
DAGOREPORT - COSA FRULLAVA NELLA TESTA TIRATA A LUCIDO DI ANDREA ORCEL QUANDO STAMATTINA…
Giuseppe Guastella per il "Corriere della Sera"
La Cassazione annulla la condanna a nove anni di reclusione per Pierangelo Daccò rimandando in appello il processo sul crac dell'ospedale San Raffaele, ma sia la difesa che la procura di Milano possono considerarlo comunque un risultato positivo: la prima perché potrebbe vedere libero in un mese l'«apriporte» in Regione Lombardia; la seconda perché può rivendicare che in appena due anni e mezzo dal fallimento almeno una parte delle accuse si sono tramutate in una condanna definitiva.
L'amico di lunga data e compagno di munifiche vacanze dell'allora presidente della Regione Lombardia Roberto Formigoni l'11 giugno 2013 era stato condannato dalla Corte d'Appello di Milano a nove anni di reclusione per concorso in una serie di distrazioni di fondi che avevano contribuito un anno prima al tracollo finanziario della struttura sanitaria fondata da don Luigi Verzé, che se non fosse deceduto prima dell'avvio del processo si sarebbe ritrovato tra gli imputati.
Daccò aveva scelto, da solo, il rito abbreviato e dopo aver subito il 3 ottobre 2012 una condanna a 10 anni di carcere e al pagamento di una provvisionale di 5 milioni di euro per associazione a delinquere e bancarotta fraudolenta dal gup Cristina Manocci, si era visto ridurre la pena di un anno in appello.
Ma la sorte dei due suoi coimputati in altrettanti capi di imputazione, che riguardano distrazioni di fondi per 2 milioni e 773 mila euro, era stata diametralmente diversa, tant'è vero che i due erano stati assolti in un altro processo. In appello, la difesa di Daccò aveva chiesto che quelle due assoluzioni fossero prese in considerazione e di valutarne le ripercussioni su Daccò.
Ieri il sostituto procuratore generale Giocchino Izzo ha chiesto che la sentenza d'Appello venisse confermata dai giudici della quinta sezione penale della Corte di Cassazione perché si trattava di una sentenza «immune da vizi»: stessa condanna a 9 anni e stessa provvisionale di 5 milioni da versare immediatamente alla Fondazione Monte Tabor.
La Suprema Corte, invece, ha accolto parte delle tesi difensive sostenute dai legali di Daccò, gli avvocati Massimo Krogh e Luigi Panella. I giudici, infatti, hanno deciso che il processo deve tornare in appello a Milano, ma ad una sezione diversa dalla seconda che ha condannato Daccò. Il nuovo collegio dovrà però occuparsi solo dei due capi di imputazione al centro della questione, stabilendo se Daccò è colpevole o innocente. La responsabilità per gli altri cinque capi d'accusa, invece, è passata in giudicato definitivamente.
Tutto questo si riflette sull'entità della pena finale che dovrà esse ricalcolata, ma soprattutto sulla detenzione del «faccendiere». Daccò, che nel frattempo è stato imputato anche nel processo Maugeri con altre nove persone, tra cui Formigoni, è in carcere dal novembre del 2011. Tra circa un mese scadrà il periodo di detenzione massimo consentito per la «fase» processuale che va dall'appello alla Cassazione, e visto che non sarà possibile far cominciare e finire il nuovo processo in così poco tempo, la sua detenzione per questa storia dovrà finire.
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