EGITTO E RIGETTO - IL NEO-PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA EGIZIANA MOHAMMED MORSI MORDE: CON UN COLPO SOLO HA FATTO FUORI L’ELITE MILITARE DEL PAESE - CACCIATO IL POTENTISSIMO CAPO DELLE FORZE ARMATE HUSSEIN TANTAWI - DOPO L’ATTENTATO NEL SINAI ERA GIÀ STATO RIMOSSO IL CAPO DELL’INTELLIGENCE - LA SITUAZIONE È PREOCCUPANTE: TUTTO LASCIA PENSARE A UN CONFLITTO DI POTERE TRA I FRATELLI MUSULMANI E I MILITARI…

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1- GOLPE BIANCO
Antonio Ferrari per "Il Corriere della Sera"

Nel mondo arabo ogni sorpresa è possibile, ma quanto è accaduto ieri in Egitto va oltre la fantasia più audace: per il clamore delle decisioni annunciate e per la conseguente rapidità delle loro esecuzioni. Il neoeletto presidente della Repubblica Mohammed Morsi, che è anche un leader dei Fratelli musulmani, ha silurato l'uomo più potente del Paese, il capo delle Forze armate e ministro della Difesa Hussein Tantawi e il suo capo di stato maggiore, e ha immediatamente nominato i sostituti. Non è tutto. Morsi ha poi scelto come suo vice il magistrato Mahmoud Mekki e, giusto per far capire che si cambia davvero strada, ha abolito la Costituzione transitoria, imposta due mesi fa, che dava poteri speciali ai militari.

Ha tutta l'aria di un golpe bianco o postmoderno, potenzialmente gravido di pesanti conseguenze. In apparenza, infatti, sembra la resa dei conti tra due giganti: la Fratellanza e i militari. È infatti la prima volta che il supergenerale Tantawi, che aveva servito Hosni Mubarak per vent'anni e che era sopravvissuto alla «Primavera delle Piramidi» riuscendo a mantenere e a rafforzare il proprio potere, viene non soltanto delegittimato ma umiliato, con l'offerta (ridicola) di diventare un consigliere del capo dello Stato.

Ecco perché c'è qualcosa che non convince e che ha il sapore dell'ambiguità, come la dichiarazione all'agenzia Reuters dal generale Assar, il quale sostiene che la decisione è stata presa a seguito di consultazioni con il Consiglio militare, cioè quella giunta che, almeno finora, si riteneva guidata proprio dall'onnipotente Tantawi.

L'improvvisa accelerazione non può non essere legata a quanto è accaduto nell'ultima settimana, con l'attacco alla postazione della polizia egiziana nel Sinai, costato la vita a 16 agenti, e con il successivo colpo di maglio dell'esercito contro terroristi tangenti alle frange estremiste del partito salafita, giunto secondo alle elezioni. In quel giorno è cominciata la campagna militare denominata Aquila, con l'obiettivo di giungere al pieno controllo del Sinai, teatro frequente di guerre per bande e di attacchi terroristici.

Morsi, nell'occasione, ha pienamente condiviso con i militari la rappresaglia, ma ha subito rimosso il capo dell'intelligence Mourad Muwafi, sostituendolo con fulminea rapidità. Tutto questo aveva lasciato supporre che vi fosse tensione all'interno delle stesse Forze armate, anche perché Muwafi era considerato assai vicino al generale Tantawi. Passaggio confermato con le clamorose decisioni di ieri, che non hanno visto soltanto l'allontanamento del militare più potente della Repubblica e del suo vice, ma l'immediata nomina di altri generali al loro posto.

Segno che si sarebbero materializzate le condizioni per una vera sfida al vertice dell'élite militare, che ha guidato il Paese dai tempi della presidenza di Abdel Nasser alla rivolta dell'anno scorso, che ha portato alla defenestrazione di Hosni Mubarak. Da una parte lo strapotere di Tantawi, che dopo l'incontro con il segretario di Stato americano Hillary Clinton aveva dichiarato che le Forze armate «non permetteranno a "certi gruppi" di dominare il Paese», sottintendendo i Fratelli musulmani. Creando quindi le condizioni per riaccendere un devastante conflitto tra i due maggiori poteri del Paese.

Tuttavia, vi sono anche voci ben più velenose, secondo le quali Tantawi e i suoi fedelissimi avrebbero cercato proprio dopo i gravi smacchi subiti nel Sinai di forzare la mano. Un golpe militare o un golpe bianco della Fratellanza? Oppure il tentativo di trovare, nell'improvviso cambiamento, un nuovo equilibrio? Non ci vorrà molto tempo per conoscere la verità.

