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Danilo Taino per il "Corriere della Sera"
Secondo una fonte diplomatica europea della capitale greca, il primo ministro George Papandreou ha, nei giorni scorsi, visto precipitare la situazione e si è convinto di non potere più controllare il Paese con la politica ordinaria. Per questa ragione, ha deciso di indire il referendum sul secondo pacchetto di salvataggio che l'Eurozona ha offerto (imposto) ad Atene: con lo scopo di fare saltare il banco e mettere tutti, a cominciare dall'opposizione conservatrice di Antonis Samaras, di fronte alla necessità di prendere posizione ed essere chiari davanti ai cittadini.
Papandreou, che in pubblico si mostra certo di ottenere un sì al pacchetto europeo nel corso del referendum, in realtà sarebbe anche convinto - secondo la fonte diplomatica - che la Grecia abbia ormai solo un 50 per cento di possibilità di non fallire in modo disordinato e di non essere costretta ad abbandonare l'euro: per questa ragione, cosciente che le cose possono prendere una piega pessima anche dal punto di vista dell'ordine pubblico, avrebbe deciso - cosa che ha fatto l'altro ieri - di licenziare i vertici delle Forze Armate e un certo numero di alti ufficiali per sostituirli con elementi di fiducia.
Detto in termini diversi: Papandreou ha giocato la carta del ricorso alla mobilitazione popolare attraverso un plebiscito per cercare di neutralizzare i possibili rischi di involuzione - economica ma anche politica - che la Grecia corre.
Di questo probabilmente ha parlato ieri con Angela Merkel, Nicolas Sarkozy e i leader delle istituzioni internazionali che ha incontrato a Cannes, alla vigilia del vertice del G20. Se il giudizio di Papandreou sulla drammaticità a 360 gradi della situazione greca fosse corretto, rimarrebbe il fatto che, indicendo il referendum, il primo ministro di Atene rischia comunque di gettare nel caos non solo i mercati finanziari ma l'intera Ue: se tra i cittadini prevalesse, come indicano i sondaggi, il rifiuto del pacchetto di salvataggio, l'intera costruzione europea entrerebbe come minimo in fortissima tensione.
L'iniziativa, però, sarebbe almeno maggiormente spiegabile: con la preoccupazione di un leader di non portare il proprio Paese al disastro totale. Sempre discutibile, forse, e disperata, ma sarebbe da leggere come una scelta meno irresponsabile di quanto si è detto nei giorni scorsi. E meno giustificate sarebbero le contumelie che contro il leader greco hanno lanciato parecchi politici europei, soprattutto francesi. Anche perché, già ora, qualche piccolo risultato la mossa di Papandreou sembra poterlo fare immaginare, pur nel caos della politica di Atene.
Da ieri, infatti, sul tavolo dei partiti greci è finita una terza ipotesi, oltre a quelle di referendum, voluta dal governo, o di elezioni anticipate, voluta dall'opposizione: è la possibilità di un governo di salvezza nazionale, chiesto da un peso massimo del Pasok (il partito del premier), l'economista ed ex ministra Vasso Papandreou (nessuna parentela). Il primo ministro Papandreou e il suo ex compagno di college, Samaras, oggi capo del maggiore partito di opposizione, Nuova Democrazia, avevano già discusso l'ipotesi a metà giugno, ma non ne fecero nulla.
Ora, l'idea torna a circolare in una situazione di enorme caos politico e sociale: oggi ci sarà una nuova manifestazione, l'ennesima, nella Piazza Syntagma, ad Atene, di fronte al Parlamento, ieri c'è stato uno sciopero dei trasporti pubblici e la gente comincia a chiedere il ritorno alla dracma. Per quanto la politica greca sia litigiosa, un governo di salvezza nazionale è un'ipotesi che il presidente della Repubblica, Karolos Papoulias, potrebbe prendere in considerazione in caso di crisi di governo. Ieri, infatti, in Parlamento è iniziata una tre giorni di dibattito che si concluderà con un voto di fiducia sul governo venerdì notte.
Papandreou ce la dovrebbe fare, dicono gli analisti, anche se la sua maggioranza (deve prendere 151 voti su 300) è ormai minima. Una caduta del governo avrebbe l'effetto immediato di fare saltare il referendum. E costringerebbe a scegliere tra le elezioni e un esecutivo di grande coalizione.
Un governo di emergenza, tra l'altro, potrebbe favorire l'erogazione della tranche di otto miliardi - parte del primo piano di salvataggio della Grecia - che ad Atene serve urgentemente per non dichiarare default su alcuni pagamenti ma che ieri sera Ue e Fondo monetario internazionale sostenevano non potesse essere erogata prima di sapere il risultato del possibile referendum (che si terrebbe probabilmente in dicembre). Se il governo otterrà invece la fiducia, il referendum probabilmente si farà , in una situazione di incertezza totale. Da qualsiasi parte la si guardi, al momento la Grecia è attaccata all'Eurozona da un filo davvero sottile.
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