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DOMANI POTREMMO SVEGLIARCI SENZA PRESIDENTE? IL PROBLEMA DEL VOTO PER CORRISPONDENZA: LA PENNSYLVANIA, UNO DEGLI STATI PIÙ IN BILICO, AMMETTE LE SCHEDE FINO A VENERDÌ 6 NOVEMBRE. TRUMP CHIUDE LA CAMPAGNA PROPRIO NELLA CITTÀ NATALE DI BIDEN, E SI PREPARA A CONTESTARE UN'EVENTUALE SCONFITTA LEGATA ALLE SCHEDE ARRIVATE PER POSTA
1. MA POTREMMO SVEGLIARCI SENZA UN PRESIDENTE
Federico Rampini per “la Repubblica”
donald trump a kenosha michigan
Election Day, o Election Week, o Election Month? Quando sapremo veramente il risultato? La tradizionale emozione della maratona tv nella notte tra martedì e mercoledì sarà un rito inutile, le ore passeranno senza designare un vincitore? Il rischio di un' attesa molto prolungata è concreto, anche per effetto del coronavirus che ha stravolto molte consuetudini, dirottando gran parte degli elettori verso le votazioni anticipate. L' affluenza alle urne è da record, cento milioni di americani hanno votato in anticipo, molti di questi hanno affidato le schede al servizio postale. Solo 9 Stati su 50 prevedono di aver scrutinato il 98% delle schede entro il mezzogiorno di mercoledì. Ben 22 Stati riconoscono validità alle schede spedite per posta, anche se vengono consegnate dopo l' Election Day.
joe biden a monaca pennsylvania
La Pennsylvania - uno dei più importanti Stati contesi - ammette le schede fino a venerdì 6 novembre. Prima di allora ogni proiezione sarà a rischio. Tanto più che la percentuale di democratici o repubblicani varia con le modalità di voto: i seguaci di Biden, più obbedienti alle regole sul distanziamento sanitario, hanno adottato in massa il voto postale, mentre i repubblicani preferiscono andare di persona. Qualsiasi spoglio parziale rischia di essere sbilanciato da una parte o dall' altra, inficiando l' attendibilità della proiezione.
Poi ci sono altri scenari, complicazioni aggiuntive, a seconda se nei singoli Stati Trump e Biden si contenderanno i collegi elettorali per minuscole frazioni percentuali - come accadde nel Midwest quattro anni fa tra Hillary Clinton e Trump, o in Florida nel 2000 tra George Bush e Al Gore. Che cosa succede se in uno Stato non esce un vincitore certo? La legge impone ad ogni Stato di comunicare il vincitore del voto presidenziale entro l' 8 dicembre. Se contestazioni e ricorsi impediscono a uno Stato di designare un vincitore, la parola passa al Congresso. Si tratta, in questo caso, del nuovo Congresso uscito dalle stesse elezioni. Ma se Camera e Senato non hanno maggioranze omogenee, la palla torna ai singoli Stati e stavolta è il governatore a dirimere la disputa.
omarosa manigault newman e donald trump 2
C' è un forte interesse a evitare di prolungare le cose fino all' 8 dicembre. Nel caso della Florida 2000, i poteri locali (in mano ai repubblicani) ottennero un pronunciamento della Corte suprema che sbloccò la conta dei voti a favore di Bush; a quel punto l' assemblea legislativa della Florida si affrettò a convalidare il voto, evitando che fosse il Congresso di Washington a decidere. Uno degli scenari su cui punta Trump, che ha già minacciato ricorsi per brogli, è un contenzioso da far dirimere alle assemblee legislative locali, che in molti Stati contesi hanno una maggioranza repubblicana.
Un altro scenario-catastrofe, è il pareggio. Statisticamente improbabile, eppure è accaduto ben tre volte nei primi 50 anni della storia americana.
Nell' ipotesi in cui Biden e Trump siano bloccati a 269 voti ciascuno nel collegio elettorale, che cosa accade? A quel punto tocca alla Camera decidere, convocandosi in una speciale sessione per l' elezione del presidente.
La Camera in questo caso però vota secondo regole particolari: non un voto per ogni deputato, bensì un voto per ogni delegazione di Stato. La California vale quanto il minuscolo Rhode Island. Ci vogliono 26 Stati per eleggere il presidente. In base ai rapporti di forze odierni, prevalgono i repubblicani. Ma tutto può cambiare con il voto di oggi, sempre che si possa usare la parola "oggi.
