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1 - IL NOSTRO PIANGERE FA MALE ARENZI
RENZI E PRANDELLI MANGIANO LA BANANA
Martino Cervo per “Libero quotidiano”
E sempre allegri bisogna stare / ché il nostro piangere fa male al Renzi. La lettura della Stampa di ieri permetteva di apprezzare in profondità il dramma della sconfitta italiana a Recife contro la Costa Rica. Non appena un problema sportivo, né la classica disfatta sociologica con contorno depressivo e clima da ultima spiaggia (dove storicamente ci troviamo assai bene).
No, è un guaio politico ben peggiore: si guasta l’immagine del Paese e questa non è più funzionale per l’allure del presidente del Consiglio. Del resto, come spiegava in una puntuta analisi da Brasilia l’ex direttore del Sole 24 Ore Gianni Riotta, a dettare la chiave di lettura giusta per decrittare lo stato del Paese è stato, alle 19.16, Filippo Sensi alias @nomfup, l’«arguto portavoce del presidente del Consiglio». E che ha scritto su Twitter Sensi, di cui senza dubbio Riotta avrebbe parlato in termini analoghi anche se avesse ricoperto altri ruoli? «Quei momenti in cui non ti senti più neanche ct, ma resti appeso lì ad una sgomenta speranza».
Eccola, in meno di 140 caratteri, l’«ufficialità del disastro», e chissenefrega del campo (eravamo pur sempre all’inizio del secondo tempo). Del resto, spiegava la Stampa, «se il braccio destro del premier della sesta potenza industriale al mondo (siamo l’ottava, ndr), presto capo dell’Unione europea, si sentiva così, figuratevi noi». E figuratevi Bonaiuti. Per chi si fosse colpevolmente distratto al primo tweet mondiale di @nomfup, alle 19.45, a ridosso del fischio finale, ecco un’altra formidabile dimostrazione di arguzia: «Modalità finta di niente».
Chiosa di Riotta: «Se twitta così, ora diplomatico, è perché conosce la verità del pallone globale: il successo di un paese al Mondiale contribuisce davvero alla sua immagine». Ed ecco consumarsi il dramma geopolitico, quello che deve contristarci molto più di una eventuale, nuova eliminazione al girone eliminatorio: «Un’Italia viva è utile al look fresco,giovane, pimpante di Renzi, gli azzurri rottamati di ieri mettono di pessimo umore».
E così adesso, in vista dell’Uruguay, tocca «esorcizzare i gufi» (tipo Massimo Gramellini, che in prima pagina attaccava Prandelli, l’arci-italiano che fa giocare il bullo Balotelli anziché il «bravo ragazzo del sud» Immobile).
Anche perché, spiegava sempre la Stampa, «il successo premia la serietà, la fermezza morale, lo spirito di abnegazione, la ferma volontà di un plotoncino di uomini che, per degnamente difendere i colori d’Italia, non ha esitato a piegarsi ad ogni disciplina». Sotto gli occhi attenti di un leader premiato dal consenso, «esprimente a pieno viso e a piena voce la sua soddisfazione». Era il 1934, scriveva Vittorio Pozzo (allenatore degli azzurri aimondiali e cronista per il quotidiano di Torino): sembra ieri.
2 - CACCIA AI COLPEVOLI: FANNY, DELRIO E IL TWEET RENZIANO
Andrea Scanzi per il “Fatto quotidiano”
Prima dei Mondiali eravamo poco meno che pippe. Dopo l’Inghilterra eravamo satanassi. E adesso, dopo una Costa Rica quasi qualsiasi, siamo tornati degli sfigati lunatici. L’altalena di umori e commenti è ben specchiata dai resoconti dei quotidiani. Giuseppe De Bellis, su il Giornale, esorta a volersi bene: “Nessuna tragedia, il nostro Mondiale non è finito”. In fondo siamo abituati a questa situazione da ultima spiaggia: “Non c’è niente di più ricorrente dei calcoli come questi nelle vicende della Nazionale. Una specie di attrazione per le difficoltà e le cose complicate alla quale non riusciamo a resistere”.
