LOTTERIA QUIRINALE - IL ‘GRANDE PATTO’ SULLE RIFORME SILVIO L’HA FATTO CON D’ALEMA, VELTRONI, FASSINO, MONTI, LETTA, BERSANI. ED È SEMPRE SALTATO - GLI ETERNI QUIRINABILI, ANCHE SE GIÀ IMPALLINATI: PRODI, AMATO, MARINI. I NUOVI: VELTRONI E BERSANI

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1. TORNA IL VALZER DEL GRANDE PATTO MA IN 20 ANNI SOLO GRANDI FLOP

Mattia Feltri per “la Stampa

 

Si direbbe che risuccede e, se risuccede, avremo una nuova fertile stagione di retroscena incaricati di scoprire chi ha fatto saltare tutto: Silvio Berlusconi o Matteo Renzi?


Perché a distanza di diciassette anni e qualche mese ancora non si è stabilito se a far saltare tutto - nella Bicamerale del 1997 - fosse stato il medesimo Berlusconi (indiziatissimo) oppure l’interlocutore del momento, Massimo D’Alema. La Seconda repubblica era cominciata da tre anni soltanto ma già non se ne poteva più del tafferuglio quotidiano, e già si avvertiva, soprattutto, la necessità di ammodernare le istituzioni, passate a nuova vita esclusivamente per la riforma della legge elettorale: il bipolarismo era sbocciato con l’introduzione del sistema maggioritario.

renzi berlusconirenzi berlusconi

 

Le comari si erano tese la mano per il supremo interesse della pacificazione e della modernizzazione, e il capo del centrodestra era molto fiero dell’acrobazia linguistica con cui aveva gratificato il (semi)capo del centrosinistra: «Il migliore dei peggiori». Si corteggiavano da qualche tempo: D’Alema era andato a Cologno Monzese a dichiarare Mediaset bene dell’umanità, e a restituire la visita concessa dall’altro al congresso del Pds (1995).

 

renzi berlusconi ventriloquorenzi berlusconi ventriloquo

Quella volta il grande tombeur aveva parlato di futuro e amicizia e interessi comuni, e aveva strappato D’Alema dalla sedia, in piedi ad applaudire. Secondo la prognosi berlusconiana, per il comunismo non c’era più niente da fare: intanto D’Alema non era doppio - «se dice sì è sì, se dice no è no» - e poi «parla come un vero socialdemocratico».

Quando, in introduzione all’incontro del Nazareno, Berlusconi si è congratulato col nuovo segretario del Pd («Renzi è una cosa diversa, non ha le stesse idee del partito, ancora formato da uomini del Pci che non hanno mai abbandonato l’ideologia comunista. Con lui anche in Italia si potrebbe avere un partito socialdemocratico»), questo giornale ebbe l’indelicatezza di ricordare - in caso di memorie deboli - che se Berlusconi intuisce un socialdemocratico nell’improvviso diradarsi del bolscevismo, bè è il preludio del disastro.

 

Nel 2007 (governo Prodi) era stato scortato dentro al PalaMandela di Firenze dai portuali di Livorno, grande gesto di rispetto dalla dirigenza avversaria, e aveva sentito Piero Fassino teorizzare che le riforme si fanno tutti assieme o non si fanno. Una stella cometa: Berlusconi aveva scoperto un Fassino dotato di una «volontà coraggiosa», la volontà di coltivare «l’idea socialdemocratica». Poi non se n’è fatto nulla, forse non c’è stato il tempo ma, giusto l’anno dopo, l’occasione si è ripresentata con Walter Veltroni alla guida del nascente Partito democratico. Meglio di così non poteva andare, disse Berlusconi, perché il segretario era «un socialdemocratico».

 

renzi mogherini napolitanorenzi mogherini napolitano

Certo, circondato da vopos nostrani, ma con un socialdemocratico di quella stoffa «mai c’è stata come oggi la possibilità di varare in dodici mesi la riforma elettorale e quella istituzionale». E invece niente, tempo qualche mese e al rieletto presidente del Consiglio toccava constatare che «il Pd non è ancora riuscito a diventare un partito socialdemocratico».

Nel frattempo abbiamo sentito da Arcore rallegramenti anche per la presa del potere del «socialdemocratico» Pierluigi Bersani, con il quale Berlusconi avrebbe prolungato le larghe intese sperimentate in sostegno all’esecutivo di Mario Monti (un anno e mezzo e zero riforme). Che è successo se lo ricordano tutti, le larghe intese è toccato rimetterle in piedi a Enrico Letta, il Nipote. Siccome è democristiano, non teneva al titolo di socialdemocratico, e nel suo governo di comunista non c’era nemmeno un sospiro, e semmai c’erano ministri forzitaliani designati da Berlusconi in nome di una legislatura finalmente costituente, finalmente di pacificazione, finalmente di modernizzazione eccetera eccetera. 

FRANCO MARINI E PIERLUIGI BERSANI FRANCO MARINI E PIERLUIGI BERSANI


Se c’è però un pregio da riconoscere al leader permanente del centrodestra è di conservare un buon intuito, e infatti sostituì Letta con Renzi ben prima che lo facesse il Pd. «Se Renzi vince le primarie si verifica questo miracolo: il Pd diventa finalmente un partito socialdemocratico». Ed è un Pd con cui «avremmo certamente la possibilità di collaborare». Eh, sarà colpa del destino.

