1. IL “CORRIERE”, GRAN POMPADOR DI MONTI, AFFIDA A GIAN ANTONIO STELLA IL SUO EPITAFFIO: “È FINITO LUI PURE APPESO PER I PIEDI AL GIUDIZIO SPIETATO DI CHI L'HA LIQUIDATO” 2. LETTA VOLEVA DARGLI L’ONORE DELLE ARMI IN PARLAMENTO, NESSUNO HA APPLAUDITO 3. MA UN GRANDE MERITO IL “PROFESSORINO” CE L’HA: AVER SEPPELLITO FINI E CASINI 4. ORA HA SVENDUTO SCIOLTA CIVICA AL BANANA, ELOGIANDOLO COME “PIÙ BRAVO DI TUTTI IN POLITICA”, DOPO AVERLO DEFINITO “CORRUTTORE E CIALTRONE” IN CAMPAGNA ELETTORALE 5. IN CAMBIO DELLA PELLACCIA DI CENTRISTI E MONTEZEMOLIANI, VUOLE LA PRESIDENZA EUROPEA

1 - MARIO A CACCIA DI POLTRONE SI OFFRE AL CAV. E IL SUO PARTITINO È PRONTO A ESPLODERE
Fausto Carioti per "Libero"

«Mi pare sia quanto mai attuale l'invito di Benedetto XVI alla necessità di vivere con coerenza». Chi salmodiava così a metà dicembre era l'allora premier Mario Monti, intervistato sul sito Sanfrancesco.org. Di lì a poco si sarebbe fatto il proprio partitino, Scelta Civica. Nemico da sconfiggere, quel Silvio Berlusconi che pochi giorni prima gli aveva offerto di guidare la coalizione dei moderati. Proposta inaccettabile, spiegava il Monti candidato.

Perché Berlusconi «non ha nulla a che vedere con la moderazione e la moderatezza», è un «corruttore» che travia gli italiani con i loro stessi soldi, è il capo di quei «cialtroni che dicono che hanno lasciato in ordine l'Italia». Nessun apparentamento sarebbe mai stato possibile tra il Cavaliere e Scelta Civica: «Berlusconi non potrebbe candidarsi con noi», sentenziava Monti stendendo il filo spinato, perché i candidati di SC hanno firmato regole ferree sui conflitti d'interessi.

E alla vigilia del voto, quando i sondaggi davano il Pdl in grande recupero, il professore pregava in pubblico che non avvenisse il peggio: «Considero molto preoccupante una vittoria di Berlusconi, per quel che rappresenterebbe come tolleranza degli italiani verso una vita pubblica non rigorosa, non seria e poco credibile ». Alla fine Berlusconi non ha vinto per un soffio, ma Monti ha decisamente perso. Memore dell'insegnamento papale sulla «necessità di vivere con coerenza», l'ormai ex premier ha deciso che Berlusconi è il migliore degli alleati possibili. «Corruttore» e «cialtrone»?

Macché: «È il più bravo di tutti in politica. Lo dicono i fatti!», assicurava l'altra sera in televisione. E lunedì spiegava ai suoi parlamentari, alcuni dei quali attoniti, che «le motivazioni che impedivano un accordo più organico con il Pdl sono venute meno», e che insomma se lui e tutti gli altri vogliono avere uno straccio di futuro in politica non hanno altra strada.

Nei giorni precedenti Monti si era presentato a Canossa, a colloquio col Cavaliere, per discutere i termini dell'accordo Pdl-SC. È un po' come andarsi a vendere le azioni quando il prezzo è ai minimi storici, avendo a disposizione un solo compratore: se non le regali, poco ci manca.

Un gesto che ha alzato il tasso di entropia in un partito dove l'Udc non ha mai attecchito, ogni componente è convinta di essere stata umiliata (cominciando da quella dei montezemoliani) e tutti ce l'hanno col leader che ormai si è defilato. Ma se tutto va come spera, Monti, almeno lui, qualcosa alla fine otterrà: l'appoggio di Berlusconi gli serve per puntare alla presidenza del Consiglio europeo, oggi affidata al belga Herman Van Rompuy, il cui mandato è in scadenza. Non sarà il Quirinale, ma gli consentirebbe comunque di restare sulla cresta dell'onda.

