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1 - DELL'UTRI, MORI E DE DONNO TRIANGOLO A PROCESSO: "ANDIAMO A CENA, TANTO SIAMO COINDAGATI"...
Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza per il "Fatto Quotidiano"
Cordialità telefoniche (e una cena in programma) tra il senatore condannato in appello per mafia e il segugio in divisa dell'antimafia in occasione della Cassazione che ha rinviato il giudizio e i misteri, raccontati dal pentito Gaspare Spatuzza, del fallito attentato dell'Olimpico che segnò, nel febbraio del '94, la fine delle ostilità tra Stato e mafia: dopo la pausa estiva il processo al generale Mori, accusato di avere fatto fuggire il boss Provenzano, riparte dai rapporti tra Marcello Dell'Utri e i carabinieri che per i pm di Palermo vanno ben al di là dell'aspetto istituzionale e investono la sfera dell'amicizia privata.
Per questo i pm Antonio Ingroia e Nino Di Matteo hanno chiesto ieri mattina l'acquisizione di una serie di intercettazioni telefoniche tra cui una conversazione tra lo stesso Dell'Utri e l'ex colonnello del Ros Giuseppe De Donno, che risale al 10 marzo 2012, ovvero al giorno successivo alla sentenza della Cassazione che aveva annullato la condanna d'appello a 7 anni per il senatore del Pdl.
Il contenuto (ancora top secret) di questa conversazione si evince dal tono della telefonata successiva tra De Donno e Mori, nella quale l'ex colonnello racconta al suo superiore di aver chiamato Dell'Utri e di essersi complimentato per l'esito della sua vicenda processuale, ricevendo l'approvazione del generale. De Donno è molto felice della decisione della Suprema Corte.
Dell'Utri risponde che anche lui è contento e che "qualcuno serio ancora c'è". In un'altra telefonata del novembre 2011 il colonnello chiama Mori e parla ancora di Dell'Utri e del processo di Palermo: "Mi ha detto: eh, veramente questi pigliano cazzi per lanterne. Gli ho detto: guardi, mi farebbe piacere se una sera andiamo a cena con il generale, a questo punto essendo coindagati non ce lo possono neanche negare".
Ma nel processo per la mancata cattura di Bernardo Provenzano, frutto marcio, secondo l'accusa, della trattativa Stato-mafia, oltre al controverso pentito Gaspare Spatuzza, (creduto per via D'Amelio, giudicato inattendibile nel processo Dell'Utri) irrompe a sorpresa anche la motivazione della sentenza Andreotti, disposta dal Tribunale e in grado di procurare qualche preoccupazione all'accusa: che cosa c'entra, infatti, Andreotti con Mori?
L'unica spiegazione possibile è che - essendo a suo tempo il presidente Mario Fontana l'estensore delle motivazioni di quel verdetto che decretava la prescrizione per le condotte di concorso esterno fino all'80 e l'assoluzione per quelle successive - il Tribunale voglia verificare l'attendibilità del collaboratore Stefano Lo Verso, ex guardaspalle di Provenzano, a partire proprio da quello spartiacque temporale, poi confermato dalla Cassazione.
Lo Verso, che attribuisce ad Andreotti un ruolo chiave nelle stragi (di oltre dieci anni successive all'80) non è certo un pentito di secondo piano: è l'uomo che sostiene di aver saputo da Provenzano che era protetto "da un potente dell'Arma". Ed è sempre lui ad aver dichiarato in aula: "Provenzano mi disse che le stragi sono state un favore ad Andreotti". Aggiungendo poi che "dopo le stragi mi disse che i suoi uomini si erano messi in contatto con Dell'Utri, che aveva preso il posto di Lima''.
Più chiara, invece, la ragione della chiamata in aula di Spatuzza, convocato in videoconferenza per il prossimo 5 ottobre, raccontare nell'aula del processo agli ufficiali del Ros Mario Mori e Mauro Obinu tutti i retroscena del fallito attentato allo stadio Olimpico di Roma. Il collaboratore dovrà riferire quanto dice di aver appreso dai boss Giuseppe e Filippo Graviano sulle stragi del â93 e, in particolare, sul progetto di far saltare due pullman pieni di carabinieri durante la partita Lazio-Udinese, nel gennaio '94.
