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I RAPPORTI DIFFICILI TRA RUSSIA E OCCIDENTE? ALTRO CHE NATO, LA COLPA E’ DI PUTIN - E LO RICORDA BENE BILL CLINTON CHE, DOPO AVER A LUNGO TESO LA MANO A ELTSIN, VOLEVA MOSCA NELLA NATO E “MAD VLAD” RIFIUTO’ - I RICORDI DELL’EX PRESIDENTE USA: “FECI TUTTO QUELLO CHE POTEVO FARE PER AIUTARE LA RUSSIA A FARE LA SCELTA GIUSTA E DIVENTARE UNA GRANDE DEMOCRAZIA - NEL 1997 SOSTENEMMO UN ACCORDO FRA NATO E RUSSIA CHE ACCORDAVA A MOSCA VOCE IN CAPITOLO (MA NON POTERE DI VETO) SULLE FACCENDE NATO, E SOSTENEMMO L’INGRESSO DELLA RUSSIA NEL G7, CHE DIVENTÒ IL G8. LASCIAMMO SEMPRE APERTA LA PORTA PER UN EVENTUALE INGRESSO DI MOSCA NELLA NATO, COSA CHE DISSI CHIARAMENTE A ELTSIN E CONFERMAI POI AL SUO SUCCESSORE, PUTIN - QUELLO CHE MI PREOCCUPAVA NON ERA CHE LA RUSSIA POTESSE RIABBRACCIARE IL COMUNISMO, MA CHE POTESSE RIABBRACCIARE L’ULTRANAZIONALISMO, SOSTITUENDO LE ASPIRAZIONI IMPERIALI ALLA COOPERAZIONE”
Dichiarazioni di Bill Clinton del 2023 riprese dal “Financial Times” e pubblicate da “Italia Oggi”
«Vladimir Putin mi disse nel 2011 – tre anni prima di prendere la Crimea – che non era d’accordo con l’intesa che avevo fatto con Boris Eltsin», ha ricordato l’ex presidente degli Stati Uniti. Disse: ‘Non sono d’accordo. E non lo sostengo. E non ne sono vincolato'. Sapevo da quel giorno in poi che era solo una questione di tempo. Il fallimento della democrazia russa, e la sua decisione di abbracciare il revanscismo, non hanno la loro origine nella sede della Nato a Bruxelles. È una decisione che è stata presa a Mosca, da Putin.
Avrebbe potuto usare le prodigiose competenze informatiche della Russia per creare un polo concorrente alla Silicon Valley e costruire un’economia forte, diversificata. Invece ha deciso di monopolizzare e usare queste capacità come armi per promuovere l’autoritarismo in patria e seminare scompiglio all’estero, anche interferendo nella vita politica dell’Europa e degli Stati Uniti. Solo una Nato forte si frappone tra Putin e ulteriori aggressioni», ha spiegato Bill Clinton.
«Quando entrai per la prima volta alla Casa Bianca, dissi che avrei sostenuto il presidente russo Boris Eltsin nei suoi sforzi per costruire un’economia florida e una democrazia funzionante dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica, ma che avrei anche sostenuto un allargamento della Nato per includere ex membri del Patto di Varsavia e Stati postsovietici. La mia politica era lavorare per lo scenario migliore e contemporaneamente prepararsi per lo scenario peggiore.
Quello che mi preoccupava non era che la Russia potesse riabbracciare il comunismo, ma che potesse riabbracciare l’ultranazionalismo, sostituendo le aspirazioni imperiali, come Pietro il Grande e Caterina la Grande, alla democrazia e alla cooperazione. Non pensavo che Eltsin avrebbe fatto una cosa del genere, ma chi poteva sapere chi sarebbe venuto dopo di lui?
Se la Russia fosse rimasta sulla strada della democrazia e della cooperazione, avremmo affrontato tutti insieme le sfide per la sicurezza della nostra epoca: terrorismo, conflitti etnici, religiosi e tribali in generale, la proliferazione di armi nucleari, chimiche e biologiche.
Se la Russia avesse scelto di tornare ad abbracciare un imperialismo ultranazionalista, una Nato allargata e un’Unione europea in crescita avrebbero rafforzato la sicurezza del continente. Verso la fine del mio secondo mandato , nel 1999, la Polonia, l’Ungheria e la Repubblica Ceca entrarono nella Nato nonostante l’opposizione della Russia.
L’alleanza guadagnò altri 11 membri sotto i presidenti successivi, anche in questo caso non tenendo conto delle obiezioni di Mosca. Recentemente, da alcune parti sono state rivolte critiche alla Nato, accusata di aver provocato la Russia e aver addirittura gettato le basi per l’invasione dell’Ucraina ordinata da Vladimir Putin. L’espansione dell’alleanza atlantica è stata di certo una decisione gravida di conseguenze, ma è anche una decisione che continuo a considerare corretta.
La mia amica Madeleine Albright, recentemente scomparsa, era un’aperta sostenitrice dell’allargamento della Nato, prima nelle vesti di ambasciatrice presso le Nazioni Unite e poi nelle vesti di segretaria di Stato.