PAROLE CONDIVISIBILI.
Libero individua un colpevole inedito: il sottosegretario Graziano Delrio: “Delrio, il tweet che porta jella: “Sto andando allo stadio con i ragazzi”. Niente paura, però: “Con l’Uruguay resta in albergo”. Menomale. Maurizio Crosetti non si dà pace su Repubblica: “Renziano di ferro, Prandelli non immaginava di cambiare verso proprio così, dopo l’Inghilterra”.
Sullo stesso giornale spicca un’arguta analisi tecnico-tattica di Concita De Gregorio: “Ci sono quelli che quando il cuore tace si fa buio. Quelli che se una storia d’amore si incaglia su un malinteso, una parola mai detta a distanza perché basta guardarsi negli occhi non si può restano intrappolati nella nebbia”. Di cosa sto parlando? Boh. La lettura dell’articolo intero non aiuta granché. Poi, faticosamente, si intuisce: il rapporto tra Balotelli e la compagna Fanny. “Vigilia agitata”, “lunghe discussioni al telefono”, “un concerto di Emma Marrone nella villa stile Scarface di un miliardario del cemento”.
Roba forte, soprattutto quando si legge (estasiati): “Mi hai fatto spendere mille euro al telefono”, ha detto l’accompagnatore di Fanny quando la conversazione è finita”. Travolti da una tale mole di dati irrinunciabili, rimane però la domanda di fondo: sì, ma perché l’Italia ha perso? Come ha fatto a inciampare con la Costarica? Fortuna che c’è Gianni Riotta.
È a Brasilia e scrive per La Stampa, ma per svelare l’arcano bastava starsene a casa e sbirciare Twitter. Leggiamolo: “Che la giornata si mettesse male per gli Azzurri si capiva già dal rigore non fischiato a Chiellini seguito – inflessibile volere della Dea Nemesi – dal gol decisivo di Ruiz, 45’”. Fin qui non si capisce nulla, e questo è normale, considerato che a scrivere è Riotta. Ecco però il colpo di genio: “L’ufficialità del disastro è venuta alle 19.20 quando “nomfup”, nome twitter di Filippo Sensi, arguto portavoce del Presidente del Consiglio Matteo Renzi, ammette sconsolato “Quei momenti in cui non ti senti neanche Ct ma resti appeso lì a una sgomenta speranza”.
Quindi, secondo Riotta, l’Italia ha perso perché Sensi (chi?) ha smesso di avere speranza. Una ricostruzione inattaccabile. Apprezzando una volta di più il talento della stampa renziana nel celebrare il Sire soprattutto quando non c’entra nulla, tramutando peraltro la sconfitta di un “renziano di ferro” nella celebrazione dell’intuizione di un altro renziano (di ferro) che capisce prima di altri come stavolta non ci sia salvezza, piace anche il passaggio successivo del verbo riottiano: “Se il braccio destro del premier della sesta potenza industriale al mondo, presto capo dell’Unione Europea, si sentiva così, figuratevi noi”.
È una frase chiave, perché lascia intuire che Riotta si sente inferiore a tal Sensi, e dunque la sua autostima è meno granitica di quanto fosse lecito supporre (e questo, va detto, fa onore a Riotta). Quindi: “Appesi a una sgomenta speranza”, come Sensi-Nomfup, gli azzurri, il coach, Prandelli, i tifosi”. Pur avendo assai a cuore i sillogismi riottiani, e ripromettendoci di leggere d’ora in poi i tweet di “Nomfup” come estratti del Vangelo o comunque stille di saggezza al cui confronto Tolstoj è un cazzaro, parevano ieri appena più pertinenti le sintesi di Gianni Mura e Mario Sconcerti.
Il primo, con prosa puntualmente limpida, ha elencato brevemente su Repubblica “Le tre ragioni di un crollo”: approccio alla gara, reazione al gol, formazione. Il secondo ha firmato un editoriale intitolato esplicitamente “Bisogna pure tirare in porta”. A volte poche parole bastano. E in altri casi addirittura avanzano.
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