RI-FONDAZIONI BANCARIE – QUELLO DI RENZIE NON È UN GOVERNO AMICO, TRA AUMENTO DELLE TASSE E PROGETTI PER UNA NUOVA GOVERNANCE “PUNITIVA” – IL VECCHIO GUZZETTI RESISTE, MA NON HA UN EREDE

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Andrea Greco per "Affari & Finanza -  La Repubblica"

 

  matteo renzi otto e mezzo matteo renzi otto e mezzo

C’ è un episodio che dice molto del dualismo Fondazioni sì-Fondazioni no. Giorni fa la Cassa Depositi e prestiti ha annunciato che 33 enti ex bancari investiranno 173 milioni per ampliare il nocciolo duro italiano in Cdp Reti, cassaforte del controllo di Terna e di Snam quest’estate violata dai cinesi di State Grid. Soldi veri quelli di Pechino: 2,1 miliardi di euro per il 35% della holding delle reti, con un premio sui prezzi di mercato e poltrone consiliari annesse.

 

Ma quel blitz di luglio, tra i pochi fatti dell’afflato privatizzatore del governo Renzi, suscitò riserve, tra i Palazzi ministeriali e il Parlamento. Così a novembre è spuntato il puntello delle Fondazioni, che con le Casse avranno circa il 6% in Cdp Reti.

 

Un buon investimento, stabile e in linea con quello che cercano i nuovi compratori», si nota tra i corridoi del Mef. Dove però nessuno nega come sia «anche una mossa per controbilanciare la presenza cinese nel capitale».

 

Una simile chiamata mesi fa ci fu per l’azionariato di Bankitalia, tutto da inventare dopo il pianificato esodo delle banche vigilate, a sciogliere uno storico benché potenziale conflitto d’interesse. Anche lì siamo in attesa di vedere gli enti “spuntare” in Via Nazionale. Sono due casi di una serie, per dire che il rapporto tra le Fondazioni e il Paese corre su uno stretto filo.

pier carlo padoanpier carlo padoan

 

Nella teoria più o meno liberista, nella vulgata à la page, i Fondatori sono brutti, vecchi - la nuova colpa ormai - politicizzati e dovrebbero fare largo ai nuovi investitori, nelle banche italiane e quali corpi intermedi dello Stato. Nella prassi di un paese che certi giorni neanche il becco degli speculatori più vuole, gli enti sono diventati la stampella di Pietro Micca, l’ultima ridotta verso la resa.

 

Matteo Renzi, leader politico che dice di non amare i «poteri forti», e portatore fisico della diversità - è almeno vent’anni più giovane della dirigenza media delle Fondazioni, 41 se si confronta con il dominus Giuseppe Guzzetti - promette di rompere questa ambiguità. E non lo fa con le dichiarazioni e le promesse di cui abbonda, ma con fatti e comportamenti: zero relazioni personali, più tasse per gli enti, riavvio del dossier di riforma della legge istitutiva Amato-Ciampi.

 

L’esito di questo percorso, però, non è scontato: si sa che nel gioco del potere ogni vuoto va riempito da un pieno. Mentre qui i nuovi pieni scarseggiano per carenza di soldi pubblici e privati, protagonisti, idee. Dall’intervento di Mario Draghi al Forex veronese del febbraio 2011, in cui l’allora governatore di Bankitalia invitava con vigore le Fondazioni a ricapitalizzare le banche italiane, si sono susseguiti messaggi contrapposti, secondo la prevalenza del bisogno di contanti o quella, più aulica, di ripiantare la foresta che lo stesso Giuliano Amato disse «pietrificata».

Sergio Chiamparino Sergio Chiamparino

 

L’altalena dura da almeno quattro anni, in cui le banche hanno quasi prosciugato il fiume dei dividendi, primo affluente del lago con cui le 88 Fondazioni riunite in Acri dal 2000 hanno erogato a fondo perso quasi 19 miliardi sui territori. Le ricapitalizzazioni bancarie hanno indotto a sforzi miliardari molti enti, ansiosi di non diluirsi nelle conferitarie (talvolta anche solo di difendere il cospicuo investimento). D’altro lato, la crisi finanziaria non ha aiutato a vendere le loro azioni bancarie, per scindere il nesso originario (un obiettivo della legge istitutiva di 15 anni fa).

 

E lo smottamento di banche ed economia ha portato in qualche caso al «disastro totale», mutuando le parole di Guzzetti, operato dagli enti di Genova e di Siena nel tentativo di difendere un male inteso campanilismo bancario; con altre non dissimili implosioni per Banca delle Marche, Tercas, Cariferrara e i loro azionisti di riferimento, che hanno intaccato l’immagine dell’Acri.

Giuseppe Mussari Giuseppe Mussari

 

Si dice che Renzi in nove mesi non abbia sentito la curiosità di incontrare Guzzetti, Grande vecchio che da un ventennio regola il traffico tra Fondazioni, Stato, banche e terzo settore. Solo un paio di sms di saluto e disponibilità, nulla più. In un paese in cui molto è relazionalità e prendere caffè, è un indizio significativo. «Lo schema mentale di Renzi - racconta un dirigente pubblico che lo conosce anche se piuttosto semplicistico, prevede lo Stato sopra e gli enti locali in basso. Vuole rapporti diretti, come quando fa improvvisate ai raduni scout o nelle fabbriche. Non ama chi si frappone nel mezzo ».