2- EGITTO, LO STRAPPO DI MORSI MILITARI RISPEDITI IN CASERMA
Francesco Battistini per il Corriere della Sera

La grande purga. Si sapeva che, non si sapeva quando. Due mesi dopo il «golpe costituzionale» dei generali (che gli avevano tolto il comando delle forze armate), una settimana dopo il prevedibile massacro dei 16 soldati egiziani nel Sinai (che l'ha costretto a mandare gli elicotteri nel deserto, bombardando i salafiti), il fratello islamico Mohammed Morsi decide di regolare i conti.

Via i pezzi più pregiati della giunta militare sopravvissuta a Mubarak. E via il generale Hussein Tantawi, il grande rivale, che solo pochi giorni fa aveva lui stesso nominato ministro della Difesa, in uno stupore non diverso da quello che ora ne circonda il siluramento. Il segnale al Paese è chiaro: un comunicato, poche righe lette dal portavoce, e in un soffio il presidente egiziano spegne le stellette d'Esercito, Aviazione e Marina, riprendendosi tutti i poteri con la nomina d'un suo vice. Fra le nuove barbe del potere cairota e le tante barbe finte che ancora ne abitano i palazzi, fra islamici e Consiglio militare, è lo scontro aperto che s'attendeva: anche se non così presto.

«Svilupperemo un nuovo, moderno Stato», dice Morsi, che poi aggiunge: «Le decisioni che ho preso non avevano come obiettivo singoli individui, e non ho l'intenzione di imbarazzare le istituzioni. Non ho inviato alcun messaggio negativo a nessuno, il mio obiettivo è solo l'interesse della nazione e il suo popolo».

Il potentissimo Tantawi, l'eroe di Suez 1956 che per vent'anni guidò la Difesa, il presidente de facto nominato dallo stesso Mubarak per placare le rivolte di piazza, l'uomo forte del Cairo che un cablo americano (rivelato da Wikileaks) già nel 2008 definiva «carismatico e cortese, ma vecchio e restio al cambiamento», a 76 anni il Feldmaresciallo viene congedato con una medaglia, il Nilo d'Oro, che è una patacca peggio d'una medaglia di legno alle Olimpiadi.

Ma pure con un prezioso incarico di «consigliere del presidente» che gli eviterà, forse, un umiliante processo pubblico. Tantawi paga, in un colpo solo, troppe colpe. Quelle storiche, d'essere grande amico degli americani e soprattutto dei sionisti: a inizio luglio, all'insaputa di Morsi, lui e il capo degli 007 Muwafi (licenziato mercoledì) avevano incontrato un inviato del premier israeliano Netanyahu.

E quelle, più recenti, d'essere un pericoloso rivale politico, assai più dei salafiti; d'avere lasciato precipitare il Sinai senza ascoltare le allerta dell'intelligence; d'averne scaricato le responsabilità sul medesimo Muwafi, suscitando molti malumori nei servizi; in definitiva, di «non avere capito le nuove regole della democrazia - spiega un analista militare, Alex Fischman -, perché sono finiti i tempi dei generali egiziani che rispondevano solo a domande scritte».

Tantawi viene silurato con tutto il suo staff e rimpiazzato da un nome seminuovo, Abdellatif Sisi, mentre la nuova carica di vicepresidente d'Egitto - che non esisteva dai tempi di Sadat e che un mese fa sembrava promessa proprio a Tantawi - va a Mahmoud Mekki, il magistrato che nel 2005 guidò le prime proteste contro le frodi elettorali dei Mubarak.

È presto per dire se al Cairo siamo a un cambio di stagione, dalla Primavera araba a una caldissima estate islamica, come il nuovo giro di vite su stampa e tv fa temere. Bisogna pure capire se il contro- golpe porterà a un reale ridimensionamento delle Forze armate, con la fine del dualismo presidenza-generali: Morsi, in realtà, avrebbe deciso la purga ascoltando il parere di molti capi militari, ben felici di barattare la testa dell'ingombrante Tantawi coi poteri legislativi che la stessa ex giunta s'era attribuita il 17 giugno, in un emendamento alla Costituzione, dopo la vittoria elettorale dei Fratelli musulmani.

Dell'esercito, del miliardo e mezzo di dollari che gli Usa versano alla difesa egiziana, Morsi non può ancora fare a meno: il Sinai è da riconquistare, ieri ci sono stati nuovi scontri, uccisi sette qaedisti (e uno solo era egiziano). L'operazione «Aquila», per ripulire la penisola con il consenso degl'israeliani, va avanti. Un giornale telavivi disegna il presidente del Cairo in cima alla torretta d'un tank, mentre scruta il deserto fra lampi e botti: in mano tiene il suo nuovo vangelo, «La guerra al terrore», opera fondamentale di Bibi Netanyahu.

 

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