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Giampaolo Visetti per "la Repubblica"
La paura della Cina e il bisogno della protezione-Usa, assieme alla drammatica crisi economica e alla necessità di riaccendere le centrali atomiche, spingono il Giappone a destra come mai dopo la fine della seconda guerra mondiale. Il primo voto dopo lo tsunami del 2011 e l'esplosione atomica nella centrale di Fukushima, si conferma un terremoto politico.
Crolla il partito democratico (Dpj) del premier Yoshihiko Noda, che si è subito dimesso dalla presidenza dopo che ha ottenuto un sesto dei seggi guadagnati nel 2009, quando il centrosinistra era andato al governo per la prima volta dopo oltre mezzo secolo. A pesare, l'aumento dell'Iva, l'impegno all'addio al nucleare entro 2030 e il declino di industria ed esportazioni. Il Dpj, con 55 seggi, si è ridotto attorno al 12%. «Paghiamo il prezzo pesante di scelte necessarie - ha detto Noda - e me ne assumo la responsabilità ».
Per i liberal-democratici (Ldp) del falco Shinzo Abe, 58 anni, già primo ministro tra il 2006 e il 2007, il trionfo nelle elezioni anticipate di ieri va invece al di là delle attese. Con oltre il 60% dei voti e circa 300 dei 480 seggi, superano da soli i due terzi alla Camera bassa e ottengono la maggioranza qualificata, scongiurando lo spettro della paralisi politica e dei veti incrociati al Senato.
Un dato politico netto: i giapponesi hanno bocciato i tre anni e mezzo di caos, indecisioni e promesse mancate del Dpj e hanno scelto di riconsegnare il Paese nelle mani di chi ha segnato l'epoca d'oro della ricostruzione della terza potenza mondiale. Tokyo ritorna così all'alleanza storica di destra tra Ldp e i buddisti del Nuovo Komeito (29 seggi, il 6%) che fino a tre anni e mezzo fa aveva governato la nazione dal 1955. La rivincita della destra va però oltre il tradizionale blocco di potere. I neonati ultra-nazionalisti del Partito per la
restaurazione del Giappone (Jrp) diventano la terza forza e sono a un soffio dai democratici.
I grandi sconfitti dalle urne, assieme proprio ai democratici, sono invece gli anti-nuclearisti di Giappone Futuro, una decina di seggi pari al 2%, a conferma che il terrore dell'impoverimento e di un definitivo tramonto economico pesa oggi per i giapponesi assai di più dei timori di una catastrofe atomica. Oltre al fattore-Fukushima, decisivi si sono rivelati la voglia di cambiare dopo il fallimento dei democratici, che dal 2009 hanno bruciato tre premier e decine di ministri, e la speranza di ricostruire il sistema- Giappone in una fase di alta tensione con i vicini di Cina, Corea del Nord e Corea del Sud.
«Lo scontro con Pechino sull'arcipelago delle Senkaku-Diaoyu - dice Yasuyuki Matsunaga, docente di politica internazionale all'università di Tokyo - ha giocato un ruolo centrale. Tre anni fa il centrosinistra aveva vinto grazie alla promessa di smantellare la base militare Usa di Okinawa. Lo scenario è totalmente cambiato. Le dispute territoriali con Pechino e Seul, la corsa atomica e i missili di Pyongyang, tornano a spingere il Giappone verso Washington e a favorire la presenza Usa nel Pacifico».
Shinzo Abe, padre ex ministro degli Esteri e nonno premier, già delfino del rimpianto Koizumi, in gennaio effettuerà la prima visita all'estero proprio alla Casa Bianca, mentre nel 2006 era andato a Pechino. Nelle prime dichiarazioni ha rilanciato la necessità di «ricostruire le relazioni con l'America», e di «rispondere alle provocazioni di Cina e Corea del Sud». «Le isole Senkaku - ha detto in tivù - appartengono al Giappone». Si è concentrato però subito sull'economia, sottolineando l'urgenza di «rifondare il modello del nostro miracolo post-bellico».
Tra le priorità , con un debito oltre 230% del Pil e un Paese nella spirale recessione- deflazione, la revisione dei poteri della banca centrale, l'attacco allo yen forte, un progressivo ritorno al nucleare e il rinvio del pur confermato raddoppio dell'Iva. «A trionfare - dice il politologo Minoru Morita - sono state le paure della popolazione anziana: perdere pensioni, stato sociale e sanità ». Problemi che anche Tokyo sa di non poter più risolvere da sola e che hanno proprio nella Cina la prima responsabile.
Da settembre, con lo scoppio della crisi nel Mar cinese orientale, la bilancia commerciale con il partner più importante è crollata. La destra di Abe e degli ultra-nazionalisti ha trionfato grazie agli slogan anti-cinesi, ma si vede costretta a ricucire i rapporti prima che la tensione precipiti in uno scontro armato.
Pechino si è subito augurata che «i falchi di Tokyo non volino anche in politica estera», invitando il nuovo premier a «placare le tensioni con i Paesi vicini ». Un messaggio diretto anche agli Usa. Dopo tre anni di gelo ritrovano un alleato strategico, ma sempre meno influente: a difesa del quale non hanno alcuna intenzione di farsi trascinare ora in un conflitto con la nuova super-potenza da cui essi stessi dipendono.
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