DAGOREPORT – IN POLITICA IL VUOTO NON ESISTE E QUANDO SI APPALESA, ZAC!, VIENE SUBITO OCCUPATO. E…
Francesco de Dominicis per "Libero Quotidiano"
Capita che le inchieste giornalistiche imitino le impostazioni delle indagini giudiziarie.
Come quando un pubblico ministero apre un fascicolo per notizia di reato contro ignoti, anche se - in realtà - tutti sanno perfettamente chi è il presunto colpevole. Qualcosa di simile ha fatto l' Economist. Ufficialmente non ci sono iscritti nel registro degli «indagati», ma l' ultimo atto d' accusa del giornale economico contro l' Europa porta dritti ad Angela Merkel.
E gli indizi in questo senso non mancano affatto. Il nome del cancelliere tedesco non figura mai nell' articolo col quale l' autorevole settimanale britannico (del quale la famiglia Agnelli possiede più del 40%) ha appena preso di mira l' euro e, più in generale, l' impianto finanziario dell' Unione europea.
ANGELA MERKEL E I BIG DELLA TERRA
Ma è evidente che nel mirino del giornale della City c' è proprio la Germania e il suo governo. Del resto, l' Economist mette l' austerity e il rigore fiscale in cima alla lista dei guasti che stanno portando la moneta unica e l' economia Ue al fallimento. Due pilastri trasformatisi, proprio sotto i colpi della recessione e della bufera finanziaria internazionale, in macigni insostenibili.
angela merkel e la profuga palestinese
E quei due pilastri sono stati fatti ingoiare ai governi locali da Bruxelles, ma sono stati imposti ai partner europei direttamente da Berlino: è nella capitale tedesca che vengono messe a punto le regole comuni, poi solo confezionate (sotto forma di direttive o regolamenti) dai burocrati della Commissione europea. Il capo d' accusa dell' Economist è contenuto nelle ultimissime righe di una lunga analisi pubblicata sull' ultimo numero in edicola (a pagina 53).
Analisi che passa in rassegna le più importanti recessioni economiche del secolo scorso e poi mette sotto la lente d' ingrandimento le ricette adottate per superarle, su tutte le politiche ispirate da John Maynard Keynes: denaro pubblico e stimoli fiscali per rilanciare la ripresa. In pratica, l' esatto contrario rispetto a quanto voluto dalla Germania durante la crisi dell' euro, giunta nella fase definita «culmine» dall' Economist.
Secondo cui, austerity e rigore hanno cagionato, in Europa, danni ben più gravi di quanto prospettato dalle peggiori previsioni macroeconomiche. Non solo: l' austerità ha ridotto la crescita e ha portato a livelli di debito pubblico nettamente superiori a quelli che si sarebbero raggiunti con uno stimolo fiscale.
angela merkel con papa francesco bergoglio
Che tradotto vuol dire: se fosse stato pompato più denaro pubblico - vuoi per realizzare grandi infrastrutture, vuoi per tagliare la pressione tributaria - oggi i conti degli Stati membri dell' Ue avrebbero una condizione migliore, con «buchi» inferiori a quelli raggiunti con politiche restrittive e più severe. Una valutazione che prende le mosse da alcuni studi, realizzati nel 2013, dal Fondo monetario internazionale che proprio in questi giorni è tornato a sparare ad alzo zero contro l' architettura della valuta europea.
Studi a parte, anche i dati parlano chiaro. Spagna e Gran Bretagna, oggi, sono le economie migliori del Vecchio continente. Le ultime indicazioni dell' Eurostat dicono che il paese iberico può raggiungere a fine anno l' obiettivo del Pil al 3,2 per cento, mentre la Gran Bretagna viaggia verso una crescita del 2,2 per cento.
Certo, si dirà: gli inglesi sono fuori dall' euro e ora con la Brexit potrebbero addirittura crescere di più. Per la Spagna, invece, la chiave del successo sta nell' aver in qualche modo osato violare o per lo meno viaggiare sul confine dei paletti di bilancio: il deficit spagnolo è stato anche al di sopra del famigerato tetto del 3 per cento nel rapporto col prodotto interno lordo. Come dire: «Austerity, no gracias». Madrid ha indicato la rotta giusta, Roma deve solo avere lo stesso coraggio.
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