1. DA LETTA A NAPOLITANO, DA D’ALEMA A BERSANI, FINISCONO TUTTI ROTTAMATI: IL PLEBISCITO DI MATTEUCCIO-UCCIO-UCCIO FA TRABALLARE L’INTERO SISTEMA. IL PD NON ESISTE PIÙ? 2. GIÀ RESPINTA AL MITTENTE L’OFFERTA DI INCIUCIO DA PARTE DEL COLLE NAPOLITANISTAN: “PATTI CON LETTA? NON NE HO E SE NON CAPISCO LUI COSA VUOLE NON NE FACCIO”. 3. PARTE IL PRIMO AVVISO DI SFRATTO: “DECISIVI I PRIMI DUE MESI, VOGLIO LASCIARE IL SEGNO” 4. IL MANTRA DEI LETTIANI MEJO DELLE COMICHE: “IL RISULTATO DELLE PRIMARIE STABILIZZA LA NOSTRA PROSPETTIVA”. SÌ, LA PROSPETTIVA DI ANDARE A CASA A PETTINARE LE BAMBOLE! 5. IL SINDACO-SEGRETARIO: “DICONO TUTTI CHE LA SENTENZA DELLA CORTE COSTITUZIONALE RAFFORZA IL GOVERNO: IO NON NE SONO COSÌ SICURO. QUANDO SI FA UNA LEGGE ELETTORALE, POI IN GENERE SI VA A VOTARE: IL GOVERNO STIA IN CAMPANA”

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1 - RENZI: "DECISIVI I PRIMI DUE MESI, VOGLIO LASCIARE SUBITO IL SEGNO"
Federico Geremicca per "La Stampa"


Dice «lo so che l'inizio è decisivo. Ho due mesi per imporre un segno, far capire che non scherzavamo e vedere - soprattutto - se riusciamo a fare questa benedetta legge elettorale». È mezzogiorno in punto, Matteo Renzi è ancora un segretario in divenire e dunque può starsene per conto suo.

Le mani in tasca e le scarpe coi lacci gialli, è con la moglie Agnese a guardare i figli (Francesco ed Emanuele) giocare a pallone su un campetto di periferia. È il suo ultimo giorno da non-segretario: e forse, per i cronisti, l'ultima occasione per sentirlo parlare con la solita spavalda guasconeria.

Un occhio al campo e un altro, come sempre, al telefonino. Messaggini su messaggini. «Sono la vera scocciatura di queste primarie - dice -. Ma molti amici mi avvertono che ci sono file ai seggi e difficoltà a votare. Alla fine andrà bene, ma questa scelta di non favorire l'affluenza per indebolire il nuovo segretario - lamenta - non la capisco affatto. Così come non capisco Epifani, che ora vuole contrappesi per bilanciare il potere del leader scelto con le primarie. Così si indebolisce il Pd, non me: e onestamente, non mi pare un buon affare».

In questa indimenticabile giornata di sole freddo, anche lui - il sindaco - ha fatto la fila per votare: ore 9,30, strette di mano, saluti e un quarto d'ora d'attesa al seggio affollatissimo di Piazza de' Ciompi. «Un buon segno», dice: ma non vede l'ora di liquidare telecamere e cronisti. Lo fermano e lo contestano un paio di studenti: dà loro appuntamento per il 16 dicembre, giorno nel quale chissà in cosa e dove sarà indaffarato... Eleganti signore, invece, lo baciano: «È un pischello, ma è bravo». Renzi sorride, ma si dilegua rapidamente.

Se il giovane post-democristiano eletto ieri segretario del maggior partito italiano non cambierà pelle, stile e idee, se ne potrebbero vedere delle belle: basta ascoltare cosa gli pare di quel che accade a Roma, e cosa intende fare. Per esempio: «Dicono tutti che la sentenza della Corte Costituzionale rafforza il governo: io non ne sono così sicuro. Finché c'era il Porcellum, infatti, potevano prender tempo e far finta che al lavoro c'era Quagliariello, uno che la legge elettorale non la farà mai: ora, invece, da Forza Italia alla Lega e da Sel a Grillo, tutti dicono che bisogna intervenire. Ma quando si fa una legge elettorale, poi in genere si va a votare: il governo stia in campana, insomma. E non s'impicci della materia: se proprio vogliono fare un decreto, lo facciano per creare lavoro. In fondo, sono lì per questo».

Il governo, già. E il difficile rapporto con Enrico Letta. A partire da oggi, con lui segretario a Roma, sarà questo il problema dei problemi. Renzi dice di non esser prevenuto, anzi: «Io patti con Enrico non ne ho. Magari li faremo, ma per ora non ne ho. E le dico di più: avrei fatto un accordo per andare anche oltre il 2015, ma non capisco lui che vuol fare, cosa ha in testa e fin dove vuole arrivare: e se non capisco, mi spiace, io patti non ne faccio». I due si parleranno ancora: e ci mancherebbe. Cercheranno un'intesa, certo. Ma quando accadrà, qualcosa di evidente sarà cambiato: di fronte al premier, infatti, non siederà più un giovane sindaco, ma il segretario del suo partito...