A sentire Spatuzza, la strage dell'Olimpico era stata pensata per uccidere "almeno 100 carabinieri" e conferire una sorta di "colpo di grazia" allo Stato, nell'ambito del braccio di ferro ingaggiato sul carcere duro. L'atto terroristico, secondo alcune ricostruzioni, fallì per un guasto al telecomando che avrebbe dovuto far saltare una Lancia Thema imbottita di chiodi e tritolo in via dei Gladiatori. Ma non è ancora del tutto chiaro come mai da quel momento in poi la strategia stragista di Cosa nostra arrivò a uno stop definitivo.
Di certo c'è che appena due mesi prima, nel novembre del '93, l'ex Guardasigilli Giovanni Conso aveva revocato 334 provvedimenti di 41 bis per altrettanti detenuti mafiosi. Ora i giudici che processano Mori e Obinu (accusati di favoreggiamento per la mancata cattura del boss Binnu Provenzano nel blitz di Mezzojuso del 1995) vogliono verificare se il piano omicida dell'Olimpico che si proponeva di far strage di carabinieri è da leggere come un "segnale" diretto agli investigatori del Ros proprio perché erano stati loro i protagonisti della trattativa, così come ha ipotizzato nei mesi passati il pentito Giovanni Brusca.
Tra le carte depositate dai magistrati, infine, c'è anche un'intervista all'ex presidente della Commissione Antimafia, Luciano Violante al periodico "Radio Corriere Tv" nell' agosto 1993. L'avvocato Basilio Milio, difensore di Mori, ha invece chiesto l'esame dei magistrati Fausto Cardella, Gioacchino Natoli e di Tito Di Maggio, fratello dell'ex vicecapo del Dap Francesco Di Maggio. Cardella, pm che fu titolare dell'inchiesta su via D'Amelio, dovrà dire se è vero (come asserisce un testimone) che fu depositario di un suggerimento di Agnese Borsellino a farsi aiutare dai carabinieri nelle indagini.
Natoli dovrà riferire di una cena romana che risale al luglio del '92 con Paolo Borsellino, Guido Lo Forte e il senatore Carlo Vizzini nella quale si parlò delle indagini su mafia e appalti. Sarà sentito infine nella prossima udienza, insieme a Spatuzza, anche il colonnello dei carabinieri Antonello Angeli, protagonista della perquisizione nella villa all'Addaura di Massimo Ciancimino, il 17 febbraio 2005, indagato nell'inchiesta sulla trattativa per il mancato sequestro del cosiddetto "papello".
2 - PALERMO, INDAGATA LA MOGLIE DI DELL'UTRI - L'ACCUSA: «RICICLAGGIO DEI SOLDI DI BERLUSCONI»...
Da "Corriere.it"
La moglie del sen. Marcello Dell'Utri, Miranda Ratti, è indagata dalla procura di Palermo per riciclaggio aggravato nell'ambito dell'inchiesta sulla presunta estorsione che il fondatore di Forza Italia avrebbe fatto a Silvio Berlusconi chiedendogli in 10 anni 40 milioni di euro per non parlare dei suoi rapporti con i boss di Cosa nostra.
Secondo la procura la moglie di Dell'Utri avrebbe fatto sparire 14 milioni l'8 marzo scorso. I magistrati, attraverso una serie di accertamenti bancari, hanno scoperto che negli ultimi 10 anni l'ex premier ha dato all'ex manager di Publitalia circa 40 milioni di euro, e stanno cercando di individuare eventuali beneficiari dei «prestiti» nell'entourage del senatore e tra i suoi parenti.
VILLA SUL LAGO - Circa quindici milioni che costituiscono una parte del prezzo pagato da Berlusconi per l'acquisto della villa sul lago di Como del senatore (in tutto per la lussuosa residenza l'ex presidente del Consiglio ha pagato 21 milioni) finirono sul conto di Miranda Anna Ratti, moglie di Dell'Utri. Il versamento porta la data dell'8 marzo, il giorno prima che la Cassazione si pronunciasse sulla condanna a 7 anni in appello per concorso in associazione mafiosa inflitta al politico.
Subito dopo una parte dei 15 milioni vennero girati su un conto di una banca di Santo Domingo. Il sospetto degli inquirenti è che Dell'Utri al momento della pronuncia del verdetto che ha poi annullato con rinvio il processo, fosse nel paese centroamericano dove, grazie al denaro dell'ex premier, avrebbe potuto trascorrere la latitanza. Berlusconi, sentito il 5 settembre scorso nell'ambito dell'inchiesta, ha negato pressioni, minacce o estorsioni da parte di Dell'Utri.
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