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Marco Ansaldo per la Repubblica
C' è un misto di inaccuratezza, caos politico, tentazione di intavolare una trattativa dietro la strana storia del documentarista e blogger Gabriele Del Grande, bloccato ormai da dieci giorni in Turchia. Una vicenda che normalmente - si sarebbe risolta nel giro di 48 ore, con l' accertamento degli eventuali reati e l' immediata espulsione. Ma se oggi il caso del giornalista e regista sta tenendo l' Italia con il fiato sospeso è perché la Turchia di questa fase politica sta scappando di mano non solo secondo le norme internazionali, ma sotto il profilo del più semplice buon senso diplomatico.
TURCHIA - SOSTENITORI DI ERDOGAN
Del Grande, esperto di questioni migratorie, non ha forse potuto rispettare questa volta i complessi criteri burocratici richiesti per lavorare in Turchia. I giornalisti devono infatti ottenere un tesserino stampa, temporaneo o permanente. Possedere quel documento richiede una prassi lunga, e forse i tempi stretti del blogger non hanno permesso di attenderne il responso. Ma agli occhi di Ankara esistono sul caso alcune aggravanti in più.
Del Grande ha infatti proceduto nelle sue interviste in un' area ad alto rischio, una "zona di guerra", dove le condizioni per operare rendono tutto più difficile. E' questa la provincia sud orientale dell' Hatay, al confine con la Siria, dove si trovano centinaia di migliaia di profughi.
Dunque il cuore di un nodo che vede concentrati su quella fascia gli occhi di tutto il mondo. Nel momento in cui è stato fermato per un controllo, il documentarista di Lucca è stato trasferito in un posto di polizia. Quindi, alcuni giorni dopo, portato in una guest house, cioè in una foresteria nella vicina città di Mugla, dove è vero che non gli sembra essere stato torto un capello, ma gli è stato finora impedito di incontrare i propri avvocati e di essere visitato da un' autorità diplomatica italiana dopo che il consolato di Smirne, competente per quella zona, avrebbe dovuto avere già ieri il via libera per verificare di persona le sue condizioni di salute.
L' approssimazione allora dimostrata dalle autorità turche nello sciogliere in breve tempo la questione del blogger italiano ha poi incontrato, per sfortuna, un momento topico per il Paese. E cioè il referendum sui superpoteri da assegnare al Capo dello Stato, Recep Tayyip Erdogan.
Nella settimana in cui Del Grande è stato fermato, la Turchia intera è rimasta bloccata per gli ultimi giorni di una campagna elettorale dai toni durissimi, dove tutti sono rimasti con il fiato sospeso. Chi mai si è preoccupato, in quei giorni delicatissimi per il futuro di Ankara, di un blogger italiano rimasto dimenticato in fondo al Paese e intrappolato nelle maglie della bizantina burocrazia locale?
Solo dopo la levata di scudi dell' Italia, dal martedì dopo Pasqua, arriviamo all' ultimo elemento. E cioè Ankara ha improvvisamente capito di avere, con Del Grande, un' importante carta in mano. E sembra pensare a poter trattare la sua liberazione. Il fermo del documentarista di Lucca è ben diverso dall' arresto del corrispondente del quotidiano Die Welt, Deniz Yucel, da due mesi nelle carceri turche. Ma il giornalista tedesco, inviso al potere per i suoi articoli critici, è considerato da Ankara una spia, e nonostante le pressioni della cancelliera Merkel, Erdogan ha detto che non lo estraderà mai.
E' chiaro a tutti che il corrispondente straniero è divenuto una carta determinante nei rapporti fra Berlino e Ankara. Forse non farà altrettanto con l' italiano. Ma con Del Grande "ospite" nella propria guest house, Ankara sa di potere comunque esercitare una pressione - il livello dei temi è vasto: sulla questione dei migranti, nel contenzioso dell' ingresso nell' Ue, sul commercio - e di non lasciare intentata una possibile trattativa. Negozio nel quale, in queste latitudini, non sono secondi a nessuno.
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