 

Per i Fondatori, che hanno abilmente riempito i “pieni” di un potere in ritirata (dello Stato dal welfare, di un mercato imperfetto dalle banche) questo è un problema. La loro prassi con funzionari, rappresentanti, mediatori continua a essere positiva: al Tesoro per esempio, che ha il compito di vigilarli, e con cui la consuetudine è stata stretta indipendentemente dal colore del governo. Qualche volta forse troppo, stretta, se si rivà al nulla osta rilasciato per seguire le ricapitalizzazioni su Mps e Carige, che hanno rovinato le relative Fondazioni indebitatesi per la bisogna.

 

GIUSEPPE MUSSARI GIUSEPPE MUSSARI

Anche in Parlamento la lobby degli enti è potente e ramificata per tutto l’arco costituzionale. Ma quando si parla del governo, della nuova politica di cui Renzi è alfiere, il discorso cambia. Proprio da Parlamento e Tesoro vengono i pericoli di riforme e misure punitive che l’Acri e Guzzetti cercano di schivare. Palazzo Chigi ha inserito nella legge di Stablità un altro aumento della tassazione sugli enti. Uno dei meno graditi, perché li penalizza rispetto a soggetti privati innalzando dal 5% al 77% la base imponibile sui dividendi incassati.

 

Dal 2011, tra misure più e meno ad hoc, il prelievo erariale sulle 88 Fondazioni Acri è salito da 100 a 340 milioni, nel 2015 saranno 360. Se la nuova misura passerà in Parlamento l’aliquota Ires degli enti salirà al 27,5% sul 77% dei dividendi, non su un ventesimo com’è per gli altri. «Tassazione di svantaggio», dicono all’Acri, mentre in pubblico Guzzetti s’è morso la lingua e limitato a dire, alle autorità accorse per la Giornata del risparmio: «Le vittime di questo provvedimento non saranno le Fondazioni, ma le persone fisiche in difficoltà, le organizzazioni di volontariato e le cooperative sociali», beneficiarie dei loro interventi.

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Da molte associazioni - come le reti Anpas, Convol, Assifero, Csvnet, Forum terzo settore - è partita una campagna di sensibilizzazione perché non si riduca l’assegno da 850 milioni l’anno che le Fondazioni staccano come sussidiarietà del welfare statale (spesso supplenza ormai).

 

Ancor più temuta è una riforma del Tesoro su poteri, governance e ambiti operativi degli enti. Ci lavorava già il governo di Enrico Letta nell’estate 2013, sull’onda dell’imbarazzo per il caso Mps, summa di molte e impunite infrazioni della legge istitutiva. Passato Letta anche il governo di Renzi ha riaperto un dossier analogo. Ma le ultime dichiarazioni del ministro Pier Carlo Padoan - proprio alla Giornata del risparmio, ospite Acri - danno il senso di una direzione più condivisa che drastica. «La legge Ciampi è articolata su principi generali - ha detto Padoan - che possono essere completati. Uno strumento utile potrebbe essere un atto negoziale tra amministrazione e Fondazioni, che individui in modo più specifico i comportamenti da osservare su gestione del patrimonio e governance. Molto è stato fatto con la Carta delle Fondazioni».

 

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 La Carta è il codice «volontario ma vincolante» introdotto dall’Acri nell’aprile 2012, dopo che da un anno Guzzetti studiava come parare colpi normativi. Nella Carta ci sono varie condotte che l’associazione invita a osservare: cariche sociali «incompatibili con qualsiasi incarico o candidatura politica elettiva o amministrativa», gestione del patrimonio «fondata sulla diversificazione», attività istituzionale «trasparente e imparziale». Tradotto in pratica niente investimenti a debito o speculativi, niente quote in banca che eccedano il 30% del patrimonio, sincronia tra investimenti ed erogazioni. Con qualche anno per mettere in regola i morosi.

 

 Dal 2012 molte Fondazioni hanno recepito la Carta, ma ciò non ha impedito il perdurare di ruoli anfibi con la politica come quelli di Sergio Chiamparino e di Roberto Pinza (ex Pd ora capo di Fondazione Cariforlì), nuovi dissesti tipo Carige e Marche, una dozzina di enti ancora sbilanciati sulle banche Dopo le citate parole di Padoan chi era a Roma con Guzzetti lo ha visto euforico, come di chi sta per vincere l’ennesima schermaglia politico-legale (la serie è antica, come rammenta l’ex ministro Giulio Tremonti).

 

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Ma nessun carisma o abilità negoziale preserverà le Fondazioni dal loro destino: di gestori di patrimoni sempre meno bancari. E l’intatto vigore del patron non esime da un ricambio di classe dirigente che s’annuncia problematico. Chi è il Renzi delle Fondazioni, il leader che le traghetterà nella “fase B” dopo quella istitutiva che dura da un quarto di secolo?

 

Entro il 2016 scadono una settantina di presidenti di Fondazioni al secondo mandato, non rieleggibili. Quanto all’Acri, Guzzetti è in carica fino al 2019. Da tempo cerca successori ma non è facile succedergli. In Acri aveva prima puntato su Giuseppe Mussari, suo vice presidente per tanti anni, e si è visto com’è finita.

 

Dal 2012 s’era coltivato Chiamparino, suo vice all’Acri e presidente nella Compagnia di San Paolo; ma l’ex sindaco di Torino due anni dopo lo ha “tradito” con la politica, tornando presidente della Regione Piemonte con il Pd. Se c’è qualche asso, resta nella manica.