Da bravo uomo d'affari Berlusconi non butta via niente, nemmeno gli acquisti a prezzi di saldo. Ieri sbandierava i conti che si è fatto fare da Alessandra Ghisleri: la coalizione di centrodestra che si è presentata alle elezioni di febbraio oggi vale tra il 35 e il 37%, e con l'aggiunta dell'8% di Scelta civica supera il 40%.

«Insieme formiamo un blocco vincente, dobbiamo restare uniti», ha confidato ai suoi il fondatore del Pdl. In realtà ciò che resta della lista montiana vale assai meno di quanto voglia far credere Berlusconi, ma tutto fa brodo. Si avvia a finire così, con una mesta fusione per incorporazione, l'avventura del partito che doveva essere il volto «presentabile» ed europeo del centrodestra italiano. Con tanti dubbi su cosa faranno personaggi come il neoministro Mario Mauro, un ex del Pdl che aveva cercato rifugio da Monti dicendo che «Berlusconi non è più un leader adeguato».

E una certezza: se l'avesse cercato prima del voto, l'accordo con Berlusconi, Monti avrebbe ottenuto condizioni molto migliori per sé e per i suoi, impedito la vittoria di Pd e Sel alla Camera e tolto ogni possibilità alla nascita di un governo formato da sinistra e grillini. Quella che allora sarebbe stata la scelta giusta adesso è solo l'unica scelta a disposizione. Complimenti all'economista per l'oculata allocazione delle risorse e l'ottimo investimento realizzato.


2 - L'EX SUPERMARIO DAGLI OSANNA AL MANCATO ONORE DELLE ARMI
Gian Antonio Stella per il "Corriere della Sera"

A Trotsky, per carità, andò peggio: dopo averlo fatto sparire dalla celeberrima foto con Lenin che arringava la folla davanti al Bolscioi, Stalin lo fece sparire del tutto mandandogli un sicario in Messico. Altri tempi. Anche la rimozione di Mario Monti, però, ha qualcosa
di feroce. Che non fa onore a quanti lo osannarono.

Perfino Enrico Letta, che salutò l'entrata in scena del rettore bocconiano come l'occasione per «girare una pagina della politica italiana caratterizzata dall'incompetenza e dalla divisione del potere con il manuale Cencelli», ha dovuto rinunciare ieri in Senato a chiedere l'onore delle armi per il suo predecessore. Ci aveva già provato per tre volte alla Camera e per tre volte l'aula gli aveva negato anche uno striminzito battimani di cortesia. Gesto rifiutato a Palazzo Madama anche agli unici due accenni di stima, del montiano Gianluca Susta e del pd Luigi Zanda. Il gelo. Monti chi?

Lui, l'ex «Supermario» uscito dalla Santissima Trinità dove son rimasti «Supermario» Draghi e «Supermario» Balotelli, non ha detto una parola. Se n'è rimasto lì, al suo banco, solo. L'altra sera, ceduto a Letta il bastone del comando con un sollievo che possiamo immaginare, è andato con la moglie a cena in trattoria. Un ragazzino di undici anni l'ha riconosciuto, ha raggiunto il suo tavolo e gli ha chiesto: «Ma lei è triste a non avere più un lavoro?». Lui è rimasto un po' così, poi gli ha risposto: «È come quando finisci la scuola: ti dispiace, ma finalmente fai anche un po' di vacanza».

Dicono gli amici che certo, sa bene di avere commesso molti errori. Grandi e piccoli. Come quando, spinto a usare Twitter da chi pensava che fosse utile per le elezioni, passò un'ora e mezzo a cinguettare e quando si presentò alla riunione del partito sospirò: «Ho lavorato una vita intera per costruirmi una reputazione e adesso ho avviato la mia sistematica demolizione».

