DAGOREPORT – AVVISATE IL GOVERNO MELONI: I GRANDI FONDI INTERNAZIONALI SONO SULLA SOGLIA PER USCIRE…
Paolo Valentino per il Corriere della Sera
Un eroe tragico, un gigante senza pace, il comunista che cercando di salvarlo seppellì il comunismo, il patriota che con le migliori intenzioni preparò la fossa al primo Stato socialista della Storia.
Tutto questo e altro ancora è stato Mikhail Sergeyevich Gorbaciov — morto martedì 30 agosto a 91 anni —, l’uomo che, come Icaro, pensò di poter volare vicino al sole ma finì per distruggere sé stesso e l’opera che voleva preservare.
Se potessimo arbitrariamente ridurre a una sola persona, a una sola biografia il Novecento e quelle che Paul Klee chiamava le sue Harte Wendungen, le sue svolte brusche, molto probabilmente questa sarebbe Gorbaciov, ultimo leader dell’Unione Sovietica, vero demolitore del Muro di Berlino e architetto di quella perestrojka che si rivelò il canto del cigno della Superpotenza comunista.
«Non si poteva andare avanti allo stesso modo», disse in una delle ultime interviste ricordando il suo disperato tentativo di riformare un sistema ormai ossificato, travolto dalla bancarotta ideologica, politica ed economica. Un passo obbligato, nella sua visione, ma un passo avventato.
Che in fondo lo denudò come cattivo marxista: al contrario dei compagni cinesi, che avrebbero aperto a un capitalismo selvaggio stringendo le viti della democrazia e difendendo brutalmente il ruolo di guida del partito, Gorbaciov iniziò dalla sovrastruttura politica (la glasnost, la fine della censura, il diritto a manifestare) mentre si mosse poco e confusamente nella struttura economica, mezze riforme e timide aperture al mercato. E intanto, costretto dal riarmo dell’America di Reagan e sperando negli aiuti dell’Occidente, col quale si era vantato di avergli tolto il nemico, cedette pezzo per pezzo i cardini della potenza sovietica: gli euromissili, le armi strategiche e quelle convenzionali, il patto di Varsavia, le aree di influenza.
Quando nel 1989, il generale Sergeij Akromeev incontrò per la prima volta il nuovo capo della delegazione americana ai negoziati Start, Richard Burt, gli disse senza perifrasi che Gorbaciov aveva tradito il comunismo, ma che lui, che aveva combattuto nell’assedio di Leningrado, non avrebbe mai permesso che l’Unione Sovietica venisse umiliata in quella trattativa. Andò diversamente.
Ma l’aneddoto conferma che quella di Gorbaciov era la ricetta perfetta per essere odiato in patria: i russi stavano peggio, vedevano la loro superpotenza denigrata e per la prima volta in quattro secoli potevano anche protestare a voce alta.
L’Occidente e il mondo devono però molto a Michail Sergeyevich, che non si è mai pentito delle sue scelte, convinto che non si potessero negare le aspirazioni alla libertà e alla democrazia di polacchi e cechi, ungheresi e tedeschi dell’Est. Rimane scolpita nel marmo la frase con cui ammonì Erich Honecker, eterno leader della Ddr, innescandone la fine: «La vita punisce chi arriva in ritardo». Il paradosso fu che la profezia sarebbe valsa anche per lui.
Si è sempre lamentato Gorbaciov, che dopo la fine della Guerra fredda i leader occidentali non seppero costruire una nuova architettura della sicurezza in Europa. E che nell’umiliazione inflitta alla Russia negli anni Novanta affondino le radici del revanscismo neo-imperiale di Vladimir Putin. Verità elementare.
Ma la sua ferma convinzione che ogni nazione dovesse decidere da sé il proprio destino, riassunta da un suo collaboratore nella cosiddetta «dottrina Sinatra» citando la celebre My Way, è l’esatto opposto della pretesa dell’attuale leader del Cremlino di poter imporre lui, a suon di cannonate, cosa debbano essere un Paese e un popolo.
