donald trump re sovrano imperatore

“QUELLO CHE TRUMP STA TENTANDO DI REALIZZARE NEGLI STATI UNITI È PARAGONABILE ALLA RIVOLUZIONE CULTURALE DI MAO IN CINA. UN VERO RESET” - L’EX AMBASCIATORE IN IRAQ, MARCO CARNELOS: “TRUMP HA NOMINATO I FEDELISSIMI NELLA SUA NUOVA AMMINISTRAZIONE. I REPUBBLICANI HANNO LA MAGGIORANZA AL CONGRESSO E 6 DEI 9 GIUDICI DELLA CORTE SUPREMA SIMPATIZZANO CON LE SUE POSIZIONI. E' UNA CONCENTRAZIONE DI POTERE INEDITA PER UN PAESE COME GLI STATI UNITI CHE, SUI COSIDDETTI CHECK AND BALANCES, OVVERO L’EQUILIBRIO TRA I POTERI ESECUTIVO, LEGISLATIVO E GIURISDIZIONALE, HA IMPARTITO LEZIONI COSTITUZIONALI PER OLTRE DUE SECOLI. TRUMP STA USANDO UN POTERE PRESSOCHÉ ASSOLUTO, CONSAPEVOLE CHE IL VENTO POTREBBE GIÀ CAMBIARE ALLE ELEZIONI DI MEDIO TERMINE PREVISTE NEL NOVEMBRE DEL 2026..."

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Riceviamo e pubblichiamo:

 

Caro Dago,

MARCO CARNELOS

il cosiddetto ordine mondiale basato sulle regole codificato e imposto dagli Stati Uniti a partire dal 1945 sta probabilmente vivendo il suo momento peggiore, e, paradossalmente, per mano del suo stesso creatore.

 

Da un sistema unipolare emerso dalla fine della Guerra Fredda nei primi anni 90’ del secolo scorso, se ne inizia ad intravedere uno multipolare caratterizzato da un serio ripensamento della Globalizzazione, dall’ascesa della Cina, dall’assertività della Russia, e dalla resistenza dell’Iran, con lo spartiacque del conflitto in Ucraina che ha messo a nudo problemi imperdonabilmente ignorati per anni e alcune fragilità delle liberaldemocrazie occidentali e del loro relativo modello industriale con le relative catene di valore.

 

A questa situazione, si è aggiunta da ultimo l’accelerazione impressa dal ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca con quella che si paventa come la più importante crisi nelle relazioni transatlantiche degli ultimi 80 anni che potrebbe mettere a repentaglio la stessa Alleanza Atlantica e la sua relativa organizzazione politico-militare, la NATO.

 

donald trump foto lapresse

La prima premessa che mi sento di fare è che chiunque manifesti sconcerto e shock dinanzi alle ultime decisioni del Presidente americano su Ucraina, Europa e NATO, per non parlare dei dazi, è chiaramente caratterizzato da una scarsa curva attentiva. Gli obbiettivi che Trump aveva in mente nel ricandidarsi alla Casa Bianca erano ben chiari da diverso tempo e la circostanza che stia tentando di conseguirli non dovrebbe quindi stupire.

 

Le leaderships europee avrebbero dovuto destarsi con più largo anticipo dal loro torpore; fino ad oggi sembrano infatti vissute in una sorta di Truman Show.

 

donald trump nello studio ovale foto lapresse

L’attuale Presidente USA ha nominato – contrariamente al primo mandato – dei fedelissimi nella sua nuova Amministrazione.  Questa volta, il Partito Repubblicano ha la maggioranza nei due rami del Congresso e si reputa che 6 dei 9 giudici della Corte Suprema siano in qualche modo simpatizzanti con le sue posizioni. Si tratta di una concentrazione di potere inedita per un paese come gli Stati Uniti che, sui cosiddetti check and balances, ovvero l’equilibrio tra i poteri esecutivo, legislativo e giurisdizionale, ha impartito lezioni costituzionali per oltre due secoli.

