DAGOREPORT – DANIELA SANTANCHÈ NON È GENNARO SANGIULIANO, UN GIORNALISTA PRESTATO ALLA POLITICA…
1. ROUSSEFF RIELETTA PERÒ DI UN SOFFIO
Rocco Cotroneo per il "Corriere della Sera"
la presidente brasiliana dilma rousseff
Dilma Rousseff governerà il Brasile per altri quattro anni. Ha sconfitto il rivale Aécio Neves al ballottaggio con il 51,64 per cento dei voti contro il 48,36 il margine più stretto della storia del Paese. «Sono disposta al dialogo e questo sarà il mio primo impegno: governare in forma pacifica e democratica» il primo commento di Dilma dopo la rielezione. Alla fine del secondo mandato della Rousseff, nel 2018, il Pt (Partito dei lavoratori) avrà dunque governato il Brasile per sedici anni consecutivi, considerati i primi due mandati di Lula. Di riflesso è la quarta sconfitta consecutiva per il Psdb di Neves, lo storico avversario.
Il quadro elettorale conferma un Paese spaccato in due, con la Rousseff che domina nel Nordest povero del Brasile, dove più forte è l’effetto dei programmi sociali, mentre è in forte affanno nelle aree più ricche, soprattutto nello Stato di San Paolo. Per tutta la campagna, Dilma ha promesso forti cambiamenti per venire incontro al malcontento scoppiato nella seconda metà del suo mandato. L’attesa più forte è per la politica economica, dopo una raffica di numeri deludenti, e per il nome che verrà scelto nel ministero. Al Congresso il governo dovrebbe mantenere una solida maggioranza.
La tensione della campagna elettorale ha avuto ripercussioni anche nel giorno decisivo. «Sono stato oggetto di attacchi sordidi», ha detto Neves al momento di votare. La notizia che ha percorso i social network è stato il ricovero in ospedale del faccendiere Alberto Yousseff, un pentito che accusa il partito di governo di aver ricevuto mazzette dalla compagnia Petrobras.
L’incertezza sulle sue condizione di salute ha fatto esplodere ogni tipo di illazione. Nei giorni scorsi la Rousseff ha accusato il settimanale Veja di «terrorismo elettorale» per aver pubblicato le rivelazioni sullo scandalo alla vigilia delle elezioni. Un gruppo di teppisti a favore del governo ha attaccato con molotov la sede della casa editrice della rivista, mentre l’authority elettorale ha fatto sospendere la diffusione nelle edicole.
2. LA GRANDE FATICA DI DILMA (AIUTATA DAL MAGO DI CHÁVEZ)
Rocco Cotroneo per il "Corriere della Sera"
DILMA ROUSSEFF E LULA DA SILVA
Quando Dilma Rousseff vinse le elezioni quattro anni fa, si disse che Lula avrebbe potuto realizzare il miracolo della sua successione con chiunque. Persino con una fredda tecnocrate esperta in energia, mai candidata nemmeno in un condominio, con evidenti difficoltà ad affrontare una telecamera o scaldare un elettore. Dilma ce la fece allora con uno sponsor imbattibile e supera la seconda prova adesso.
A fatica, dopo una guerra elettorale sporca, ma con la sua faccia e usando la vecchia tattica del salto nel buio. È riuscita a convincere la maggioranza dei brasiliani a non cambiare strada, non rischiare dopo dodici anni di miglioramento della qualità di vita. Con tutti i limiti e le fragilità, il Brasile di Dilma è un Paese con piena occupazione e dove girano ancora molti soldi. Dove un numero enorme di persone in difficoltà riceve aiuti decisivi dallo Stato e una nuova classe media compra auto ed elettrodomestici, viaggia in aereo e mangia carne tutti i giorni.
Dilma II — odiata dai mercati finanziari e dalla borghesia di San Paolo — è oggi una donna di 66 anni con esperienza alle spalle e tutta la malizia che serve. È riuscita con l’aiuto di una micidiale squadra di marketing e l’intervento finale del suo mentore Lula a risalire la china. Un anno e mezzo fa la sua popolarità non superava il 30%, le strade erano invase di manifestanti arrabbiati e il Brasile era convinto che l’organizzazione incerta del Mondiale di calcio ne avrebbe decretato la sua fine politica.
Da quel momento, il vento è cambiato. L’economia stagnante — tutta colpa sua, dicono i detrattori, troppo interventismo — non ha avuto finora conseguenze rilevanti sulla vita quotidiana dei brasiliani, un po’ di cosmesi sui conti ha aiutato e la macchina di consenso del potere è sempre assai forte. Il suo uomo-immagine, João Santana, è conosciuto per la sua spregiudicatezza.
Due anni fa in Venezuela convinse la gente a rieleggere Hugo Chávez, nonostante fosse in fin di vita. Stavolta ha trasformato l’immagine di zia burbera nel «coração valente», il cuore coraggioso del popolo, riempiendo il Brasile di immagini della Rousseff ventenne guerrigliera, quando venne incarcerata e torturata.
Peggio, ha poi distrutto con la forza della tv l’avversaria Marina Silva e ridimensionato il recupero di Aécio Neves, mostrando negli interminabili spot un Paese felice che rischia di perdere tutto se Dilma viene mandata a casa. La «presidenta» è riuscita a superare quasi indenne i duelli tv con Neves, seppur quest’ultimo chiaramente superiore per dialettica.
Dilma e Lula hanno poi compattato come un esercito fedele l’elettorato del Nordest povero, dove milioni di famiglie ora mangiano e consumano grazie agli aiuti lanciati nei loro governi. La mappa elettorale del Brasile ne esce spaccata in due, il Partito dei Lavoratori è stato distrutto persino nella periferia operaia di San Paolo, dove nacque, ma l’operazione ha comunque avuto successo. Il consenso al governo è talmente forte in alcune fasce sociali e regioni da essere riuscito a controbilanciare il forte arretramento in altre.
La Rousseff è ora attesa alla prova più difficile. I suoi avversari dicono che l’economia dovrà pagare il conto, perché il governo ha nascosto la polvere sotto il tappeto per superare la prova elettorale. Lei dice che non c’è bisogno di manovre o tagli, il Brasile continuerà a crescere e ridurre la povertà con le politiche fin qui seguite.
Ha promesso una lotta dura alla corruzione, nonostante gli scandali continuino a colpire soprattutto il suo partito: metà della sua vecchia cupola è in galera per fatti risalenti all’era Lula. E dovrà cercare di rimarginare le ferite lasciate da una campagna elettorale violenta, che per la prima volta in decenni ha lasciato il Brasile lacerato. Anche se le alternative nell’urna non erano così secche come i due candidati hanno voluto far credere.
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