Che è la vera preoccupazione - il Pd, intendiamo - che pare avere Renzi mentre controlla il cellulare e tifa per la squadra dei due figli. «È vero che è strano che leader del peso di Epifani, Prodi, Letta e Rosy Bindi non dicano a chi è andato il loro voto. Ma io azzardo: Enrico e Guglielmo per Cuperlo, Romano per Civati e Rosy proprio non saprei. Ma ora, francamente, ho altro per la testa: la segreteria da scegliere tra stanotte e domani, un gruppo dirigente con tante donne come prima mai. E poi, c'è da scegliere il presidente dell'Assemblea...».

Per quella carica circola con insistenza il nome di Fassino. «Credo gli piacerebbe - dice Renzi -, ma è un'idea più sua che mia». E chi allora? «Reichlin, per esempio. Come sarebbe accolto?». Magari è uno scherzo, non capiamo: ma certo scriveremmo che Renzi ha già fatto pace con D'Alema... «Il punto è che deve esser rappresentata al vertice la sinistra. Però, certo, potrei anche rappresentarla con Scalfarotto... Vediamo».

Sarà un problema, forse. Come un altro problema - di sicuro più serio - potrebbe esser la maggioranza saldatasi intorno a lui. Veltroni, Franceschini, Fassino... non proprio renziani doc. E se lo abbandonassero al primo tornante? «Sono pochi», dice. Ma ha chiaro che la questione non la può chiudere così: «Non credo che prenderanno le distanze - aggiunge - o che tradiranno, come usate dire voi. Abbiamo fatto tutti assieme una battaglia su un programma netto e chiaro: ora si realizza quel programma, e sarebbe suicida - per loro, intendo - dire a un certo punto che ci hanno ripensato». Del Grande Nemico, invece - di Massimo D'Alema, insomma - non vuol parlare. Sarà candidato capolista alle europee? «Non rispondo. Sicuro. Nemmeno col coltello alla gola».

La squadra di Francesco ed Emanuele finalmente segna. Poi ci sarà Roma-Fiorentina, un pranzo in famiglia, il rito dell'illuminazione dell'albero di Natale al Duomo e poi di filato verso i risultati delle primarie. Ma quelle elezioni - le europee - meritano ancora qualche parola. «Tra populismi, antieuropeismi, proporzionale e voti in libera uscita, sarà un test rischioso per il Pd. Io non mi candiderò perché quel giorno, il 25 maggio - che forse è anche l'ultima data utile per le elezioni anticipate - si vota per il sindaco di Firenze e di altre città. Andassero male le europee, commenterò il voto amministrativo, che è importante: forse perfino più importante...».

Ore 17: hanno già votato quasi due milioni di persone. Il terrore del flop tramonta, Renzi sorride e comincia a pensare al discorso da fare: l'affluenza è grande e la vittoria larga, proprio come lui sperava. Lentamente il sindaco trasfigura in segretario: e non è azzardato, adesso, immaginare che un'epoca declini e un'altra - indecifrabile e imprevedibile - stia per cominciare.

Era giusto un anno fa (Renzi lo ricorda bene) e ancora oggi è difficile dire se fosse più un avvertimento o una premonizione. «Abbiamo provato a cambiare la politica, non ce l'abbiamo fatta: adesso sarà meraviglioso dimostrare che la politica non riuscirà a cambiare noi. Abbiamo dalla nostra tre cose: l'entusiasmo, il tempo e la libertà...».

Era il 2 dicembre, Matteo Renzi annunciava così davanti ai volontari in lacrime la sconfitta nella Grande Guerra con Bersani, e ora si può dire che il tempo della prova finalmente è arrivato: ora può dimostrare che quel che ha promesso manterrà, che l'ambizione non muta, che «la politica» - insomma - non ha cambiato né lui né le idee e nemmeno chi gli sta intorno...

Intendiamoci: può anche essere che Renzi sia un furbacchione. Un populista democratico. O addirittura un demagogo mascherato (e secondo alcuni, nemmeno tanto mascherato). Mettiamo pure che sia così (e del resto come escluderlo, prima che cominci il suo lavoro?). Ma se ha vinto prima nei circoli e poi con le primarie, e se tutti i sondaggi continuano a darlo in cima a qualunque test di fiducia e popolarità, vuol dire che - dopo gli iscritti - anche gli elettori del Pd considerano questo rischio più accettabile dell'alternativa: cioè, andare avanti più o meno come prima. Questo 8 dicembre, insomma, lascia un segno. Accende una speranza. Che sia poi bene o mal riposta, solo il tempo lo dirà...

