DAGOREPORT - BLACKSTONE, KKR, BLACKROCK E ALTRI FONDI D’INVESTIMENTO TEMONO CHE IL SECONDO MANDATO…
Ansa.it - E' il giorno della verità per il Pd riunito in Assemblea. All'assemblea, convocata da Matteo Renzi per aprire il congresso, stanno arrivando in questi minuti i mille delegati da tutta Italia. In apertura Matteo Orfini ha comunicato che sono arrivate alla presidenza le dimissioni formali di Renzi.
Maurizio Belpietro per La Verità
Non sappiamo che cosa accadrà oggi all' assemblea del Pd che Matteo Renzi ha convocato allo scopo di decidere la data del congresso del partito.
Tuttavia, qualunque cosa succeda, un fatto ci pare certo: niente sarà più come prima. Soprattutto, Renzi non sarà più quello di prima. Già, perché la mossa della cosiddetta opposizione interna lo ha stretto in una morsa da cui rischia di uscire comunque sconfitto.
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Primo scenario: l' ex presidente del Consiglio fa marcia indietro, rimangiandosi il congresso per rito abbreviato che si dovrebbe celebrare subito, possibilmente entro aprile, così da consentire una nuova investitura dopo la disfatta referendaria. Secondo scenario: Renzi procede spedito, senza alcuna marcia indietro.
Ecco, in entrambi i casi il Rottamatore ha buone possibilità di finire rottamato per sempre. Non c' entrano nulla le previsioni che lo danno comunque vincente alle primarie del Pd e al congresso perché la maggioranza della base sarebbe con lui. Il problema resta che la minoranza non è con lui e se lui resta, se lui vuole imporre a ogni costo un congresso per potersi riprendere la scena, detronizzando Paolo Gentiloni e pretendendo nuove elezioni in cui scegliere da solo i candidati da mettere in lista, la minoranza se ne va.
L' ex premier, in pratica, è fritto o per lo meno è probabile che lo sarà presto, appena il cerino che gli oppositori gli hanno messo in mano prenderà fuoco. Qualcuno ha pensato e anche scritto che ieri i nemici interni non hanno avuto il coraggio di andare fino in fondo e hanno preferito attendere. La speranza di evitare lo strappo sarebbe rimasta ancorata alla telefonata che il governatore della Puglia, Michele Emiliano, ha ricevuto dallo stesso Renzi. Nel colloquio l' ex premier si sarebbe dimostrato intenzionato a una mediazione e nel caso anche a una piccola retromarcia. Ma è chiaro che le parole non bastano e non è sufficiente una chiamata a uno degli uomini che si op pongono al segretario per rimettere tutti a cuccia.
Qui servono i fatti e i fatti li deve fornire Matteo Renzi oggi: o rinvia il congresso all' autunno e si impegna a portare la legislatura alla sua naturale conclusione, senza dunque far cadere Gentiloni e rassegnandosi a restare fuori da Palazzo Chigi, oppure la scissione sarà operativa.
E nell' uno e nell' altro caso a perdere sarà lui, l' uomo che non voleva perdere mai. Il perché è presto spiegato. Se l' ex presidente del Consiglio cede, rinvia il congresso e non fa cadere il governo, in un anno e mezzo gli avversari lo cucineranno a fuoco lento, togliendogli giorno dopo giorno consenso e potere, fino a consumarne la leadership e dunque a renderlo inservibile come candidato premier nel 2018. Sarebbe una rottamazione dolce, probabilmente senza traumi a meno che non arrivino dalle Procure (vedi l' inchiesta sul babbo dell' ex premier, che ieri ha fatto registrare anche l' indiscrezione di una fattura di 70.000 euro a un amico di famiglia), ma pur sempre una rottamazione.
carro renzi caduto follonica carnevaleANNUNCIO DI EMILIANO SU FACEBOOK
Se al contrario deciderà di non mollare e di fare un congresso a breve, Renzi perderà lo stesso. Di sicuro un pezzo di partito. Non sappiamo quanto valga davvero presso gli elettori il partito dei reduci, o se preferite degli irriducibili, del Pd. C' è chi dice il 10%, chi parla del 15%, chi minimizza ipotizzando addirittura il 5%.
Quale che sia la percentuale, un dato appare scontato ed è che gran parte di quei voti saranno sottratti al Pd di Renzi.
Mettiamo pure che l' ipotesi giusta sia quella minima, cioè il 5%: prendendo i valori odierni del Pd, l' ex pre sidente del Consiglio si ritroverebbe al 25%.
E che se ne farebbe dei voti di un quarto dell' elettorato? Di certo non farebbe un governo, perché neppure sommando tutti i centristi e anche dando per buono l'«inciucione» con Forza Italia si arriverebbe al 50 più uno, indispensabile per governare. E allora? Di fare un' alleanza post elezioni con gli scissionisti neanche a parlarne: la pregiudiziale per un accordo sarebbe la rinuncia di Renzi alla segreteria e al governo. Per ritornare a Palazzo Chigi, il Pd dovrebbe mandare in soffitta il suo segretario.
Dunque, da qualsiasi lato la si veda, che rompa o ingrani la retromarcia, il destino di Renzi appare segnato: più attacca e più si attacca.
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