 

USA VS CINA

Trump sta usando al massimo e il più velocemente possibile questa incredibile opportunità che gli deriva da un potere pressoché assoluto, consapevole che il vento potrebbe già cambiare alle elezioni di medio termine previste nel novembre del 2026, in particolare al Congresso dove maggioranza repubblicana è peraltro piuttosto risicata.

 

Negli Stati Uniti, infatti, serpeggia malcontento sulle prime scelte del Presidente, i dati della Borsa, dell’economia e della gestione dell’enorme debito fanno emergere delle criticità che l’applicazione dei dazi potrebbero incrementare con una potenziale, e assai costosa politicamente, fiammata inflazionistica.

TELECINESI - MEME BY EMILIANO CARLI

 

In sintesi, Trump ha fretta e la necessità di conseguire rapidamente successi interni e internazionali. Da quest’ultimo punto di vista arranca. Le conclamate 24 ore in cui avrebbe dovuto giungere alla pace in Ucraina si sono infrante dinanzi alle condizioni (facilmente prevedibili) che Putin ha posto, sulla Cina sembra buio pesto con i dazi, e quanto all’Iran può vantare solo una sessione negoziale svoltasi in Oman la settimana scorsa e una che dovrebbe svolgersi a Roma sabato prossimo.

 

La seconda premessa è che molti di coloro che stanno valutando le scelte del Presidente americano, e dei suoi ingombranti collaboratori, con un atteggiamento più distaccato, o perlomeno senza lasciarsi andare alle crisi isteriche cui stiamo assistendo in alcune Cancellerie europee, non sono né dei deplorevoli trogloditi, né dei fascisti e, tantomeno, dei “putinisti”. Si tratta di persone che forse hanno il difetto di analizzare e leggere i dati in modo diverso e che utilizzano parametri storico-politici difformi da quelli che la cosiddetta comunità euro-atlantica ha utilizzato negli ultimi decenni, e in particolare durante il quadriennio della Presidenza Biden.

 

MEME SU XI JINPING E DONALD TRUMP

La terza premessa è che quello che Trump sta tentando di realizzare nel proprio paese è qualcosa che, iper-semplificando, potremmo paragonare – con tutte le ovvie differenze rispetto ai paesi, tessuto ideologico-sociale, finalità, metodi utilizzati, e ai probabili risultati che ne deriveranno – alla Rivoluzione Culturale in Cina tra il 1966 e il 1976. Un vero e proprio reset, un mutamento radicale di come l’America viene governata.

 

Trump vuole arrestare il da lui percepito declino del Paese, contenerne il debito fuori controllo, rimetterne in sesto le infrastrutture, restituirgli una politica industriale con il rimpatrio di vaste filiere manifatturiere, riequilibrare i flussi commerciali ed il relativo deficit, smantellare il cosiddetto Deep State responsabile, a suo avviso, di quelli che intravede come problemi cronici quali l’immigrazione illegale, le guerre senza fine in giro per il mondo, nonché derive culturali e sociali giudicate pericolose come la cancel culture e il movimento woke.

 

VIGNETTA DONALD TRUMP XI JINPING

Se poi le politiche da lui concepite per affrontare e risolvere questi problemi siano sensate e efficaci o meno lo giudicherà la storia.  Nella sua visione, un assetto internazionale pacificato in cui l’esposizione globale degli Stati Uniti possa essere ridotta, e conseguentemente anche l’indebitamento del paese, è cruciale per consentirgli di realizzare il suo epocale programma interno.

 

Gli alleati degli Stati Uniti che non convergono con questa sua visione e che in particolare contrastano la sua volontà di fermare le guerre, a partire da quella Ucraina, vengono sommariamente bollati come nemici da eliminare politicamente. In questo scorcio storico-politico quei leaders europei che sembrano voler continuare a perseguire una sempre più improbabile vittoria sulla Russia preferendola ad una pace a dir poco controversa, anche a costo di devastare completamente (economicamente e socialmente) non solo l’Ucraina, ma anche il vecchio continente.

 

MARCO CARNELOS

Se poi la politica internazionale di Trump determinerà anche un riallineamento globale, ovvero un mutamento paradigmatico degli assetti geopolitici successivi alla Seconda Guerra Mondiale e alla Guerra Fredda tanto meglio per lui, lo rivendicherà come la sua eredità storica.

