LETTA SUL CARROCCIO: LA LEGA APRE A ENRICHETTO PREMIER

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Rodolfo Sala per "la Repubblica"

Evitare come la peste il voto anticipato. È l'imperativo categorico che risuona in casa leghista dopo che Bersani è salito al Colle. E per scongiurare il rischio di nuove elezioni, dentro il Carroccio si tifa per un altro premier del Pd: Enrico Letta.

Un nome che nelle ultime ore rimbalza in modo quasi ossessivo nei contatti frenetici tra i dirigenti nordisti.
«Noi - spiega il vicesegretario del Carroccio Giacomo Stucchi - riconosciamo al Pd il diritto di esprimere il premier; però pretendiamo pari dignità, non accettiamo che qualcuno pensi di avere una sorta di superiorità morale, trattandoci come figli di un dio minore».

Insomma, avanti un altro, purché la si faccia finita con i veti che forse, fa capire Stucchi, sono stati posti allo stesso Bersani. «Basta sentire quello che ha spiegato il segretario del Pd dopo aver riferito a Napolitano », aggiunge Stucchi. E cioè? «Ha detto "non posso fare un governo di grande coalizione", non ha detto "non voglio"». Vuole dire, sempre nell'interpretazione del vice di Maroni, che Bersani sarebbe stato bloccato dai suoi: «Aveva l'indicazione di chiudere a ogni ipotesi di grande coalizione, di non stringere accordi con il centrodestra; ma se la direzione del Pd dovesse cambiare idea, si aprirebbero scenari nuovi».

Più che una certezza è una speranza, ma la Lega non demorde. Maroni, che oggi sarà al Colle per le consultazioni (e sempre in compagnia di Alfano per sottolineare che nel centrodestra si procede a ranghi compatti), vede come il fumo negli occhi la prospettiva di un nuovo ricorso alle urne che rischierebbe di lasciare senza un interlocutore a Roma quella macroregione del Nord su cui ha puntato tutto, riuscendo a vincere in Lombardia.

Gli andava bene anche Bersani, ma è andata com'è andata, e adesso è molto probabile che il segretario del Pd «prigioniero dei veti dei suoi», come dice un colonnello di "Bobo", dovrà passare la mano. Non certo a un tecnico, meglio a un altro esponente del Pd, maggiormente consapevole che un governissimo con dentro tutti meno Grillo è l'unica strada percorribile per evitare il peggio.

«Tecnicamente si potrebbe pure votare a giugno - insiste Stucchi -, ma sarebbe inutile e dannoso, perché se anche vincessimo al Senato mancherebbero i numeri». Resta il problema del prossimo inquilino del Quirinale. Anche in questa partita la Lega non si smarca dal Pdl: dev'essere gradito, se non addirittura indicato, dal centrodestra. Poi tutto si aggiusterebbe. «Purtroppo - fantastica un parlamentare leghista di stretta osservanza maroniana - quelli del Pd hanno fatto i talebani; io ho ancora in mente il Bersani che mi
piaceva, quello che faceva il presidente dell'Emilia e il ministro: se nella notte ci ripensa e suggerisce a Napolitano il nome di Letta, i santi aiuterebbero».

Non è così semplice, ma questo è quel che si dice tra i leghisti. Che continuano a tifare per le larghe intese, per un governo "politico" incaricato di fare «le setteotto cose su cui tutti si dicono d'accordo», insiste un sindaco: attuazione dei decreti sul federalismo, apertura all'idea della macroregione, nuova legge elettorale, riduzione drastica dei costo della politica, tagli corposi alla spesa pubblica, sburocratizzazione, riforma della giustizia a partire dal civile. C'è solo una riserva, un'ipotesi che tuttavia i leghisti ritengono improbabile: che Napolitano alla fine ritenga «superabili» i veti di cui gli ha parlato Bersani. L'impressione, e la speranza, è che forse già oggi il Capo dello Stato mandi avanti un altro premier incaricato, sempre del Pd. E se fosse Enrico Letta, loro sarebbero i più contenti.

 

Letta Enrico ROBERTO MARONI CON LA SCOPA PADANA PIERLUIGI BERSANI Giorgio Napolitano