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Marta Ottaviani per "La Stampa.it"
Il governo turco cerca di mettere le mani sui social network, anche se per il momento con scarso successo. Sui quotidiani della Mezzaluna è comparsa la notizia che le autorità di Ankara hanno chiesto a Twitter di aprire un ufficio nel Paese in modo tale che rappresentanti della compagnia possano essere raggiunti con maggiore facilità .
Proprio oggi il ministro dei Trasporti e delle Telecomunicazioni, Binali Yildirim, ha detto che il governo avrebbe gradito avere qualcuno che gli desse spiegazioni in caso di bisogno.
Secondo rumors, il governo avrebbe chiesto a Twitter di fornire le identità degli utenti che «postano» commenti insolenti e offensivi nei confronti del premier o di ministri. Dal social network non sono arrivate repliche, ma pare che la società per il momento non abbia intenzione di accontentare Ankara.
Intanto anche da Facebook è arrivata una sonora porta in faccia all'esecutivo islamico-moderato. La società di Palo Alto ha smentito clamorosamente quello che sempre il ministro Yildirim aveva lasciato intendere in una intervista, ossia che il popolare social network era pronto a collaborare con Ankara sul condividere dettagli circa l'identità degli utenti che hanno parlato delle proteste sulle loro bacheche.
I social network hanno avuto un ruolo determinante nelle manifestazioni delle scorse settimane, soprattutto Twitter. Si calcola che i messaggi lanciati nella rete siano stati oltre 2,5 milioni.
All'inizio delle proteste il premier Erdogan aveva definito Twitter «una disgrazia». Per frasi pubblicate sul sito di micro-blogging sono state arrestate 24 persone a Smirne e 13 ad Adana, (ora rilasciate). La linea del pugno di ferro adottata dal premier non si ferma e anche oggi 11 manifestanti sono finiti in carcere a Smirne accusati di «terrorismo».
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