 

Resta da capire se sarà altrettanto positivo per noi. Permane infatti il rischio che questa potenziale metamorfosi degli equilibri politici globali finisca per propiziare una Yalta 2.0 con USA e Russia e con la Cina che prende il posto della Gran Bretagna e l’Europa che passa dalla condizione di commensale al tavolo delle trattative a quella di pietanza.

 

Caro Dago,

geopoliticamente parlando, con Trump gli Stati Uniti potrebbero essere giunti a concludere che l’America non può permettersi e non sarebbe comunque in grado di ingaggiare contemporaneamente Russia, Cina e Iran; e, soprattutto, che non sarebbe nel suo interesse farlo.

volodymyr zelensky in polo alla casa bianca con donald trump

 

Veniamo ora ai fatti. Il momento simbolico, il vero shock, in cui gli alleati europei dell’America hanno preso coscienza del disegno del Presidente USA è accaduto nello Studio Ovale con il Presidente Zelensky il 2 marzo scorso, e lo ribadisco ancora una volta, tutto ciò non deve certamente stupire.

 

Trump equipara il suo successo personale a quello del suo paese, si tratta di due aspetti inscindibili e niente affatto inediti. Per decenni abbiamo ascoltato legioni di politici statunitensi e numerosissimi referenti euro-asiatici di questi ultimi affermare che ciò che era positivo per l’America lo era anche per il resto del mondo. La storia ci insegna che questa corrispondenza non è sempre stata esatta, e che per qualche miliardo di persone non lo sia mai stata.

 

TERRE DI MEZZO - MEME BY EMILIANO CARLI

Trump non ha fatto altro che trasporre – in quello che a molti potrebbe apparire un delirio di onnipotenza – il suo successo con quello del suo Paese. Non a caso, ha trasferito una delle sue esperienze imprenditoriali/televisive di successo all’interno della Casa Bianca rendendo tutto una specie di reality. Nel caso del malcapitato Zelensky è andata in onda una puntata del suo famoso show The Apprentice, e in questo caso il povero Presidente ucraino ha figurativamente ricevuto il noto benservito con la popolare espressione “you are fired!” 

 

STUDIO OVILE - MEME BY EMILIANO CARLI

Ma in quella circostanza ad essere licenziato non è stato il solo Presidente ucraino ma tutti i leaders europei che negli ultimi quattro anni, insieme al Presidente Biden, avevano edificato l’impalcatura di un concerto di nazioni euro-atlantiche finalizzata non solo a difendere la povera Ucraina, ma anche – e forse qui è stato l’azzardo - a propiziare una sconfitta della Russia che facesse da preludio ad un cambio di regime a Mosca.

 

La semplice photo opportunity del Summit nello Studio Ovale si è trasformata nel Summit vero e proprio, manifestando uno straordinario dilettantismo diplomatico. Non a caso, Trump ha concluso i 45 minuti di scazzottata verbale affermando “we made great TV today” (oggi abbiamo fatto della grande televisione), e poco importava se nel frattempo l’evento aveva ulteriormente lacerato i rapporti transatlantici gettando nella costernazione più totale gli Ucraini e i relativi alleati europei.

 

Caro Dago,

I DAZI DI DONALD TRUMP - MEME BY 50 SFUMATURE DI CATTIVERIA

spicca lo scatto di reni dei leaders europei che hanno ora deciso di avviare una svolta politica di cui non si comprendono né le premesse né la logica. 

 

Nelle ultime settimane diversi vertici euro-atlantici – con la visibile assenza USA – hanno partorito l’epocale decisione europea di stanziare 800 miliardi di € per riarmare lil continente, con un programma improvvidamente chiamato ReArm Europe.

 

Qualsiasi valutazione su tale decisione dovrebbe muovere da un interrogativo di fondo. Ovvero quale sia la minaccia per la quale l’Europa si sente obbligata a varare – a debito - un programma di riarmo del valore di 800 miliardi di €? La Russia, guidata o meno da Vladimir Putin, rappresenta veramente una intrinseca minaccia esistenziale per l’Europa?

