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Giacomo Amadori per “Libero Quotidiano”
Gli uffici di rappresentanza della Cpl Concordia di Roma, quella a cento metri dalla sede del Pd di Largo del Nazareno, stanno per chiudere. Le disavventure giudiziarie del super consulente Francesco Simone, accusato di associazione per delinquere, corruzione e altri reati, hanno portato a questa decisione.
La struttura era stata aperta nel 2008 quando, grazie alle sue vecchie conoscenze socialiste, Simone era entrato in Cpl e aveva proposto all’ex presidente Roberto Casari di inaugurare una sede nel cuore politico della Roma che conta. Per questo aveva segnalato l’appartamento al primo piano di via del Bufalo 138 A, lo stesso in cui lavorava ai tempi in cui era il segretario di Bobo Craxi.
Un bel salto di qualità per l’azienda, visto che sino ad allora la cooperativa aveva solo una sede in via Palmiro Togliatti, nella periferia orientale della città. Dopo gli arresti di lunedì 30 marzo, la sede di via del Bufalo è diventata scomoda e la Cpl ha deciso di disfarsene. Ieri una segretaria gentile era indaffarata a preparare gli scatoloni e, svogliatamente, ha ammesso che quelle stanze stanno per essere lasciate libere.
Anche perché quello era il regno di Simone. La sua storia professionale degli ultimi 15 anni era racchiusa in 100 metri: in via del Bufalo c’era la Cpl, 50 metri più in là, in largo del Nazareno 15, il quartier generale della lista di Giulio Tremonti «Lavoro e libertà» per la quale Simone ha lavorato in vista delle elezioni del febbraio 2013, altri cinquanta metri ed ecco il quartier generale del Pd, il partito al centro delle indagini dei pm di Napoli. Tutta l’attività di Simone si svolgeva in quel fazzoletto di terra.
Anche se adesso, nel palazzo con la targa della Cpl, c’è aria di smobilitazione. Sulla cassetta della posta resta solo una piccola traccia del passato. Infatti oltre all’adesivo della cooperativa ci sono anche i nomi dell’avvocato Silvia Motta, compagna di Simone e consulente legale della coop dal 2008 al 2014, e quello di Nicola Verrini, l’altro indagato che sta collaborando con i pm napoletani.
Verrini era responsabile di area della coop per il Lazio, la Campania e la Sardegna e, quando si trovava nella Capitale, si fermava in uno dei due appartamenti adibiti a foresteria. «In via del Bufalo, dopo il licenziamento di Simone, erano rimasti una segretaria che lavorava solo la mattina e Verrini che ci dormiva tutti i giorni» ricorda un collega. Per questo Verrini è il dirigente più informato sulle mosse di Simone e su quello che succedeva in quel piccolo fortino al primo piano ubicato strategicamente tra i palazzi della politica.
Martedì è stato ascoltato dai pm per cinque ore e mezza su richiesta dei suoi difensori. L’altroieri le agenzie hanno battuto una scarna sintesi dell’interrogatorio: «Verrini si è soffermato a lungo sui rapporti tra Simeone e l’ex presidente di Cpl Roberto Casari (entrambi detenuti nell’ambito della stessa inchiesta) e tra questi ed esponenti del Partito Democratico».
Una fonte conferma a Libero: «Verrini ha toccato tutti i punti che lo riguardano dell’indagine e questa tocca anche i rapporti con il Pd». Chiediamo se i pm abbiano fatto domande su Massimo D’Alema e la risposta è arrivata senza tentennamenti: «All’ex premier è dedicato un capitolo ampio dell’indagine e a Verrini sono state rivolte domande anche su questo tema». Per esempio a Verrini, difeso dagli avvocati Massimo e Michele Jasonni, è stato chiesto di spiegare la conversazione telefonica in cui Simone pronuncia con lui l’ormai celebre frase: «D’Alema mette le mani nella merda come ha già fatto con noi, ci ha dato delle cose».
Matteo Renzi e Massimo D Alema
Nella stessa telefonata l’ex consulente aggiunge: «È molto più utile investire in Italianieuropei (la fondazione dell’ex premier ndr), dove D’Alema sta per diventare commissario europeo». E la rivista della fondazione dalemiana era una delle pubblicazioni recapitate nella casella della posta di Cpl in via del Bufalo. Oltre alle parole di Verrini su D’Alema, bisogna aggiungere che venerdì scorso, in casa di Casari, è stata trovata una busta contenente 16.700 euro. All’esterno era appuntato il soprannome «Baffo».
Tanto è bastato per accendere la fantasia di investigatori e cronisti. Ma l’avvocato di Casari, Luigi Chiappero, ha immediatamente rimesso tutti in riga: «Casari con “Baffo” non si riferiva assolutamente a D’Alema, ma a se stesso».
D'ALEMA CON GIUSEPPE FERRANDINO ALLA SUA SINISTRA
Per il legale quelli erano soldi messi da parte per le esigenze della famiglia, anche in relazione a possibili traversie giudiziarie, per altro annunciate da interrogatori e perquisizioni che si sono susseguite in questi mesi. «Accostare il nome dell’ex premier alla busta è un’illazione che espone a querele» avverte Chiappero. Per qualcuno la sua presa di posizione a difesa di D’Alema potrebbe essere di parte (è stato sindaco diessino di Ciriè), ma trattandosi di uno degli avvocati più stimati e autorevoli del foro di Torino (tra i suoi clienti la Fiat e la Juventus) non possiamo che credergli.
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