. Il 7 luglio Donati si presenta allo studio del notaio Napoleone e non ha nemmeno i soldi. “Non consegnammo l’intera cifra pattuita, 390.000 euro – spiega Donati – in quanto la banca che doveva concedermi un mutuo di 250.000 euro, non era pronta per l'erogazione”. Il venditore De Carolis racconta che Zampolini lo portò nel suo ufficio e gli consegnò il giorno della vendita i 52 assegni per 520 mila euro. “Poi siamo saliti dal notaio, dove era presente Donati con la moglie (la figlia di Incalza) e abbiamo stipulato l’atto”.
Perché Balducci si interessa per fare avere alla figlia di Incalza (come con Scajola) una casa al di sopra delle sue possibilità pagata con gli assegni di Zampolini? Perché un imprenditore come Anemone (secondo quello che dice Zampolini sulla provvista degli assegni) paga una casa alla figlia del capo della struttura che si occupa delle grandi opere italiane? Anemone dice che lui non aveva nessun rapporto con Incalza.
Ora la nuova inchiesta svela invece i rapporti Balducci-Incalza-Berlusconi. Nei mesi in cui la famiglia Incalza era beneficiata di 820 mila euro per la casa dagli amici di Balducci, quest’ultimo era sponsorizzato da Incalza per una nomina a Presidente del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici che poi agguanterà nel 2005.
“I motivi per i quali Balducci avrebbe favorito Incalza non sono chiari. Sta di fatto che, nel corso della perquisizione del 17 gennaio 2012, è stata trovata in un computer – scrive il gip nell’ordinanza di arresto eseguita lunedì – nella disponibilità di Incalza una lettera (avente come data di ultima modifica il 16 settembre 2004) avente come destinatario “Berlusconi” in cui egli spiega le ragioni per cui ha nominato Balducci quale nuovo Presidente del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici. In effetti Balducci è stato nominato Direttore Generale del Servizio Integrato Infrastrutturale e Trasporti per le regioni Lazio, Abruzzo e Sardegna con decreto del 6 ottobre 2004 e poi Presidente Generale del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici con decreto del 28 settembre 2005”.
Inoltre il gip aggiunge che il genero “Donati ha lavorato presso la società Argo Finanziaria Spa fino alla metà del 2010. Non è chiaro quale mansioni ricoprisse (...) pur avendo egli percepito tra il 2007 e il 2009 un reddito oscillante tra il 174.000 euro e i 233.000 euro”. Argo fa parte del gruppo Gavio che a sua volta è socio di uno dei consorzi dell’Alta Velocità di cui si occupa il suocero di Donati, Ercole Incalza.
Nonostante la storiaccia della casa per la figlia di Incalza sia stata scritta e ‘rinfacciata’ a Matteo Renzi oltre che a Maurizio Lupi, più volte, dal Fatto, il premier non ha mai detto una parola contro il manager e lo ha lasciato alla guida delle grandi opere. Intanto straparlava contro i magistrati fannulloni che volevano fare le ferie e prometteva di punirli al primo errore. Forse a questo trattamento più dolce verso Incalza che verso chi indagava su di lui voleva fare riferimento il segretario dell’Anm Sabelli. Certo a Incalza Renzi non avrà dato carezze ma ha lasciato la guida delle grandi opere italiane. Senza chiedergli di spiegare il senso degli 820 mila euro pagati da Zampolini per sua figlia e il genero.
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