 

DONALD TRUMP FIRMA I DAZI CON I LAVORATORI DELL ACCIAIO E DELL ALLUMINIO

Quest’ultimo dubbio deriva da un insieme di oggettive ragioni geografiche, demografiche, storiche, economiche e militari.

 

La Russia, in termini di estensione territoriale, è il più grande paese del mondo con immense riserve di materie prime, sfugge pertanto, dinanzi a questo dato, il motivo per cui la sua leadership dovrebbe ulteriormente ampliare verso l’Europa i vasti territori che già a malapena controlla.

 

Tale dubbio appare tanto più fondato se si considera che esiste un consenso unanime sulla circostanza che il paese sia affetto da un netto calo demografico. Chi sarebbe così temerario da voler ampliare i propri territori mentre la propria popolazione si contrae? Di solito è il contrario. Né l’eventuale assorbimento di Ucraina e Bielorussia, ammesso che sia fattibile, contribuirebbe a modificare significativamente questa tendenza.

 

DONALD TRUMP GIOCA A HOCKEY CON PUTIN - IMMAGINE GENERATA DALL IA

Da un mero punto di vista storico, poi, nell’era moderna nella dialettica tra Russia ed Europa è stata sempre la seconda ad aver minacciato la prima. Senza scomodare gli attacchi della Polonia alla Russia agli inizi del 1600, la prima invasione del paese da ovest fu opera del Regno di Svezia guidato da Carlo XII agli inizi del 1700. Finì male. Le truppe dello Zar Pietro il Grande schiantarono gli svedesi a Poltava (nell’odierna Ucraina) nel 1709.

 

La seconda invasione nel 1812 fu opera di un certo Napoleone, Imperatore di Francia. Finì male anche questa. La terza venne intrapresa nel 1941 da un certo Adolf Hitler del Terzo Reich tedesco, con una maldestra partecipazione italiana, e sappiamo tutti come si è risolta.

 

Peraltro, sarebbe appena il caso di ricordare – nell’imminenza delle prossime celebrazioni dell’80° anniversario della fine della Seconda Guerra Mondiale previste il 9 maggio prossimo - vista anche l’amnesia storica collettiva che sta caratterizzando le democrazie liberali europee che in questa terza occasione l’Unione Sovietica salvò l’Europa dal Nazifascismo sacrificando almeno 20 milioni di propri concittadini.

Putin Trump

 

È per questo che nel paese permane ancora una forte suscettibilità quando viene sommariamente ed erroneamente equiparato al Terzo Reich tedesco.

 

Venendo alla presunta odierna minaccia militare russa qui un po' di chiarezza non guasterebbe. In primo luogo, andrebbe tenuto a mente che il PIL dell’Unione Europea è circa 9 volte superiore a quello della Russia che negli ultimi tre anni è stata descritta come un paese sull’orlo del collasso economico, messa in ginocchio dalle nostre sanzioni, incapace di portare avanti un’offensiva militare degna di questo nome e costretta e cannibalizzare (Ursula von der Leyen dixit) i chip delle lavatrici per poter far funzionare i propri equipaggiamenti militari.

 

URSULA VON DER LEYEN

È inoltre un dato di fatto che dal punto di vista militare le forze armate russe in Ucraina abbiamo offerto una pessima prova.  Appare del tutto lecito, quindi, chiedersi in base a quale ragionamento militare un esercito che non è stato in grado di raggiungere Kiev, Kherson e Odessa adesso, improvvisamente, viene ritenuto in grado di marciare per tutta l’Europa arrivando fino a Lisbona?

 

La realtà degli ultimi dodici mesi dimostra, inoltre, che la Russia non sembra nemmeno in grado di difendere i propri confini come testimoniato dall’incursione ucraina a Kursk dove le forze armate russe non hanno ancora ripreso il pieno controllo della zona.

