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Salvatore Merlo per âIl Foglio'
Tutti i politici fedeli sono simili fra loro, ogni politico infedele è infedele a modo suo. Ed è inebriante sgranare il rosario dei tradimenti, veri, verosimili e fasulli che in queste ore si consumano ai piedi di Palazzo Chigi. E così dicono che Renzi ha tradito Letta, ma che Letta ha tradito se stesso e per questo Alfano e Franceschini hanno tradito le larghe intese.
Ma dalle larghe intese si sentono traditi il capo di Confindustria Giorgio Squinzi e il capo della Cgil Susanna Camusso, i quali, a loro volta, di conseguenza hanno tradito il governo. E mentre Renzi è tentato di tradire i traditori, e di proporre un monocolore Pd, adesso a Montecitorio dicono che anche Gennaro Migliore sta per tradire Nichi Vendola ("non ci provino nemmeno", dice il leader di Sel) e che pure Gianroberto Casaleggio si stia precipitando a Roma per arginare il tradimento dei Cinque stelle. E sembra che in Italia le persone tutte d'un pezzo siano monotone e rarissime e che la capacità di tradimento sia plurima, inappagata, permanente.
Diceva Renzi di Letta: "Ogni volta che gli parlo lo convinco che non deve diffidare di me. Enrico, stai sereno. Poi però legge i giornali e ricomincia". E tutto questo tradire lascia alla fine un sentimento di catastrofe confusa e di universale ma trasparente e quasi onesto inganno. Mirabile e sfacciato, per esempio, Marco Meloni, che in un illuminatissimo corridoio della Camera ha recuperato i lettiani che volevano tradire se stessi: cosa c'è di più probo?
Nell'Italia politica il tradimento ha un'eternità di foresta, da sempre si stringono falsi patti per poi romperli al momento giusto. Dunque Alfano e Franceschini fino a mercoledì mattina accarezzavano con la mano destra il loro presidente del Consiglio ammaccato, mentre con la sinistra compilavano la lista del nuovo governo con Renzi.
E Alfano trattava per sé e per Maurizio Lupi ("Quagliariello lo mettiamo al partito"), mentre Franceschini garantiva sé stesso, e ogni tanto provava ad aggiungere di soppiatto nella lista anche Debora Serracchiani. Non c'è dramma, non c'è solennità , è come ascoltare l'Eroica in una trascrizione per armonica da bocca. Piuttosto nei rapporti fra traditi e traditori c'è qualcosa di complice, negli occhi, nei gesti, che li rivelano avversari eppure alleati in un medesimo codice, legati a identici segreti di trucco, a paralleli sortilegi di civetteria politica.
E dunque il tradito Letta assolve il traditore Franceschini, "non abbiamo litigato", e mentre si accoltellano si ringraziano: "Letta ha fatto un grande lavoro", dice Renzi. Alfano lo va a trovare al capezzale di Palazzo Chigi, e tutti sono pronti a recuperarlo, Letta, nel nuovo governo, in Europa, in un futuro prossimo anche al Quirinale: gli danno il ben servito con una pacca sulle spalle. E non è certo un dettaglio che la parola tradire derivi dal latino "tradere", cioè "offrire".
E insomma il tradimento, il voltafaccia, in politica non ha valore sinistro, in sé. Piuttosto, nello zampettare di Alfano, e nel minuetto di Franceschini, come nei silenzi di Camusso e nei mezzi passi di Squinzi - che da Gianni Minoli ha detto: "Napolitano dovrebbe liberarci di Letta" - c'è qualcosa di naturale, persino di modesto. La politica tende a un'ambiguità suggestiva, all'irrealtà di un gioco paradossale d'amori oscuri e bugiardi. E' l'Italia di sempre.
E dunque mai Alfano è stato davvero il "partner", il "socio", il "fratellino" di Letta, e mai questi due uomini politici sono stati davvero "Cip e Ciop", come hanno scritto i giornali. Così come Franceschini non è mai stato il Richelieu di Letta, il suo garante parlamentare, l'uomo che gli sussurrava, con uno studiato giro di frase: "Io vado con Renzi alle primarie, così io e te mettiamo un chip anche lì". La menzogna fluisce nei rapporti politici come un dono, un'incongrua benedizione. E comunque sia, è probabile che i traditori non impressionino poi così tanto gli italiani. Che, se mai, disprezzano i traditi. Ai quali talvolta gridano: cornuto.
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