 

2. PROFILO BASSO, POCA POLITICA E INIZIATIVE BIPARTISAN: COSÌ I SOLITI NOTI CI PROVANO

Andrea Cuomo per “il Giornale

 

FRANCESCO RUTELLI PIERFERDINANDO CASINI__FRANCESCO RUTELLI PIERFERDINANDO CASINI__

Sono i Toto Cutugno del Quirinale. A ogni elezione del presidente della Repubblica eccoli là, candidati di default al totocolle, finti tonti che non hanno nessun bisogno di autopromuoversi, tanto troveranno qualcuno che lo farà al posto loro. Consentendo loro di vestire l'abito preferito del candidato alla poltronissima: quello della noncuranza, del «mi si nota di più se non vengo o se vengo e mi metto in un angolo?», della saggezza low cost da manualetto.


L'elenco è il solito: comprende più o meno tutti gli ex leader del Pd e delle sigle da cui esso discende (Massimo D'Alema, Romano Prodi, Giuliano Amato, Walter Veltroni, Piero Fassino, Pier Luigi Bersani), più un paio di uomini per tutte le stagioni (Pier Ferdinando Casini, Francesco Rutelli) e un paio di salvatori della Patria dai poteri attivi (Mario Draghi) o scaduti (Mario Monti). Ognuno affronta questa campagna elettorale carsica a modo suo, ma il basso profilo è d'ordinanza, se non altro perché come tra i pistard il primo che scatta è destinato alla sconfitta. E quindi meglio interminabili souplesse.

RENZI NAPOLITANORENZI NAPOLITANO


Prendete Romano Prodi. Ad aprile 2013 aveva già iniziato a riempire gli scatoloni per il trasloco al Quirinale. Poi 101 franchi tiratori del Pd lo impallinarono costringendolo a disdire l'appuntamento con i facchini. Da quel trauma Prodi non si è più ripreso e un altro macigno è rappresentato dal sospetto che esista una conventio ad excludendum tra Renzi e Berlusconi contro di lui. «Chiunque ma non Prodi» potrebbe essere l'inno del Nazareno. Ma le corse al Quirinale sono una bagarre indecifrabile e iniziare la partita con l'ostilità di chi mischia il mazzo e dà le carte potrebbe essere l'asso nella manica dell'unico leader della sinistra ad aver battuto Berlusconi.

MASSIMO D ALEMA E SILVIO BERLUSCONIMASSIMO D ALEMA E SILVIO BERLUSCONI


Chi un paio di anni fa aveva lavorato duro per salire al Colle era stato Mario Monti. Nella breve e frenetica parabola dell'economista da Superman a ingrigito Clark Kent sembrò a un certo punto che potesse essere lui il successore di Giorgio Napolitano al termine del suo primo mandato. All'uopo Monti, ridimensionato dal voto delle politiche di febbraio 2013, mise a disposizione i suoi voti al Pd per la difficile formazione del governo e poi si emarginò da Scelta Civica per guadagnarsi una nuova verginità. Non funzionò. Ciò non toglie che il nome di MM sia ancora lì, tra i papabili di diritto.

berlusconi veltroniberlusconi veltroni


Papabile evergreen è anche Walter Veltroni, che vanta buoni rapporti con Renzi, è l'ex leader democratico meno inviso a Berlusconi e in fondo potrebbe dialogare con i grillini. Da tempo gioca su tavoli contigui alla politica come la Rai e la Figc, scrive libri e filma film. Un ruolo da outsider furbetto. Lo stesso fa Francesco Rutelli, laico devoto che di recente si è tolto lo sfizio di intestarsi la nascita politica di Matteo Renzi («era nella mia corrente della Margherita») per vedere l'effetto che fa e nel frattempo intrattiene buoni rapporti con i due Papi (il titolare e l'emerito) per darsi una certa qual grandeur. Potrebbe funzionare.

romano prodiromano prodi

 

Nella ricca cartella dei padri nobili della sinistra italiana ci sono anche i file di Piero Fassino, dell'immarcescibile Giuliano Amato (uno che verrebbe buono qualora si manifesti la necessità di non far storcere troppo la bocca al Cavaliere), di Pier Luigi Bersani, e infine di Franco Marini, un altro ex quasi presidente del quale non si hanno più tracce.

AMATO, NAPOLITANO, DE GENNAROAMATO, NAPOLITANO, DE GENNARO


Infine i premi speciali della giuria. Premio chi-me-lo-fa-fare a Mario Draghi, l'unico che al momento ha qualcosa a cui rinunciare, cioè la presidenza della Bce. Quindi fa il ritroso, ma i bookmaker continuano a tenerlo d'occhio. Premio rieccolo a Pier Ferdinando Casini. La silhouette istituzionale non gli manca, così come quel talento nell'esser sempre al centro fingendo di star fuori, di essere terzo anche quando è schierato. Certo, al momento è sull'Aventino. Ma non è un Colle anche quello?