FAVO-LETTA SENZA HAPPY END – ENRICHETTO CONTRO ‘I FARISEI’ DEL PD: ‘HO CAPITO TROPPO TARDI IL TRANELLO DEI MEDIATORI’ (FRANCESCHINI SU TUTTI) – NO ALLO STRAPUNTINO DI CONSOLAZIONE: ‘SE NON VADO BENE COME PREMIER PERCHÉ DOVREI ANDARE BENE COME MINISTRO?’

Francesco Bei e Alberto D'Argenio per ‘La Repubblica'

Sono dei Farisei, mi ringraziano e poi mi chiedono di lasciare la presidenza del Consiglio dei ministri». Enrico Letta non perde la calma. Nemmeno nel giorno in cui il suo stesso partito lo sfiducia per spalancare le porte di Palazzo Chigi a Matteo Renzi. Amarezza, sì. Rabbia, racconta chi lo ha visto ieri, no.

Io resto un uomo delle istituzioni - ha ripetuto a chi gli offriva posti nel futuro governo per convincerlo a lasciare prima della direzione del Pd - e non sarebbe dignitoso accettare un qualche strapuntino». Ma resta la delusione di doversi dimettere proprio oggi, giorno in cui l'Istat certificherà la fine della crisi dopo dieci mesi di governo vissuto nei marosi di una coalizione segnata prima da Berlusconi e poi dal nuovo clima politico che si è creato dopo le primarie democratiche. «È stato un lavoro faticoso, sarebbe stato bello festeggiare il dato Istat in modo diverso», lo sfogo del premier che scherzando con i collaboratori ora pensa di prendersi una lunga vacanza con la famiglia.

Alle sette e mezza del mattino il premier ormai uscente è già a Palazzo Chigi. Al portone si presentano il portavoce della segreteria di Renzi Lorenzo Guerini e i capigruppo Zanda e Speranza. Letta li riceve in maniche di camicia in un salottino dell'appartamento presidenziale. I tre confermano che nella direzione del pomeriggio Renzi gli chiederà di cedere il passo. Lo implorano di dimettersi subito, per salvare le apparenze evitando la mattanza interna al partito.

«No, serve chiarezza», è stata la gelida risposta del presidente del Consiglio determinato a non facilitare il lavoro a Renzi. E a chi è tornato a fare allusioni su un possibile futuro governativo per lui e per il suoi fedelissimi, Letta ha risposto con una risata: «Non mi avete proprio capito allora, non mi interessa nessun incarico».

Già, perché nei giorni scorsi a Letta sono stati offerti il ministero degli Esteri, quello dell'Economia e un posto in Europa. «Non mi state sfiduciando sul programma, dunque è una questione personale. Ma se non vado bene come premier perché allora dovrei andare bene in un ministero così importante? », l'ironia che ha riservato nelle ultime giornate agli ambasciatori di Renzi.

La svolta è arrivata a metà mattina, quando a Palazzo Chigi è arrivata la telefonata del Capo dello Stato Giorgio Napolitano. Che avrebbe chiesto al premier di agire con cautela, di non portare la crisi in Parlamento per evitare di ingarbugliare ancor di più la situazione. Un percorso che rispecchiava le intenzioni di Letta, che ha preannunciato al presidente le proprie dimissioni.

Per questo a pranzo con i pochi deputati e senatori rimastigli fedeli fino all'ultimo Letta ha chiesto a tutti di abbassare i toni, di non alimentare tensioni alla direzione che sarebbe iniziata da lì a poco. E così è arrivata anche la decisione di seguire il dibattito del parlamentino democratico in tv, senza andare al Nazareno come invece Letta aveva in animo di fare fino alla mattina. «Non voglio dare l'immagine di un premier che va contro il suo partito, tanto che a gettarmi via è il Pd sarà comunque chiaro a tutti gli italiani».

E così l'intervento di Renzi e la discussione interna al partito il presidente del Consiglio l'ha seguita nel suo studio di Palazzo Chigi, dove lo hanno raggiunto Alfano e gli altri ministri del Nuovo Centrodestra. Letta gli ha accolti con un abbraccio: «Avete fatto un buon lavoro».

Ma dopo aver ascoltato l'intervento del segretario del Pd il premier si è lasciato andare allo sfogo: «Fino all'ultimo i mediatori mi hanno assicurato che Renzi avrebbe dato il via libera al rimpasto e che avrebbe mandato i suoi uomini al governo come chiedevo io. Per questo sono rimasto fermo un mese e quando ho capito che era un tranello ormai era troppo tardi».

Con una punta di amarezza, perché a quel punto di quasi non ritorno il premier non ha potuto più reagire all'offensiva renziana lanciando rimpasto e patto di coalizione. Gli sarebbe rimasta solo l'arma dello scontro mediatico, «ma sono un presidente del Consiglio senza legittimazione popolare e per questo non ho potuto lanciarmi nella rissa politica».

Al culmine della delusione è arrivata la gradita telefonata di Filippo Andreatta, figlio di Beniamino, il padrino politico di Letta, uno degli amici che in questi giorni gli è stato più vicino. Poi, verso le sei del pomeriggio, la nota con l'annuncio delle dimissioni per oggi. E mentre i collaboratori mestamente già riempivano i classici scatoloni per sgomberare gli uffici di Palazzo Chigi, tutti quanti si sono riuniti nella stanza dei portavoce Gianmarco Trevisi e Monica Nardi dove insieme al premier e al sottosegretario Patroni Griffi c'è stato un brindisi d'addio al quale si sono aggiunti i pochi parlamentari dell'inner circle che nelle ultime settimane non si sono dileguati, come Meloni, De Micheli, Russo, Basso e Ginato.

Oggi Letta presiederà la riunione del Comitato sui Marò, poi il Cipe e alle 11.30 l'ultimo Consiglio dei ministri dove ringrazierà la squadra per il lavoro di questi dieci mesi. Alle 16 salirà al Colle per rassegnare le dimissioni nelle mani di Napolitano. In programma restano una serie di chiamate all'estero per congedarsi dai leader Ue. Ieri sera a ora di cena un ultimo Tweet: «Un grazie collettivo, ma non per questo meno sincero, per i tanti messaggi ricevuti in queste ore».

 

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