2 - LETTA NON OSTACOLERÀ LA LEGGE ELETTORALE: "MA ORA MATTEO DEVE SPORCARSI LE MANI"
Francesco Bei per "La Repubblica"


Non è un voto contro il governo, questo è l'importante ». Enrico Letta apprende i risultati del plebiscito democratico in aereo, mentre viaggia verso Milano.

A Palazzo Chigi tutta la squadra è precettata, lo aggiornano quasi in diretta sui dati che arrivano via via dal Pd. L'unico candidato che esplicitamente e senza condizioni si opponeva al governo - Pippo Civati - si è infatti dovuto accontentare della medaglia di bronzo e questo legittima il premier a considerare il restante 87% dei votanti alle primarie «non ostile» alla sua permanenza a palazzo Chigi. Marco Meloni, braccio destro del premier, tira un sospiro di sollievo: «Il risultato delle primarie stabilizza la nostra prospettiva».

Un'altra buona notizia che rallegra la domenica lettiana è il sondaggio, ancora riservato, che il premier ha avuto in anteprima sul suo gradimento personale, «oltre il 50 per cento». Un dato che sarebbe appena due punti sotto quello di Renzi, nonostante gli otto mesi di governo. Certo, la stessa indagine demoscopica segnala un altro elemento importante: gli italiani non vogliono avventure, ma stanno perdendo la speranza, si aspettano ora dall'esecutivo «risposte tangibili» sui problemi che li affliggono ogni giorno.

È su questo terreno che Letta intavolerà la trattativa con il nuovo segretario del Pd, partendo dagli obiettivi programmatici per il 2014. Con una certezza: «Fino a ieri era in campagna elettorale, da domani anche Matteo dovrà sporcarsi le mani con le soluzioni».
I due si vedranno oggi pomeriggio, prima che il premier prenda l'aereo per Johannesburg per partecipare alla commemorazione di Nelson Mandela. E c'è da scommettere che la prima questione sul tavolo sarà la riforma della legge elettorale.

Se Renzi vuole misurarsi con questa sfida, Letta non ha alcuna fretta di presentare un proprio disegno di legge. Oggi ribadirà al neosegretario la sua fede bipolarista, come si conviene a un allievo di Andreatta, pronto a sostenere ogni iniziativa che vada in quella direzione. Quanto alla fine del bicameralismo perfetto e la riduzione del numero dei parlamentari, le altre due priorità renziane, il governo ha già pronto un testo da portare subito in Consiglio dei ministri.

Insomma, «sul piano dei contenuti - osserva la lettiana Paola De Micheli - non vedo una rivoluzione copernicana, non ci sarà un braccio di ferro con il governo. A Renzi diamo il benvenuto nel club dei guardiani della ditta». E se il leader dem vuole cercare un accordo parlamentare con Berlusconi e Grillo sulla legge elettorale, a palazzo Chigi - consapevoli della palude che ha impedito finora la riforma del Porcellum - gli fanno gli auguri.

La strada della convivenza non sarà in discesa, questo è certo. E tuttavia la chiusura della finestra elettorale di primavera impone ai due un qualche accordo di reciproco vantaggio. È quella che Francesco Sanna definisce con l'ossimoro di «stabilizzazione esigente », nel senso che Renzi non potrà far cadere il governo ma il premier dovrà tener conto del pungolo rappresentato dal rottamatore. «Renzi - spiega il lettiano Sanna - dovrà investire il capitale di consensi ricevuti e farlo fruttare in vista del 2015.

In questo senso sarà cruciale un accordo con Letta». Un patto tra i due è quello che a palazzo Chigi auspicano e considerano la strada più realistica, l'unica percorribile. Anche perché fuori dai confini premono i barbari - Grillo e Berlusconi - pronti a far saltare le istituzioni. Letta è molto preoccupato per gli attacchi forsennati di 5Stelle e Forza Italia contro il Quirinale, la Consulta, il Parlamento. E lo dirà nel suo discorso di mercoledì. Anzi sarà proprio la battaglia contro la «deriva distruttiva ed estremistica» rappresentata dai populismi grillini e forzisti il terreno comune d'intesa che il premier intende proporre al sindaco di Firenze.

Al momento non si parla invece di rimpasto di governo. Persino i sottosegretari berlusconiani non saranno sostituiti. Fino a gennaio, almeno, non si toccherà nulla, in attesa che passi la legge di stabilità. Poi si vedrà se Renzi intende reclamare maggiore spazio in una squadra disegnata su un Pd bersaniano che non c'è più. In realtà l'unico ministro che davvero rischia il posto è Annamaria Cancellieri, alla luce della vicenda Ligresti. Renzi, come si dice, ci ha messo la faccia sulla richiesta che il Guardasigilli faccia un passo indietro. E a palazzo Chigi rischiano presto di trovarsi in mezzo a un braccio di ferro tra il Quirinale (che difende Cancellieri) e il Pd sulla poltrona di via Arenula.

 

 

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