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Carlo Bertini per “La Stampa”
MATTEO RENZI E PIERCARLO PADOAN
È la prima volta che il governo lo ammette e lo fa nella sua forma più solenne, un’informativa del ministro Padoan alla Camera su richiesta di Forza Italia. La crescita economica è in ritardo rispetto alle previsioni e dunque ora «i margini si restringono». Malgrado ciò il governo ha intenzione di confermare gli 80 euro per gli anni a venire, anche se già si saldano due fronti di opposizione: uno esterno, con Brunetta che spara a zero chiedendo come farà Renzi ad evitare una manovra. «Servirebbe un miracolo e in realtà ci attende un autunno tragico».
E quello interno, con Stefano Fassina che indossa le sembianze del «gufo» cifrando pure l’ammontare di una «manovra insostenibile», 23 miliardi di euro, al di là di quanto sostengono quelli che fanno «gli struzzi». Soldi che serviranno al netto di risorse aggiuntive per mantenere la promessa di estendere il bonus a partite Iva, pensionati e incapienti.
Padoan, che ai cronisti ansiosi di strappargli una parola sul tema aveva risposto con un «no comment» subito cavalcato da Brunetta, in serata prova a stoppare il tormentone con un tweet lapidario, «non c’è nessuna manovra in arrivo».
Ma è questo il fronte che preoccupa più il premier, quello della ripresa che ancora non si vede, squadernato in una cornice d’aula dove l’imbarazzo del Pd si taglia a fette, perché i gruppi sono consapevoli che entro il 20 settembre bisognerà rivedere le stime di crescita, così come non è un mistero che il premier abbia dato mandato a Cottarelli di trovare più risorse rispetto agli 11 miliardi da portare a casa con la spending review.
I parlamentari più esperti sanno bene che se le varie coperture necessarie non salteranno fuori, scatterebbe la vecchia clausola di salvaguardia introdotta anni fa durante le tempeste finanziarie: che mette in conto 10 miliardi per il 2015 da ottenere nel caso con aumenti automatici di tabacchi, alcol, giochi o tagli lineari a detrazioni e deduzioni fiscali fino a ottenere l’importo mancante. Una sorta di sotto-coperture da usare come paracadute di ultima istanza, ma che altro non sarebbe se non aumento di tasse, una formula che il premier non vuole neanche sentir nominare.
Di prima mattina in aula per il governo ci sono pure i due sottosegretari, negli scranni sono seduti gli ex big, Epifani e Bersani, il compito di replicare tocca alla lettiana Paola De Micheli. Che fa capire come il partito seguirà il suo leader chiedendo riforme di qualità che abbiano come stella polare «la giustizia sociale».
Il titolare dell’Economia riconosce che gli ultimi dati «se confermati indicano un ritardo nella crescita sostenuta in Europa e in Italia» e che dunque «i margini per l’azione di governo si faranno più stretti». Non ammette la necessità di interventi dolorosi, tagli e tasse, ma per la prima volta dice che le cose non stanno andando con la rapidità sperata.
Per inseguire la ripresa «non esistono scorciatoie ma tre pilastri, più apertura al mercato, riforme strutturali e investimenti». Chiarisce a proposito del debito in crescita che «le stime europee non tengono conto delle minori spese pianificate e dei maggiori introiti attesi dalle privatizzazioni». E comunque, il messaggio chiave arriva forte a tutti: «Siamo in un contesto di crescita ancora debole, la disoccupazione resta elevata, è un problema dell’Italia e anche dell’Europa».
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