DAGOREPORT – SE C’È UNO SPIATO, C’È ANCHE UNO SPIONE: IL GOVERNO MELONI SMENTISCE DI AVER MESSO…
Massimo Gaggi per corriere.it
Quello di George Shultz, scomparso all’età di 100 anni, è un nome che sicuramente non dice nulla non solo ai giovani ma anche alla gente di mezza età, del quale anche gli anziani faticheranno a ricordarsi, visto che la sua attività di governo si concluse nel 1989.
Eppure Shultz è stato per almeno vent’anni un pilastro della politica americana sul piano economico (ministro del Lavoro, del Bilancio e poi del Tesoro nell’amministrazione Nixon) e della politica estera (il segretario di Stato di Ronald Reagan che pilotò il riavvicinamento delle relazioni tra gli Stati Uniti e un’Unione Sovietica avviata verso la dissoluzione). Ma è stato anche — cosa allora assai poco notata ma essenziale per quello che abbiamo visto accadere nel crepuscolo dell’era Trump — un ferreo difensore della tenuta delle istituzioni democratiche durante la crisi del Watergate.
Se Nixon, messo davanti alle sue gravi responsabilità in quello scandalo politico, fu costretto a rassegnare le dimissioni senza tentare forzature, lo si dovette a vari fattori: la forza e il coraggio di una stampa allora molto autorevole, la tenuta dei parlamentari repubblicani in Congresso decisi a difendere il loro presidente ma non fino al punto di chiudere gli occhi davanti alla prova di suoi comportamenti criminali, ma anche l’equilibrio e la dirittura morale di un uomo, Shultz, che impose a Nixon di dire tutta la verità sull’attività clandestina condotta contro il partito democratico.
Anche al fianco di Reagan, Shultz ebbe la forza di far prevalere il suo senso morale rispetto alla convenienza politica quando affrontò il presidente chiedendogli, a differenza di quanto gli suggerivano altri consiglieri, di non nascondere più le nefandezze dell’affare Iran-Contras.
In economia, negli anni Settanta, Shultz contribuì al piano Nixon che portò al superamento del sistema monetario che era stato creato a Bretton Woods alla fine della Seconda Guerra mondiale, con lo sganciamento del dollaro dall’oro. Da ministro del Lavoro, poi, varò le prime, timide, tutele assistenziali e garanzie sui minimi salariali.
Negli anni Ottanta, da capo della diplomazia Usa, fu il primo a capire che Gorbaciov era diverso dai leader sovietici che l’avevano preceduto e a convincere Reagan ad adottare una linea di dialogo più flessibile con Mosca. Ma anche dopo il suo ritiro dalla politica attiva, da studioso che viveva nell’università di Stanford, George Shultz ha svolto un ruolo attivo di «saggio».
Fu lui ad esempio, nel 1998, a far conoscere a George Bush personaggi dello spessore intellettuale di Condoleeza Rice che sarebbero poi diventati elementi chiave della sua amministrazione, una volta divenuto presidente nel 1990. Gli anni recenti sono, invece, stati segnati da uno scivolone: insieme a Kissinger e ad altri grandi personaggi, offrì la sua credibilità a sostegno della Theranos, una società che sembrava aver scoperto un modo rivoluzionario di testare il sangue e che, invece, si rivelò un’impresa truffaldina.
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