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DAGOREPORT – SE C’È UNO SPIATO, C’È ANCHE UNO SPIONE: IL GOVERNO MELONI SMENTISCE DI AVER MESSO…
Amedeo La Mattina per "La Stampa"
à l'esasperazione, la paura, l'incubo di essere arrestato dopo la decadenza da senatore a far muovere d'istinto Berlusconi. Ha chiesto un gesto forte di reazione, un atto di solidarietà da parte del partito ed è arrivata la svolta brutale: le dimissioni dei parlamentari del Pdl, «Ognuno secondo la sua coscienza», puntualizza Brunetta. Ora bisognerà vedere se si tratta di un bluff, di una minaccia senza seguito, come è avvenuto il 2 agosto, all'indomani della sentenza della Cassazione che ha condannato l'ex premier per frode fiscale. Oppure questa volta il Cavaliere fa sul serio. Bisognerà poi contare quanti senatori e deputati si recheranno, «ognuno secondo coscienza», dai capigruppo Schifani e Brunetta per sottoscrivere le dimissioni.
In ogni caso se ne parlerà dopo il 4 ottobre, quando la giunta del Senato tornerà a riunirsi e comincerà a votare sulla decadenza del senatore eccellente. I falchi avrebbero voluto che già ieri sera, all'assemblea dei gruppi, al massimo oggi, si cominciasse la raccolta delle firme. Invece tutto rinviato alla prossima settimana e magari oltre, e questo rinvio è rivendicato dalle colombe come una loro vittoria.
Una piccola vittoria, una magra consolazione poiché a prevalere, almeno per il momento, è stata la linea durissima di Verdini, Santanché e Bondi che in un pranzo a Palazzo Grazioli hanno gettato un autobotte di benzina sul fuoco che arde nell'anima di Berlusconi. «Sono 55 giorni che non dormo, sono i 55 giorni più brutti della mia vita, ho perso 11 chili, uno per ogni mese di carcere che mi vogliono dare, mi vogliono espellere dalla storia, mi vogliono sbattere in carcere».
à l'incubo. Ormai l'ex premier si è definitivamente convinto che ci sia una manovra a tenaglia, un complotto ai suoi danni, un'operazione eversiva che sovverte lo Stato di diritto a opera di magistratura democratica. Con il Pd che danza, fa festa, una sinistra felice e inguaribilmente manettara che pensa di aver un'autostrada aperta verso il potere. E tutto questo, secondo Berlusconi, mentre Napolitano non muove un dito in sua difesa, non gli concede la grazia.
Dal Quirinale, l'altro ieri, Alfano avrebbe portato notizie sconfortanti a Palazzo Grazioli: nessun assist personale al Cavaliere e nessuna crisi di governo, anzi bisogna creare attorno a Palazzo Chigi un cordone sanitario, rinnovare nella maggioranza un accordo per tutto il 2014. E allora, spiegano nel Pdl, le dimissioni secondo coscienza dovrebbero servire a fare ulteriore pressione sul Quirinale. Oppure è la definitiva presa d'atto che non ci sia più niente da fare. Ma c'è stato anche qualcosa di imponderabile e casuale nelle minacciate dimissioni, ancora tutte da mettere nero su bianco sul tavolo della presidenza di Camera e Senato.
Ieri nel Transatlantico di Montecitorio le perplessità di deputati (falchi e colombe) si sprecavano. «Qui a forza di gridare al lupo al lupo - diceva Alessandra Mussolini - nessuno ci crede più. E poi succede che noi ci dimettiamo e subentrano i primi dei non eletti i quali sosterranno il governo Letta fino al 2023... Un colpo geniale».
Dicevamo, c'è anche qualcosa di casuale e imponderabile nella decisione che è stata presa ieri a Palazzo Grazioli. Sembra che non fosse previsto alcun vertice ma quando il Cavaliere è piombato a Roma sono arrivati Schifani, Brunetta, Cicchitto, Verdini, Bondi e Santanché. Già i falchi erano tendenzialmente in maggioranza. Così è partita la loro artiglieria.
Hanno cominciato a scommettere su quale procura della Repubblica avrebbe vinto il primato agognato da vent'anni: arrestare Berlusconi. Milano? Bari? Napoli? La città partenopea sembra che si sia aggiudicata la vittoria per il caso della compravendita del senatore De Gregorio. Schifani e Cicchitto, vedendo che il grande capo stava prendendo fuoco, hanno cercato di spegnere l'incendio. Missione fallita. Così è passata la proposta di Brunetta, «se cacciano Berlusconi noi dobbiamo seguirlo». Il Cavaliere soddisfatto se ne va a dormire. Il premier Letta chiama da New York Alfano e Lupi e si sente dire che al timone non c'è più nessuno.
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