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Alessandra Farkas per il "Corriere della Sera"
Il mese scorso il senatore pro-armi Mark Begich, democratico dell'Alaska, telefonò al presidente Obama proponendogli un «piccolo scambio» proficuo per entrambi. «Chiedi al tuo nuovo Segretario dell'Interno, Sally Jewell, di rimuovere il divieto contro la costruzione della strada nell'oasi protetta dell'Izembek National Wildlife Refuge e io voterò a favore della riforma della legge sulle armi».
Ansioso di vincere una delle scommesse più difficili del suo secondo mandato, Obama acconsentì. Ma quattro settimane più tardi, il 18 aprile, Begich ha pugnalato alle spalle il suo presidente, unendosi agli altri quattro democratici che hanno fatto naufragare il sogno obamiano di dare all'America una legge sul divieto della vendita di armi d'assalto.
Quando, sconcertato e teso in volto, Obama ha commentato la decisione del Senato affermando: «Oggi è una giornata vergognosa per Washington ma non è finita qui», tutti si aspettavano che avrebbe punito il traditore. Ma così non è stato. «Il voltafaccia di Begich è rimasto impunito», puntano il dito i media americani, sottolineando che la ministra Jewell si recherà comunque in Alaska, «per mostrare agli elettori di Begich che il loro senatore è riuscito a convincere il governo ad approvare la strada».
L'unico a uscire vincitore dall'incidente - che mostra come l'inciucio non sia un monopolio della politica italiana - è il 51enne ex sindaco di Anchorage, un cattolico di origine croata (il padre deputato morì in un incidente aereo nel 1972) che si presenta alle elezioni del prossimo anno con una piattaforma liberal in tutto tranne che sullo spinoso tema delle armi.
Nell'Alaska di Sarah Palin, che in una delle puntate del suo reality show «Sarah Palin's Alaska» si diletta a sparare a renne e caribù, il 2° emendamento della Costituzione, che sancisce il diritto dei cittadini di detenere e portare armi, è sacro. «La sconfitta della riforma è la prova schiacciante della debolezza di Obama», sostiene Maureen Dowd dalle colonne del New York Times, accusando il presidente di «non avere imparato come si fa a governare».
Un articolo pubblicato sulla prima pagina dello stesso giornale è altrettanto caustico. «Se Obama non può tradurre il sostegno del 90% del pubblico in una vittoria a Capitol Hill, quali riforme può aspettarsi di realizzare nei restanti tre anni e mezzo del suo mandato?».
Ma a difendere la sua abilità di lobby è l'influente sito progressista Media Matters, secondo cui la trasferta di Jewell in Alaska è stata «il frutto di un altro negoziato tra Casa Bianca e la senatrice repubblicana dello Stato». Cioè Lisa Murkowski, che aveva promesso di votare per la nomina di Jewell in cambio della luce verde alla famigerata strada nell'oasi verde dello Stato ribattezzato «l'ultima Frontiera».
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