 

Si stenta quindi, almeno da questo modesto osservatorio, a comprendere la frenesia europea per un massiccio piano di riarmo da 800 miliardi di euro, considerato, peraltro, che i 27 membri dell’Unione Europea combinati hanno una spesa militare – stando ai bilanci attuali - due o tre volte superiore a quella della Russia.

ursula von der leyen e i dazi - vignetta by osho

 

Con questo non si intende affatto sostenere che l’UE non debba varare una propria difesa autonoma per quanto possibile integrata nelle catene di comando e sinergica nelle filiere industriali a sostegno dello sforzo difensivo del continente, ma soltanto che questo sforzo difensivo debba essere portata avanti in modo più razionale e ragionato e soprattutto intelligente, ovvero spendere meglio le centinaia di miliardi di euro già stanziate prima di aggiungerne altre. Allo stato attuale, 800 miliardi di € aggiuntivi spesi dall’UE in armamenti finirebbero in larga parte nelle casse del complesso militare-industriale statunitense.

 

URSULA VON DER LEYEN - KIT TESENCULA - MEME

Una Difesa Europea integrata con filiere industriali sinergiche all’interno del continente richiederà anni e pertanto è sensato avviarla da subito ma in modo logico. Prima trovare gli accordi intergovernativi per varare tali filiere industriali con una ripartizione dei compiti e dei programmi comune che abbiano un senso, e quindi spendere i fondi già stanziati e soltanto successivamente, se necessario, stanziarne di nuovi.

 

Con l’attuale difficile situazione economica in diversi paesi europei ulteriori 800 miliardi di € spesi nella difesa potrebbero tragicamente determinare una situazione in cui le “rafforzate” unità militari europee potrebbero trovare il loro primo impiego nel reprimere le inferocite opinioni pubbliche nostrane.

 

La Russia negli ultimi anni ha assunto atteggiamenti inaccettabili ma occorre anche avere un senso della misura ed evitare di lasciarsi andare a facili isterismi e, soprattutto, comprendere come un’opzione negoziale che tuteli anche – ma non solo – le esigenze di sicurezza russe potrebbero rappresentare un’opzione assai meno costosa.

 

XI JINPING - DONALD TRUMP - VLADIMIR PUTIN

Del resto, andrebbe tenuto bene a mente che se l’UE per decenni non è mai stata in grado di pervenire ad un’Unione Fiscale, e sappiamo perfettamente quanto ne avesse bisogno, è lecito nutrire qualche dubbio che possa arrivare in tempi ristretti ad un’assai complessa e potenzialmente divisiva Unione della Difesa.

 

Caro Dago,

se poi andiamo a valutare oggettivamente tre delle quattro serie minacce che il vecchio continente ha affrontato nell’ultimo quarto di secolo potremmo giungere a delle conclusioni imbarazzanti.

 

VLADIMIR PUTIN, DONALD TRUMP E XI JINPING PATTINANO SUL GHIACCIO - IMMAGINE CREATA CON L INTELLIGENZA ARTIFICIALE DI GROK

Tralasciando il Covid che non ha ancora un responsabile ben definito, e l’emergenza climatica che ha responsabilità ampiamente condivise ma anche degli untori storici, le altre tre minacce che hanno caratterizzato l’Europa nel primo scorcio del XXI secolo sono l’immigrazione incontrollata e alcuni connessi fenomeni di terrorismo, la crisi finanziaria del 2008 e la successiva durissima politica di austerity ed, infine, il conflitto in Ucraina con le drammatiche conseguenze economiche che ha innescato. Le prime due non sono ascrivibili ai nostri presunti nemici (Russia e Cina) ma, ahimè, ai nostri principali alleati oltre Atlantico. La terza presenta responsabilità parimenti condivise.

 

Larga parte dei fenomeni migratori da Asia Occidentale e Nordafrica sono la risultante dello sconvolgimento del cosiddetto Grande Medio Oriente (da Gibilterra alle pendici dell’Hindu Kush) innescato dall’avventurosa politica statunitense nella regione all’indomani dell’11 settembre 2001 con il suggello dell’esportazione della democrazia culminata dall’invasione dell’Iraq nel 2003.