2. IL PRESIDENTE AGITA LO SPETTRO DEL 2016 E MINACCIA RICORSI SUL VOTO POSTALE: "ANDREMO AVANTI CON GLI AVVOCATI"
Francesco Semprini per “la Stampa”
Ore 14 (le 20 in Italia), Donald Trump sale sul palco allestito a bordo pista dell' aeroporto, la folla lo acclama, lui la sferza, fa segno con l' indice in giù e col pollice in su, come dire «è qui che vinceremo».
Tutto incredibilmente simile a quattro anni fa: era il 7 novembre 2016 e Trump scelse un liceo della cittadina della contea di Lackawanna per fare uno dei suoi ultimi comizi prima di volare a Grand Rapids, in Michigan, concludendo la galoppata elettorale con cui portò il suo "Make America Great Again" nei quattro angoli del Paese. Prologo della "notte magica" che gli consegnò le chiavi della Casa Bianca.
Ieri come allora il presidente ha terminato proprio a Grand Rapids dopo gli appuntamenti in Carolina del nord, Pennsylvania, Michigan e Wisconsin, la maratona di cinque comizi tenuti nelle ultime 24 ore. E con il "Keystone State" confermato scalo strategico della campagna elettorale di tutta la sua squadra. E non solo di quella del presidente in carica, visto che lo Stato in bilico per eccellenza è stato crocevia di visite anche da parte di Joe Biden e Kamala Harris.
Lo sfidante democratico ha fatto tappa a Beaver County per poi avviarsi al capolinea di Pittsburgh, mentre Kamala Harris, prima del gran finale con le "stelle" della musica di Philadelphia, si è fermata nella contea di Luzerne. Non una qualsiasi, ma quella che confina con Lackawanna: è proprio in questo fazzoletto d' America, secondo gli osservatori demoscopici, che potrebbe giocarsi il risultato finale della corsa presidenziale, come avvenne nel 2016.
Qui infatti è concentrato il bacino più incerto di elettori dello Stato più in bilico di tutti, che con i suoi 20 grandi elettori (uniti ai 29 della Florida) è destinato a segnare le sorti della Casa Bianca.
Quattro anni fa Trump vi fece tappa con l' obiettivo di arginare l' effetto "latinos", la forte affluenza anticipata da parte degli ispanici in Florida che avrebbe dovuto beneficiare Hillary, vinse in entrambi gli Stati. «Restituire il lavoro agli americani», ripeteva allo sfinimento sognando il colpaccio, forte del sostegno dall' armata trasversale di tute blue, ex minatori, classe media e piccoli imprenditori.
Ieri a Scranton il presidente ha ricordato proprio quel successo inatteso, con un gusto ancora più intenso visto che la cittadina ha dato i natali a Biden. E lo ha fatto sognando un altro colpaccio, la conferma, figlia di una rimonta pindarica. I sondaggi non lo condannano, il vantaggio del candidato democratico scricchiola. Nella media delle proiezioni di RealClearPolitics a livello nazionale, Biden è a +6,5% (50,9% contro 44,4%), ma dall' 11 ottobre scorso la sua parabola è stata discendente al contrario di quella del comandante in capo. In calo anche il divario della media dei sondaggi negli Stati in bilico: l' ex vice di Obama é a +2,9% (48,9% a 46%), entro il margine di errore, e Trump lo sorpassa in North Carolina (+0,6%). «I sondaggi della vigilia sono un bidone, una bufala, sono finti.
Noi siamo messi bene e vinceremo», sferza spavaldo Trump, Smentisce che dichiarerà vittoria prima dei risultati ufficiali, ma segnala chiaramente di essere pronto a una battaglia legale per fare in modo che i voti non siano contati dopo l' Election Day. «Andremo avanti con gli avvocati», tuona riferendosi in particolare alla Pennsylvania.
Ed intanto pensa già al futuro da presidente confermato, anticipando la resa dei conti con Anthony Fauci, il capo virologo della task force sul coronavirus della Casa Bianca da sempre molto critico verso l' ex tycoon per la gestione della pandemia. Un atteggiamento che Trump si è legato al dito, tanto che nel suo ultimo comizio in Florida, ai supporter che cantavano «Licenzia Fauci», ha risposto: «Apprezzo il suggerimento, mi raccomando non ditelo a nessuno, lasciatemi solo un po' di tempo dopo le elezioni».
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