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Alberto D’Argenio per “la Repubblica”
pier carlo padoan, pierre moscovici e michel sapin 4193e149
L’intesa politica tra governo e Commissione sul via libera europeo alla Legge di Stabilità regge. Non solo il testo da 27-30 miliardi varato la scorsa settimana dal Consiglio dei ministri non verrà rigettato in toto entro il 31 ottobre, ma passerà anche l’esame finale di metà novembre.
«E’ tutto sotto controllo», spiegavano ieri fonti comunitarie impegnate sul dossier. E sembra che nemmeno lo scoglio rappresentato dalle previsioni economiche d’autunno, in calendario per il 5 novembre, farà affondare il patto. I numeri su deficit e crescita 2016 di Bruxelles potrebbero essere peggiori di quelli contenuti nel Def italiano, «ma non al punto da mettere in dubbio l’ok alla manovra», assicuravano dal quartier generale dell’esecutivo Ue.
Una sorta di patto informale è stato siglato a Roma il 19 settembre, poche ore prima della pubblicazione del Def, in un incontro riservatissimo Palazzo Chigi tra Renzi, Padoan e il commissario Ue agli Affari economici Pierre Moscovici. Un’intesa alla quale lo stesso presidente Juncker, pur senza esporsi in prima persona, ha dato il suo avallo. E anche il suo vice responsabile dei dossier economici, il falco lettone Dombroskis, a parte le dichiarazioni bellicose sulla Tasi degli ultimi giorni - raccontano da Bruxelles - non sembra intenzionato a combattere la battaglia della vita contro la manovra italiana.
Eppure fino alla formalizzazione di metà novembre nessuno a Roma e Bruxelles darà nulla per scontato visto che le incognite sono sempre dietro l’angolo. Un esempio di come la politica entri nei palazzi comunitari - come in qualsiasi governo nazionale - lo offre la Spagna: la manovra di Rajoy, alleato della Merkel all’interno del Partito popolare europeo, è stata rigettata perché conteneva numeri gonfiati alla vigilia delle elezioni che potrebbero segnare il cambio di guardia alla Moncloa.
Da Berlino e dai commissari di centrodestra all’interno della squadra di Juncker è partita la controffensiva affinché alla fine la Spagna venga graziata e il premier uscente non venga messo in difficoltà nei giorni precedenti al voto del 20 dicembre. E come ostaggio vengono usate le manovre di Francia e Italia. La prossima settimana poi la Commissione varerà la riforma del Six-Pack, il braccio armato del Fiscal Compact, e i commissari popolari minacciano di indurirlo a svantaggio di Eliseo e Palazzo Chigi se non si troverà una soluzione per Madrid.
Non che l’operazione sia in grado di far saltare il patto Roma-Bruxelles sul via libera alla finanziaria, ma è un esempio di come all’interno degli uffici comunitario le partite politiche si sovrappongano costantemente lasciando sempre un margine di incertezza.
Probabilmente un accomodamento che metta tutti d’accordo si troverà proprio perché quella di Juncker è una Commissione politica che non ragiona sui decimali di deficit e in questa fase l’ex premier lussemburghese vuole evitare scontri eclatanti con le grandi capitali per qualche virgola di deficit preferendo concentrarsi sul rilancio politico dell’Unione sui dossier del futuro, come quello migranti.
Dunque tanto nel governo quanto all’interno della Commissione si dà per scontato il via libera alla manovra da 27 miliardi che porterà il deficit italiano dal 2,6% del 2015 al 2,2% nel 2016. Uno sconto sul risanamento da 13 miliardi (Roma doveva scendere all’1,4% pena commissariamento) reso possibile proprio dalla cifra politica della Commissione Juncker, che rifiuta il rigore cieco degli anni di Barroso, e dalla stabilità garantita ai partner Ue da Renzi.
Resta invece in salita la partita per recuperare gli altri 3,3 miliardi che il governo ha chiesto per compensare le spese sostenute per la gestione dei migranti. Renzi avrebbe voluto prenderseli, portando la manovra a 30 miliardi e il deficit al 2,4%, senza previo ok di Bruxelles. Ma Padoan lo ha convinto a chiedere l’autorizzazione alla Ue per non irritare la Commissione rischiando di far deragliare quel patto sulla flessibilità che ancora oggi regge. Bruxelles deciderà verso fine anno, ma sulla richiesta italiana c’è pessimismo.
Vuoi perché lo sconto sul risanamento già in cassaforte visto con occhi nordici è da capogiro, vuoi perché i francesi non vanno pazzi per l’idea. Il risultato è che alla fine lo sconticino potrebbe ottenerlo solo l’Austria. E se per ragioni politiche la Ue non potesse dirci di no, difficile spiegare che l’Italia non ha fatto il suo sul fronte migranti, gli eventuali decimali di bonus migranti potrebbero essere scalati dalle altre due clausole di flessibilità (riforme e investimenti) con il risultato che la manovra difficilmente arriverà al 2,4%.
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