VLADIMIR PUTIN DONALD TRUMP XI JINPING - MATRIOSKE

 

La crisi finanziaria del 2008 e le connesse drammatiche conseguenze globali non sono state il risultato di perfide manovre finanziarie russo-cinesi ma di sconsiderate politiche statunitensi tollerate senza alcun controllo, o addirittura incentivate, dalle Amministrazioni Clinton e Bush II tra gli anni 90’ del secolo scorso e i primi anni dell’attuale. Noi Europei abbiamo subito in pieno lo tsunami di quell’evento e ovviamente ci siamo scannati tra di noi nell’affrontarne l’impatto; ne sa qualcosa la povera Grecia per la quale all’epoca i vincoli di bilancio vennero fatti valere senza pietà mentre oggi, per il riarmo del continente, sembrano non valere più. Se i doppi standard fossero monetizzabili i debiti di tutti i paesi europei sarebbero già stati tutti appianati da tempo.

 

hillary clinton e bush

Sarebbe infine a dir poco riduttivo, infine, imputare tutte le crisi in Europa orientale all’imperialismo russo impersonificato da Vladimir Putin quando invece è fin troppo noto che un vulnus importante è stato la sconsiderata espansione ad est della NATO negli ultimi 30 anni dopo che il Patto di Varsavia era stato sciolto e la Russia si era ridotta nella condizione di uno stato pressoché fallito sotto la docile gestione del potere di Boris Yeltsin.

 

Mosca ha certamente enormi responsabilità ma, in fin dei conti, non ha fatto né più né meno che far valere – in modo sbagliato e illegale! – quelle che riteneva come sue imprescindibili esigenze di sicurezza lungo i suoi confini (come fecero gli Stati Uniti nel 1962 con Cuba arrivando a rischiare una guerra nucleare!) e come più recentemente ha fatto – in modo assai più truculento in termini relativi – Israele nei confronti di Gaza, Libano e Siria.

clinton bush senior

 

Ora l’Europea e l’intera comunità delle nazioni si trovano ad affrontare un’ulteriore minaccia proveniente dagli Stati Uniti che con la politica dei dazi della Presidenza Trump sta probabilmente mettendo a repentaglio il sistema economico-commerciale internazionale con conseguenze non ancora ben definite, ma che potrebbero rivelarsi dannose e dolorose per molti, e - come di sovente accade – fonte di grandi opportunità per pochi.

 

Mentre si accinge ad incontrare il Presidente Trump a Washington in un colloquio che si preannuncia oggettivamente difficile, il nostro Premier farebbe bene innanzitutto a tenere a tenere a mente, oltre ai precedenti storici sopra citati, una delle massime di Henry Kissinger che ha trovato ampio riscontro nel XX secolo e che, purtroppo, sembra trovarne anche nel XXI, ovvero che “Essere nemici degli Americani è pericoloso, ma esserne amici può essere fatale.”

nixon kissinger

 

Il Presidente Meloni dovrà destreggiarsi tra le forti pretese di Trump e i suoi sospettosi partners europei. Questi ultimi potrebbero non essere così disponibili ad agevolarla nel, comunque lodevole, tentativo di trovare (e comprensibilmente fregiarsene) un compromesso tra le due sponde dell’Atlantico.

 

Nonostante le costanti consultazioni che la Premier ha tenuto nelle ultime ore con la Presidente della Commissione Ursula von der Leyen, è poco plausibile che il Presidente Macron, nel suo incurabile narcisismo, possa agevolare e accogliere un successo del genere targato Meloni, e che lo stesso possa fare il neo Cancelliere tedesco Merz determinato a far riassumere un ruolo chiave alla Germania dopo lo scialbo Scholtz, per non parlare del britannico Starmer che sogna ancora la “Special Relationship” tra Londra e Washington.

 

Se poi il Premier dovesse tornare da Washington con risultati proficui sarebbe giusto riconoscergli il coraggio per affrontato una prova difficile in un momento oggettivamente difficile.

 

Caro Dago,

 

oltre al nodo ucraino, i temi economici, a partire dai dazi, saranno cruciali nei colloqui della Meloni ma su quest’ultimi – se me ne darai modo – mi pronuncerei in un’altra occasione, ai tuoi pazienti lettori ho inflitto già troppo.

 

Roma, 17 aprile 2025                                                                    Un cordiale saluto

 

                                                                                                          Marco Carnelos

henry kissingerkissinger