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Angela Vitaliano per Il Fatto Quotidiano
Nastro adesivo bianco sul pavimento, per delimitare i confini di una cella, una gabbia, come lui stesso l'ha definita. Bradley Manning, il soldato americano, detenuto dal 2010, dopo essere stato accusato di avere "passato" migliaia di file "top secret" a Wikileaks, ha testimoniato giovedì e venerdi, per diverse ore, raccontando i dettagli più inquietanti della sua detenzione. Permettere, attraverso quel nastro adesivo, alla giuria di immaginare lo spazio disumano in cui per mesi è stato costretto, è uno degli elementi su cui la sua difesa sta fortemente puntando per chiedere la sua assoluzione.
Eventualità che sembra difficile dati i pesanti capi di imputazione dei quali il giovane deve rispondere e che includono quello di "aver aiutato il nemico", per il quale è addirittura prevista la pena capitale che, tuttavia, l'accusa ha già garantito di non voler richiedere. à indubbio, tuttavia, che l'evidente crudeltà messa in pratica durante la detenzione di Manning, potrebbe in qualche modo spingere il giudice ad una maggiore clemenza nei suoi confronti.
Nel suo racconto di fronte alla corte di Fort Meade nel Maryland, il 25enne, ha risparmiato ben pochi dettagli, dal suo arresto nel maggio del 2010, soffermandosi in particolare su quei primi mesi nella "gabbia", resi ancora più insopportabili da 23 ore di totale isolamento e dall'obbligo alla totale nudità durante la notte, per prevenire possibili tentativi di suicidio con l'utilizzo degli abiti. Manning ha detto di aver avuto un vero e proprio crollo psicologico verso la fine di giugno 2010 e che la sua memoria, relativa a quei giorni, passati, secondo testimonianze esterne, ad urlare e piangere in maniera incontrollabile, è molto incerta ma che gli è rimasto chiaro il ricordo del suo desiderio di voler porre fine alla sua esistenza.
L'alienazione di Manning durante i lunghi mesi di isolamento raggiunse stadi così severi da costringere il giovane a giocare a nascondino con sé stesso riflesso in uno specchio e a inventarsi persone e attività immaginarie per far passare le ore. La testimonianza di Manning, fra l'altro, arriva proprio nelle stesse ore in cui Julian Assange, rifugiato presso l'ambasciata dell'Ecuador di Londra, fa sapere di essere affetto da un'infezione polmonare, conseguenza del suo "essere costretto a vivere in uno spazio circoscritto".
Considerato che le autorità britanniche hanno immediatamente annunciato che "non gli impediranno di ottenere nessuna cura necessaria", la sua condizione, all'interno di un'ambasciata molto più ampia della cella di Mannings, di cui peraltro Assange non si è mai particolarmente occupato, evidenzia ancor di più lo squilibrio esistente fra la posizione dei due: uno, comunque, diventato una star e l'altro con una vita, in ogni caso, segnata in maniera indelebile.
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