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1 - AL BAGHDADI È ANCORA VIVO E MINACCIA L’OCCIDENTE “LA JIHAD ARRIVERÀ A ROMA”
Alix Van Buren per “la Repubblica”
Lo “Sceicco Ibrahim”, com’è detto il leader dello Stato Islamico (Is) incoronatosi “califfo” dei musulmani, rispunta ieri in un messaggio audio. Sei giorni dopo il raid americano contro una congrega dell’Is a Mosul, la fucina di voci che vuole al-Baghdadi abbattuto o ferito non si spegne. Lo sceicco del terrore — o chi per lui — vuole mostrarsi in forma, tanto che azzarda: «La marcia (dell’Is) non si fermerà finché avremo raggiunto Roma. O musulmani tranquillizzatevi, il vostro Stato è in buona salute».
Pochi saprebbero confermare se si tratti davvero della voce di al-Baghdadi: esiste un solo video cui raffrontare il timbro, e risale al 7 luglio, il giorno della predica dal pulpito di Mosul.
L’uomo tuttavia non accenna al raid, malgrado la registrazione sia successiva. Infatti, accoglie i pegni d’alleanza del 10 novembre da una pletora di gruppi jihadisti, compreso Ansar Bait al-Maqdis del Sinai egiziano. Piuttosto, nei 16 minuti e 57 secondi del messaggio, dispensa invettive a «ebrei, crociati, apostati, demoni», i nemici dell’Is, «terrorizzati, deboli e impotenti, presto costretti a mandare le loro forze terrestri alla morte e distruzione»: un riferimento alla Coalizione anti-Is.
Nonostante le mirabilia high-tech dei suoi siti di propaganda, come il Hayat Media Center che dirama la registrazione sui social media, il copione da cui legge al-Baghdadi inanella banalità, lontane anni luce dalla retorica sulfurea ma per certi versi fine di Bin Laden: «La coalizione è un fallimento e Israele vi partecipa in segreto», dice negando che i raid costringano i jihadisti ad agire al coperto, a rinunciare alle grandi dighe e alle raffinerie petrolifere, fonte dei più ricchi guadagni.
Elenca i Paesi da colpire, tutti arabi, in primo luogo «i regnanti e gli sciiti» del Golfo, l’Arabia Saudita che è «la testa del serpente», Marocco, Tunisia, Libia, Algeria, Sinai e Yemen. Annuncia il conio di monete d’oro, d’argento e di rame, riaffermando — anche secondo Wall Street — l’acume finanziario dell’Is.
Oltre la rozza retorica di al-Baghdadi, che promette «vulcani di jihad pronti a eruttare nel mondo», sono le notizie vere dal campo ad allarmare: Is e Al Qaeda (Fronte al Nusra) avrebbero stretto alleanza in Siria per battere il comune nemico: la Coalizione e l’opposizione siriana «asservita all’Occidente».
Questo, e l’effettiva debolezza dell’esercito iracheno, fanno prospettare al generale Dempsey, capo di Stato maggiore Usa, l’impegno di truppe americane di terra nei combattimenti contro l’Is. Una svolta considerevole, dopo la ritrosia di Obama. E la conferma che Washington si preparerebbe a dar corpo «all’offensiva» delineata dalla Casa Bianca contro il “califfato”.
2 - UNA FEDERAZIONE DEL TERRORE: ORA IL CALIFFO VUOLE L’EGITTO
Fabio Scuto per “la Repubblica”
sostenitori di isis festeggiano in siria
I vascelli dei corsari jihadisti hanno fatto la loro comparsa al largo della costa egiziana e hanno ingaggiato battaglia con una motovedetta della Marina militare. A terra nel Sinai i combattenti di Ansar al Maqdis — i salafiti passati ora con il califfo Al Baghdadi — hanno attaccato un reparto dell’esercito uccidendo cinque soldati. Al Cairo una bomba carta esplosa in un vagone a una fermata della metro ha provocato il panico e 16 feriti.