Requiem per un grande della Storia.
NICHOLS
MARILISA PALUMBO per il Corriere della Sera
«Ronald Reagan non avrebbe potuto fermare la guerra fredda senza Gorbaciov, avevano uno bisogno dell'altro. Reagan era entrato in carica impegnandosi a contrastare l'Unione Sovietica, ma arrivati al 1984 aveva cominciato a cercare dei partner con cui parlare a Mosca e non riusciva a trovarne finché non arrivò Gorbaciov.
Entrambi avevano capito di non poter andare avanti così. Reagan aveva compreso che la corsa agli armamenti era andata troppo oltre. Gorbaciov sapeva che l'Unione Sovietica non poteva continuare sulla strada che stava percorrendo. Entrambi erano uomini disposti a parlare di un vero cambiamento. Per Gorbaciov fu però un processo molto più complicato perché aveva tantissimi oppositori in casa».
Tom Nichols, sovietologo che per anni ha insegnato allo Us Naval War College, conosciuto in Italia per il suo libro sulla fine della competenza, vuole sottrarsi però alle mitizzazioni: «Fece molti errori, ma alla fine scelse la cosa più importante, di essere un essere umano. Non dovremmo farne una figura troppo romantica, ha passato la vita nel Partito comunista e il suo mentore era Yuri Andropov, che era stato anche capo del Kgb, un personaggio davvero terrificante. Ma davanti al dilemma se usare la forza per mantenere insieme l'Urss e il Patto di Varsavia, scelse l'opzione di essere un essere umano».
mikhail gorbaciov boris eltsin
Si ricorda quando ha sentito parlare per la prima volta di lui?
«Studiavo l'Unione sovietica al college, e la prima cosa che mi colpì di lui era quanto fosse giovane. Era un'altra generazione, e la cosa mi rendeva speranzoso. Poi più avanti, quando lui e Reagan dichiararono insieme che una guerra nucleare non si sarebbe mai dovuta combattere, pensai che era un momento importante, ma come molti americani, essendo cresciuto guardando figure come Brezhnev e appunto Andropov, ancora non mi fidavo appieno».
Chi fu nell'amministrazione Usa a capire di avere davanti una persona diversa?
mikhail gorbaciov con la moglie raissa
«Nancy Reagan, per cominciare. E Shultz (il segretario di Stato di Ronald Reagan, scomparso lo scorso anno, ndr )».
Fu lasciato solo alla fine?
«Io credo che lo aiutammo standogli fuori dai piedi. George H. Bush disse: "Non danzeremo sul muro di Berlino", e noi cercammo di non umiliarlo, di trattarlo come un pari fino alla fine ed è stato importante.
Non c'era molto altro che potessimo fare, non provammo a convincerci di poter in qualche modo influenzare gli eventi all'interno dell'Unione Sovietica. E lui era molto odiato in casa, non è mai riuscito a farsi rieleggere in Russia. E poi le sue storie sulla fine dell'Unione sovietica cambiavano in continuazione a seconda del suo interlocutore: se parlava in Occidente diceva una cosa, se parlava in Russia sosteneva che la caduta dell'Urss era stata una tragedia».
E dopo, negli anni di Eltsin? Si poteva fare di più per coinvolgere la Russia nel nuovo ordine mondiale?
«Non so che cosa altro avremmo potuto fare, abbiamo trattato Mosca come una potenza più grande di quanto non fosse davvero, l'abbiamo fatta entrare nel G7... La terribile realtà sulla guerra in Ucraina è che Mosca non accetterà mai che sia un Paese separato».
mikhail gorbaciov mikhail gorbaciov e ronald reagan firmano l accordo sui missili MIKHAIL GORBACIOV CON LA MOGLIE RAISSA mikhail gorbaciov 22boris eltsin mikhail gorbaciov mikhail gorbaciov giulio andreotti mikhail gorbaciovdalai lama mikhail gorbaciovshimon peres mikhail gorbaciov ronald reagan mikhail gorbaciov a reykjavic nel 1986
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