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Carmelo Lopapa per "la Repubblica"
Sono le ore della grande fuga. Del Pdl che rischia di implodere sotto il peso dei veti al governo Monti. Ore in cui Pier Ferdinando Casini riceve a sorpresa le telefonate di un paio di ministri per capire che spazi ci sono nel nuovo esecutivo. E in cui La Russa, Meloni, Gasparri, Matteoli e gli ex An si ritrovano all´angolo, pronti comunque a dare battaglia in nome del voto subito.
à un gabinetto di guerra dai toni a tratti drammatici, quello che riunisce per due ore nella sala del governo di Montecitorio tutto lo stato maggiore del Pdl, dirigenti e ministri in testa.
à tardo pomeriggio, il segretario Alfano si ritrova tra i due fuochi, prende tempo, rimanda la decisione a Berlusconi. Ma intanto vede pezzi del partito allontanarsi e la sua leadership vacillare sotto i probabili smottamenti. La battaglia impazza dal momento in cui arriva la notizia della nomina a senatore a vita di Mario Monti, con tutte le implicazioni che comporta. à un detonatore che manda in frantumi i berluscones.
Il veto all´esecutivo di emergenza nazionale lo pongono - dentro e fuori quel vertice - gli irriducibili Sacconi, Paolo Romani, Brunetta, La Russa, Gasparri, Meloni. Si mettono di traverso: «Un governo tecnico non lo sosterremo mai». Poco prima di loro, uno dopo l´altro, i ministri Frattini e Fitto e con loro anche Maurizio Lupi e Gaetano Quagliarello, hanno preso la parola per sostenere che «le elezioni adesso non farebbero bene al Paese e tanto meno al Pdl: andremmo verso una sconfitta certa».
Si rivolgono al segretario già candidato da Berlusconi alla premiership: «Non conviene neanche a te andare a schiantarsi, perché sarebbe quella la fine inevitabile». Una corsa spedita di un treno senza freni. Nelle ore precedenti tanto Scajola quanto Formigoni hanno recapitato ad Alfano il medesimo messaggio. La Gelmini, che fino alla sera prima in tv aveva sponsorizzato la corsa alle urne, tace al vertice: la situazione è troppo fluida per sbilanciarsi. Il segretario ascolta, spiazzato, non si attendeva il via libera dei ministri e dirigenti a lui più vicini al governo Monti.
Dice: «Forse le elezioni per noi non sono la soluzione migliore, come dite voi. Ma dobbiamo aspettare che il presidente ci ragioni su e detti la linea». Fondamentale che a questo punto entri nell´operazione la Lega. Il fatto è che a poca distanza da lì, il ministro Matteoli riunisce trenta deputati pdl a lui vicini per proclamare il loro "no" al governo tecnico. Li raggiunge per pochi minuti anche Andrea Ronchi: «Alfano premier con l´Udc dentro, è la soluzione, o voto subito».
Sono quasi tutti gli ex An rimasti nel Pdl a dichiarare guerra a Monti: «Lo vivremmo con disagio» spiega Massimo Corsaro. Urso, Scalia e Buonfiglio - con i quali Ronchi aveva appena costituito la componente FareItalia alla Camera - hanno già fatto sapere che invece vedono come soluzione inevitabile l´esecutivo di emergenza. Urso d´altronde aveva parlato sia con Fini che con Casini, nelle ultime 24 ore.
Al Senato, Pisanu incontra i pd Finocchiaro e Zanda. L´ex ministro, con Saro, Dini, Lauro, Del Pennino lavora già al documento di sostegno al governo di responsabilità . Schierati anche i tre senatori vicini a Micciché, oltre all´ormai ex Vizzini. Dal gruppo Pdl a Montecitorio danno in uscita Franco Stradella, Enrico Pianetta, Gerardo Soglia, corteggiati dai centristi. E si preparano a lasciare Cristaldi e Pecorella. Ma Alfano vede materializzarsi il rischio che pezzi della classe dirigente Pdl, oltre che i peones, traslochino in blocco alla corte di Casini, allettati dalle sirene dei sondaggi.
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