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Massimo Gaggi per il “Corriere della Sera”
Dopo un primo, parziale via libera l’anno scorso, quando si era rifiutata di limitare la definizione dell’istituto del matrimonio alle coppie eterosessuali, la Corte Suprema Usa ieri ha aperto un’autostrada alla definitiva legalizzazione nazionale delle unioni gay. I nove giudici costituzionali si sono infatti rifiutati, a sorpresa, di prendere in considerazione i ricorsi di cinque Stati contro gli interventi della magistratura che aveva autorizzato i matrimoni omosessuali.
Gli oppositori promettono di combattere fino in fondo perché «a decidere su questa materia devono essere i cittadini, non i giudici». Ma le Corti, in questo caso, si erano limitate a giudicare incostituzionale la messa al bando delle unioni gay decisa da Utah, Virginia, Indiana, Oklahoma e Wisconsin, mentre altri 19 Stati le avevano già legalizzate. In questi cinque Stati gli effetti della rimozione del divieto erano stati sospesi in attesa del giudizio di costituzionalità della magistratura suprema.
I più pensavano che i giudici avrebbero deciso di affrontare il caso: bastavano quattro voti su nove. Invece i ricorsi sono stati archiviati, senza fornire alcuna motivazione. La parola è così tornata alle Corti ordinarie. Quella d’Appello del Quarto Circuito già in tarda mattinata aveva ordinato alla Virginia di ricominciare ad emettere licenze matrimoniali alle coppie gay. Anche Indiana e Wisconsin si sono immediatamente adeguati, mentre Utah e Oklahoma dovrebbero farlo nei prossimi giorni.
Gli Stati dove le coppie gay possono sposarsi salgono così da 19 a 24: territori che coprono il 60 per cento della popolazione Usa. Ma presto il conto salirà fino a 30 perché i «circuiti» delle Corti d’Appello che avevano cancellato il divieto di queste unioni hanno competenza su altri Stati conservatori, dal Kansas alla Carolina del Nord e del Sud, che ora, inevitabilmente, dovranno rinunciare al divieto. A quel punto diventerà molto difficile non estendere la nuova legislazione a tutto il Paese.
In teoria un colpo di coda del fronte contrario a queste unioni è ancora possibile: finora tutte le Corti d’Appello che hanno deliberato si sono espresse a favore delle unioni gay. Ma se il Sesto Circuito, che è molto conservatore e non si è ancora pronunciato, dovesse andare in direzione opposta, si creerebbe un conflitto nella legislazione e questo potrebbe spingere i giudici supremi a cambiare rotta e a decidere di intervenire.
LA COPERTINA DI NEWSWEEK SU OBAMA PRIMO PRESIDENTE GAY
Un capovolgimento della situazione attuale sembra, comunque, poco verosimile: i giudici supremi dovrebbero dichiarare illegittima la valanga di matrimoni gay celebrati per anni.
La verità è che prima il sistema politico, poi quello giudiziario, si sono adeguati al cambiamento della sensibilità dell’opinione pubblica su questa delicata questione. Un’evoluzione rapidissima, che in pochi anni ha trasformato un «no» diffuso e apparentemente viscerale nel «sì» di una maggioranza altrettanto netta.
Ancora dieci anni fa George Bush sconfisse John Kerry e fu rieletto alla Casa Bianca anche grazie ai referendum anti-nozze gay organizzati in vari Stati dai repubblicani, lo stesso giorno delle presidenziali. Ma già nel 2011 i sondaggi segnalavano un netto cambio di umori, coi favorevoli che avevano sopravanzato i contrari.
E le ultime indagini del Pew Research Center, il termometro più sensibile dei cambiamenti nella società Usa, indicano che ormai restano fortemente contrari alle unioni gay solo i conservatori di età avanzata, mentre perfino tra i giovani repubblicani (età tra i 18 e i 29 anni) i favorevoli sono più del 60 per cento.
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