Il film delle ultime 24 ore in Egitto è un thriller ad alta tensione senza una fine certa. L’Egitto, pressato dalle derive integraliste della Libia e del Sinai, minacciato direttamente dal Califfo dello Stato Islamico, combatte con un cancro interno che la mano dura del presidente Abdel Fattah al Sisi non ha sconfitto. Le spire islamiste avvolgono pericolosamente il Paese dei Faraoni, ne fanno di nuovo terreno per l’espansione della jihad globale.
La battaglia in mare della notte scorsa fra i pescherecci armati di mitragliatrici e la motovedetta della Marina al largo del porto mediterraneo di Damietta è andata avanti per ore. In soccorso sono arrivati altri mezzi navali e gli elicotteri. I quattro pescherecci sono stati affondati, trentadue gli assalitori presi, altri sono morti nello scontro. Mentre fra Esercito e Marina egiziana mancano all’appello otto uomini.
A terra nelle vicinanze della città portuale in un’altra operazione militare sono state arrestate 40 persone connesse con gli assalitori. Molte zone d’ombra rimangono sia sulla dinamica dell’attacco sia sull’identità dei “corsari”, ma il “salto di qualità” dei gruppi armati è evidente. Questo tratto di Mediterraneo è frequentato da trafficanti di droga e di clandestini — qui si sono imbarcati i 450 palestinesi fuggiti da Gaza e morti nel naufragio all’inizio di settembre — ma è anche la rotta del traffico di armi che dagli inesauribili arsenali libici arriva nel Sinai destinato adesso ai gruppi salafiti della Penisola e che prima attraverso i tunnel del contrabbando riforniva la santabarbara di Hamas a Gaza.
L’attacco, il primo di questo genere, è quasi certamente servito per “coprire” il passaggio di una nave carica di armi destinate ai miliziani salafiti del Sinai, dove nell’ultimo anno sono concentrati gli attacchi contro l’esercito egiziano, una mini-guerra che ha già superato i mille morti.
Fra le dune bianche del deserto al confine con la Libia passano le rotte dei trafficanti di armi e dei beduini contrabbandieri, i grandi beneficiari del crollo di Gheddafi. I convogli dei signori del deserto la cui conoscenza del territorio supera, e di gran lunga, quella delle autorità si muovono su vecchie rotte carovaniere solo a loro conosciute. Sono trasferimenti che fra le dune del Sahara possono durare anche due-tre settimane per sfuggire ai controlli.
Per questo ciascun clan lungo il percorso ha depositi di acqua e benzina sepolti sotto la sabbia e ricambi per i camion nell’eventualità di un guasto o una rottura: il carico che ogni volta vale decine di milioni di dollari deve arrivare ad ogni costo.
Ma l’arrivo alla guida dell’Egitto di Al Sisi, e la sua dura campagna contro il terrorismo ha costretto i trafficanti a utilizzare meno la rotta costiera sulla terraferma e puntare sulle navi di piccolo tonnellaggio che partono dai porti di Bengasi e Misurata, ben saldi nelle mani delle milizie islamiche libiche. Ansar al Maqdis, il più sanguinario e folto gruppo della galassia salafita egiziana, proprio ieri ha voluto ribadire la sua fedeltà al Califfo Abu Bakr al Baghdadi dopo aver abbandonato Al Qaeda a cui finora si era ispirato.
Da tempo il Sinai è una “Tortuga islamica” che ha nel porto di El Arish la sua centrale operativa.
Qui vecchie e nuove tensioni con le popolazioni beduine si impastano con il caos egiziano, la “Mafia araba” ha messo salde radici legando le gang criminali ai gruppi integralisti che sognano la nascita di un emirato islamico. Fra le alture attorno allo Jabal Halah, nel cuore di questa penisola di sabbia, tremila miliziani jihadisticontrabbandieri hanno trovato il loro santuario, è la “Tora Bora” del Sinai. Qui i miliziani di Ansar al Maqdis sono i padroni e aspettano rinforzi dal ritorno di centinaia dei 9000 egiziani che già combattono in Siria e in Iraq sotto le bandiere nere del Califfato. L’ordine di Al Baghdadi ieri è stato chiaro: «Portate la Jihad in Egitto».
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