BLUFFA ITALIA - LA RIUNIONE DEI BANANA’S: DAVANTI AL CAPO TUTTI COMPATTI, MA DIETRO LE QUINTE OGNUNO PER I FATTI SUOI

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Andrea Malaguti per "La Stampa"

Eccolo. Arriva. È il giorno del giudizio. Apre lo sportello in via dell'Impresa. Sono le otto di sera. Buio pesto. Scende. «Presidente!!!!!». «Presidente!!!!». Calca. Microfoni che sbattono. Grida inutili. «Cade il governo, Presidente?». Silvio Berlusconi si gira stupito come se avesse scoperto un albero di gelso fuori dalla finestra. Non risponde. Stende un braccio come se fosse un ramo scosso dal vento. «É un siiiiii!!!!», urla una bionda platinata con tacco dodici e giacca ghepardata. Non lo è.

Berlusconi si infila nel portone di Montecitorio e si avvia rapido verso la sala della Regina, al primo piano, passando di fronte al mezzo busto evidentemente perplesso di Alcide De Gasperi. Il suo popolo parlamentare è riunito da un po' in trepidante attesa. Brunetta e Schifani, capogruppo alla Camera e al Senato, spiegano la linea. «Vi chiediamo di appellarvi alla vostra coscienza. Come reagireste di fronte al vulnus democratico rappresentato dal voto sulla decadenza?».

È una richiesta di dimissioni collettive? Una sorta di suicidio della Guyana forzaitaliota? Sembrerebbe. Le agenzie non hanno dubbi e battono la notizia: dimissioni in massa. In sala ci sono anche i ministri. Lupi, Quagliariello, Lorenzin. Silenziosi. Quando arriva il Capo dei Capi sta parlando Alfano.

L'ingresso del leader lo ammutolisce. I parlamentari si alzano in piedi. Compatti come una falange. Non è un grido. È un boato. Ave Cesare, morituri te salutant. Pronti a qualunque cosa? Uhm. Magari no. Forse. L'ineffabile senatore Razzi dice: «La parola d'ordine è riflettiamoci». Un uomo evidentemente saggio.

Berlusconi si siede e sta lì per un po'. Immobile come una rana su una foglia di loto. Si gode l'amore della sua gente. Alla sua presenza non sgarra nessuno. La Santanchè, guerriero in rosso, lo guarda con un sorriso dolce, quasi apologetico. Lui attacca ricapitolando le sue vicende giudiziarie. Un fiume in piena. Parigi, Ruby, Magistratura democratica. Roba così. Per due ore.

Luca D'Alessandro, falco verdiniano, regala pillole della seduta alla stampa appollaiata fuori dalla porta. Parla di dimissioni. Di elezioni. Di sms che arriveranno per spiegare come e quando succederà. Fine della grande alleanza, giura. «Anche la Lega è pronta a dimettersi in blocco». Come se fosse collegato in diretta il leghista Pini replica secco. «Hanno bevuto troppo. Per Berlusconi non mi dimetto. Devono passare sul mio cadavere piuttosto».

Più indecisa l'area bossiana. E i ministri, D'Alessandro, se ne vanno anche loro? «Domandateglielo». Allora è un bluff? Replica con lo stupore moderato di chi cerca invano il portasigari nel panciotto.«Ma proprio no». Come stare a Porta Portese davanti al gioco delle tre carte.

Alle nove il senatore Antonio Martino lascia la sala stanco. «Dal Parlamento non ci si può dimettere. Non te lo lasciano fare. È come la leva. Questa è una manifestazione di amicizia per Berlusconi. Niente più. Ma aggiungo che non ho mai visto una legislatura squallida come questa». Anche il senatore Luigi Compagna se ne va. «C'è il Napoli in tv». Già. Siete a fine corsa? «Boh, il messaggio è stato misterioso».

Ancora applausi in lontananza. Fine seduta. Sono le nove e mezza. Baci e abbracci e ci si rivede domani. Dimessi? Dimissionari? Boh. Brunetta insiste. «Dimissioni? Nessuna direttiva. I ministri? Chiedete a loro».

Vabbè. Ha sentito che Epifani vi dà degli irresponsabili? «Chi? Il segretario del brandello rimanente di ciò che fu il Pci?». Allegria. Viva le larghe intese. Passa il Capo dei Capi. «Presidenteeeeeee!!!!». Lui tira dritto. Voci che si perdono nel nulla.

 

berlusconi guarda il suo quadro nella sede di forza italia BERLUSCONI VERDINI ALFANO INAUGURAZIONE SEDE FORZA ITALIA FOTO LAPRESS SILVIO BERLUSCONI TAGLIA IL NASTRO NUOVA SEDE FORZA ITALIA FOTO LAPRESSE LUCA DALESSANDRO E SIGNORA GIULIANO FERRARA ANTONIO MARTINO