E la pensavano allo stesso modo il segretario di Stato Warren Christopher, il consigliere per la sicurezza nazionale Tony Lake, il suo successore Sandy Berger e altre due personalità con esperienza diretta nell’area, il presidente del comitato dei capi di stato maggiore John Shalikashvili, nato in Polonia da genitori georgiani e venuto negli Stati Uniti da adolescente, e il vicesegretario di Stato Strobe Talbott, che tradusse e curò le memorie di Nikita Krusciov quando eravamo compagni di appartamento a Oxford nel 1969-1970. All’epoca in cui proposi l’espansione della Nato , tuttavia, c’erano molte opinioni rispettabili anche in senso opposto.
Il leggendario diplomatico George Kennan, famoso come il padre della politica del contenimento durante la Guerra fredda, era del parere che con la caduta del Muro di Berlino e lo scioglimento del Patto di Varsavia, l’utilità della Nato fosse venuta meno. L’editorialista del New York Times Tom Friedman diceva che la Russia si sarebbe sentita umiliata e intrappolata da una Nato allargata e, una volta superata la debolezza economica degli ultimi anni del regime comunista, avremmo assistito a una reazione terribile.
Anche Mike Mandelbaum, un’autorità rispettata in Russia, riteneva che fosse un errore e sosteneva che non avrebbe promosso la democrazia o il capitalismo. Io ero consapevole che i rapporti potevano tornare a essere conflittuali. Ma la mia opinione era che uno scenario del genere non sarebbe dipeso tanto dalla Nato quanto dall’evoluzione della Russia: sarebbe rimasta una democrazia? A cosa avrebbe affidato la sua grandezza nel Ventunesimo secolo?
Avrebbe costruito un’economia moderna basata sui suoi talenti nel campo della scienza, della tecnologia e delle arti o avrebbe cercato di ricreare una versione del suo impero del diciottesimo secolo, sorretto dalle risorse naturali e caratterizzato da un governo autoritario forte, con un esercito potente?
Feci tutto quello che potevo fare per aiutare la Russia a fare la scelta giusta e diventare una grande democrazia del ventunesimo secolo. Il mio primo viaggio di Stato come presidente fuori dagli Stati Uniti fu a Vancouver, per incontrare Eltsin e promettere 1,6 miliardi di dollari per consentire alla Russia di riportare a casa i soldati di stanza nei paesi baltici e garantire loro un alloggio.
Nel 1994 la Russia divenne il primo paese ad aderire al Partenariato per la pace, un programma di cooperazione pratica bilaterale che includeva esercitazioni militari congiunte fra Paesi della Nato e Paesi europei non della Nato. Quello stesso anno, gli Stati Uniti firmarono il Memorandum di Budapest, insieme alla Russia e al Regno Unito, che garantiva la sovranità e l’integrità territoriale dell’Ucraina in cambio della rinuncia, da parte di Kiev, a quello che all’epoca era il terzo arsenale nucleare del pianeta.
A partire dal 1995, dopo gli Accordi di Dayton che misero fine alla guerra in Bosnia, facemmo un accordo per aggiungere truppe russe alle forze che la Nato aveva sul terreno nel Paese dell’ex Jugoslavia. Nel 1997 sostenemmo l’«Atto fondatore», un accordo fra Nato e Russia che accordava a Mosca voce in capitolo (ma non potere di veto) sulle faccende della Nato, e sostenemmo l’ingresso della Russia nel G7, che diventò il G8.
Nel 1999, alla fine del conflitto in Kosovo, il segretario della Difesa Bill Cohen raggiunse un accordo con il ministro della Difesa russo in base al quale le truppe russe potevano unirsi alle forze di peacekeeping della Nato approvate dall’Onu. In tutto questo, lasciammo sempre aperta la porta per un eventuale ingresso di Mosca nella Nato, cosa che dissi chiaramente a Eltsin e confermai poi al suo successore, Vladimir Putin.
Oltre a tutti questi sforzi per coinvolgere la Russia nelle missioni della Nato post-Guerra fredda, Madeleine Albright e tutti i nostri responsabili della sicurezza nazionale si impegnarono a fondo per promuovere relazioni bilaterali positive. Il vicepresidente Al Gore co-presiedette una commissione con il primo ministro russo Viktor Cernomyrdin per affrontare le tematiche di comune interesse. Concordammo di distruggere 34 tonnellate di plutonio a uso militare a testa.
Concordammo anche di allontanare dai confini le forze convenzionali russe, europee e della Nato, anche se Putin rifiutò di proseguire con il piano quando assunse la presidenza della Russia, nel 2000. Complessivamente, mi sono incontrato con Eltsin diciotto volte e con Putin cinque volte, due quando era il primo ministro di Eltsin e tre nei dieci mesi e più in cui il suo mandato ha coinciso con il mio. Sono solo tre incontri in meno di tutti i vertici fra leader degli Stati Uniti e dell’Unione Sovietica tra il 1943 e il 1991.
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