RODOTA’-TARATATA’ - DA CIVATI AI GRILLINI, GLI ANTI-LETTA SI ATTACCANO ALLA PENSIONE DEL GARANTE

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VIDEO: RODOTÀ DAVANTI ALL'ELISEO
Da "Il Fatto Quotidiano"

 

 

1. RODOTÀ RIUNISCE TUTTI GLI ANTI-LETTA, MA SOLO PER UN GIORNO
Francesca Schianchi per "la Stampa"

«Non mi si può chiedere molto o troppo. Sarò solo uno di quelli che, insieme a molti altri, farà un pezzo di strada per ricostruire una cultura politica». Applausi in sala, dalle poltroncine rosse del Teatro Eliseo un pezzo di popolo della sinistra accorso numeroso (tanto che l'evento s'è dovuto spostare dal ridotto al teatro più capiente) omaggia spesso e con calore l'ospite d'eccezione, Stefano Rodotà.

E' lui, il giurista simbolo della voglia di cambiamento che spira nel Paese, individuato dal M5S come candidato al Quirinale e oggetto di discussioni anche nel Pd («sarebbe stato un ottimo presidente», ribadisce Sergio Cofferati), il protagonista dell'incontro tenuto ieri, «La rivoluzione della dignità», organizzato dalla rivista «Left»: sul palco da Gennaro Migliore di Sel ad Antonio Ingroia, leader di Rivoluzione civile proprio ieri «sciolta» in Azione civile, da alcuni «ribelli» Pd, come Cofferati, Tocci e Civati («consideratemi un interlocutore, io però rimango nel Pd») a Giuseppe Giulietti di Articolo 21 a Francesca Redavid della Fiom a Gherardo Colombo fino al capogruppo grillino al Senato, Vito Crimi.

Un embrione di nuova forza di sinistra? «Un tentativo di riprendere a discutere, e non in maniera settaria, senza escludere nessuno», concede Rodotà, acclamato come il padre nobile (un signore chiede una foto: «Per mio figlio di 8 anni») da quest'area ancora magmatica ma di certo tutta d'opposizione al governo Letta.

O comunque assai critica: è Civati a definire «irriguardoso e stupido» proporre a Rodotà di presiedere la Convenzione per le riforme «dopo quel che è successo». E comunque il giurista non accetterebbe, convinto che quell'organismo sia «un cattivo servizio per le politiche di riforma, l'opposto di quello che si dovrebbe fare, rimettere il Parlamento al centro».

Ai «compagni d'opposizione del M5S» si rivolge Migliore, «Sel cercherà di instaurare un dialogo», ma, li rimbrotta, «forse con un altro confronto post elettorale oggi avremmo un altro tipo di governo».

Crimi però, l'unico a non definirsi in un recinto di sinistra («la politica non deve più pensare secondo steccati ideologici, in questo momento deve pensare al bene collettivo») spiega che «non ci sono mai arrivate proposte dai vertici del Pd di fare una cosa insieme. C'è stato sempre detto: abbiamo vinto le elezioni, votateci». E' finita col governo Pd-Pdl. In questo teatro nessuno lo ama: e tutti sognano un nuovo «cantiere».


2. I NEMICI INVISIBILI DEL GOVERNO LETTA - COME IL PD PUÒ DIFENDERSI DALLE MINACCE DELLA SINISTRA DEI RODOTÀ
Da "Il Foglio"

La sinistra, quella esterna al Partito democratico, ma anche qualche settore più radicale di quella interna, vive la svolta politica che ha portato alla costituzione del governo di convergenza come un oltraggio o un tradimento. L'ampiezza del voto di protesta, interpretato un po' forzatamente come esclusivamente di sinistra, sommata agli effetti del meccanismo elettorale che ha moltiplicato i seggi della coalizione che sosteneva Pier Luigi Bersani, ha prodotto la rappresentanza parlamentare più "a sinistra" della storia italiana.

Così l'estrema sinistra si sente forte, ha aggredito il sindaco di Torino e impedito persino il concerto confederale a Napoli, ha contestato, all'interno della stessa Cgil la prospettiva di un accordo sulla rappresentanza, che con evidente esagerazione Giorgio Cremaschi dipinge come un cedimento della stessa Fiom alla strategia di Sergio Marchionne. Anche chi dalle elezioni è uscito con le ossa rotte, l'alleanza tra giustizialismo ed estremismo sindacale promossa da Antonio Ingroia, progetta di rientrare in gioco, con nuove sigle "civili" magari utilizzando l'icona di un redivivo Stefano Rodotà.

Alle manovre dell'estrema sinistra, che puntano a creare quanto prima un incidente parlamentare che porti alle dimissioni del governo Letta e a nuove elezioni in cui si possa "smascherare" la presunta doppiezza del Partito democratico, quest'ultimo sembra assistere senza reagire, come imbambolato e ancora incredulo della vicenda di cui è stato protagonista e vittima. La prospettiva di un partito che dovrebbe essere la principale forza di governo, che invece si affida a una reggenza provvisoria, chiamata a gestire una fase di confuse rese dei conti interni, appare pericolosa e foriera di nuova instabilità.

Il rischio di un cedimento strutturale del Pd è anche la conseguenza dell'incapacità di tracciare e difendere un confine a sinistra, che è invece la caratteristica di tutte le sinistre di governo europee. Ora difendere questa frontiera, proprio mentre si realizzano convergenze più o meno coatte sull'altro versante, risulta particolarmente arduo.

E' su questo nodo che si verificherà la capacità di un gruppo dirigente (ancora indefinito) di tenere insieme il partito, di realizzare un programma di governo realistico e di dotare l'Italia di un meccanismo elettorale meno bislacco e autolesionista, o di cedere alle spinte disgregatrici oggi tanto minacciose da apparire prevalenti.

 

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