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Guglielmo Buccheri per “la Stampa”
Il pallone italiano rischia di fermarsi e stavolta sarebbe uno stop mai visto. Il motivo è allo stesso tempo grave e imbarazzante: grave perché a decidere di non presentarsi in campo potrebbe essere una classe arbitrale «ferita» da più di duemila episodi di violenza subiti nelle ultime cinque stagioni sui campi dove i riflettori dei media rimangono spenti, imbarazzante perché l’eco di un tale, eventuale, strappo avrebbe contorni planetari.
Perché mai come in queste ore è vicina una soluzione tanto radicale? E cosa deve accadere perché dalla testa dei vertici dell’Associazione italiana arbitri spariscano i cattivi pensieri di uno sciopero senza precedenti?
La risposta al primo interrogativo la danno le cronache di aggressioni, schiaffi, pugni, spintoni nei confronti di direttori di gara giovani e indifesi: il Salento, soprattutto, si è segnalato per il territorio nel quale arbitrare ragazzi di quindici o sedici anni è diventato come andare al fronte, visto il ripetersi di atti di follia accaduti nelle ultime due settimane.
«La misura è colma. Non possiamo più permettere che 370 giovani vengano picchiati ogni stagione: se dal consiglio federale in programma giovedì prossimo non usciremo con una serie di misure concrete fermiamo i campionati...», così Marcello Nicchi, numero uno dell’Aia, l’associazione dei nostri fischietti.
Nicchi non usa giri di parole, non è nel suo stile. A maggior ragione oggi che ha ottenuto dal presidente della Figc Carlo Tavecchio garanzie nel senso auspicato. «Dalla serie A all’ultimo torneo giovanile: i nostri arbitri sono pronti allo stop perché - sottolinea Nicchi - non possiamo rimanere fermi ad aspettare il peggio...».
Il destino delle prossime giornate dei campionati, dal più grande al meno nobile, rimane così appeso alle decisioni che usciranno dalla riunione del governo del calcio italiano in agenda fra sei giorni.
L’Osservatorio sulla violenza dell’Aia è chiamato ad aggiornare ogni fine settimana il numero dei fatti da condannare con forza, ma non più a parole. Dirigenti, giocatori, tesserati a vario titolo: colpire il direttore di gara è diventato l’obiettivo.
Nella periferia del pallone i ruoli inevitabilmente si confondono, così accade (vedi l’ultimo caso uscito ieri) che il tifoso si ritrovi a bordo campo con una bandierina in mano per fare il guardalinee e, al posto di svolgere la sua funzione, pensi di insultare l’arbitro da due passi.
Ancora pochi giorni e Nicchi avrà le risposte che chiede, almeno si augura. «Tecnologia o meno, moviola o falli dentro o fuori l’area: qui - spiega - c’è da risolvere il primo, vero, problema che ci insegue da anni. Non è più pensabile leggere di aggressioni ai nostri ragazzi, a giovani arbitri che ci mettono passione per svolgere un compito che deve essere educativo e richiede rispetto da parte di tutti».
La Federcalcio ha recepito il messaggio, le istituzioni fuori dal calcio dovranno fare la loro parte. Oltre 370 ragazzi lo scorso anno sono finiti a terra, colpiti da avversari invisibili, di cui, però, si conoscono le dinamiche. «Siamo pronti allo stop», urla la categoria. E lo stop stavolta è davvero dietro l’angolo, anche perché in gioco c’è la stessa credibilità di chi porta avanti certe battaglie.
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