Poteva fare delle cose diverse? Sicuro. Tante. E magari oggi sarebbe lassù al Quirinale. Ma certo fa impressione il modo in cui molti della sua ex maggioranza (altri a sinistra e a destra non c'entrano perché furono coerenti e ostili fin dall'inizio) lo hanno incensato, inghiottito e sputato. Con lo stesso identico cinismo da scafati navigatori dei flutti parlamentari abituati a ogni rotta e sopravvissuti a ogni naufragio.

Fu bagnato da un acquazzone di 27 applausi in una quarantina di minuti, Mario Monti, il giorno del suo insediamento al Senato. I cittadini, ricorda un'Ansa, lo acclamavano al suo passaggio come un messia fuori dai giochi della politica che l'avevano costretto a fare i conti, nelle consultazioni, con 34 gruppi parlamentari. E l'aula, intimorita dal momento di caos e di panico dei mercati, non fu da meno. E si lanciò in spiritati battimani a ogni passaggio, ogni battuta, ogni citazione dei giovani e delle donne, dell'Europa e della legalità. Ventisette!

Per non dire di certi titoli e certi articoli sui giornali che raggiunsero vette inarrivabili, subito infilzate dall'ironia spietata di Marco Travaglio, dopo la Prima alla Scala. «Il Don Giovanni si fa sobrio», «Meno botox e più loden, un trionfo minimalista». «Alla Scala debutta la sobrietà bipartisan». Ed ecco Roberto Formigoni precisare «il mio smoking è vecchio di 10 anni» e Giuliano Pisapia «il mio è no logo» e la presidente di Expo 2015 Diana Bracco «la pelliccia l'ho tirata fuori dall'armadio, i gioielli sono di mia mamma».

E se il direttore d'orchestra Daniel Barenboim sussurrava a Monti «tutto il mondo sta pregando per lei», sul versante rock Vasco Rossi affidava i suoi pensieri a Facebook: «Sono contento di essere sopravvissuto per poter assistere all'insediamento del nuovo governo Monti».

Fino al capolavoro, un flash d'agenzia che suonava il violino per il premier narrando: «La sua riservatezza è proverbiale, tanto che intervistato davanti a casa nel 2004, quando era in predicato per diventare il nuovo ministro dell'Economia al posto di Giulio Tremonti, rispose con un "no comment" anche a una domanda sul nome del suo golden retriever. Ora il cane è cambiato, ma la sua riservatezza no».

Marcello Veneziani dedicò al tema, sul Giornale, una rubrica di irrisione omicida: «Oggi c'è il sole. È stata la battuta più audace di Mario Monti in questi giorni. E tutti a scorgere allusioni cifrate, messaggi elioterapici, metafore ottimiste. L'Uomo Grigio che sognammo in un cucù dopo il colorito Berlusconi si è avverato». Sembra passato un millennio. Tutto dimenticato, tutto rimosso, tutto cancellato.

A partire dagli elogi al fu-Supermario. Come quello di Sergio Marchionne nel luglio 2012: «L'accordo di Bruxelles scongiura un disastro che la gente ha assolutamente sottovalutato. Monti è stato veramente un grande, ha fatto un capolavoro che a livello internazionale non credo abbiamo mai avuto nessun altro capace di fare». O quello di Herman Van Rompuy: «Mario Monti ha fatto un buon lavoro da primo ministro. Ha restituito fiducia verso l'Italia ed è stato utile a mantenere la stabilità nell'eurozona». Parole oggi ributtate in faccia all'appestato: se lo elogiavano quei due vuol dire che...

C'è chi dirà: ha senso ricordare oggi la parabola umana, politica, istituzionale di un economista salutato ieri come l'ennesimo Uomo della Provvidenza della nostra storia e finito lui pure appeso per i piedi al giudizio spietato di chi l'ha liquidato poi come «un professorino»? Sì. Lo dimostrano gli osanna di oggi, da parte più o meno della stessa maggioranza, a Enrico Letta. Troppi, per essere sinceri. Ed è lui, come ha già detto, ad esserne spaventato per primo.

 

 

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