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Goffredo De Marchis per "La Repubblica"
I banchi vuoti del governo durante tutto il dibattito sulla decadenza sono la prova provata che, sì, l'esecutivo poteva essere tenuto al riparo dalle vicende giudiziarie del Cavaliere. «Ci prendevano per matti - ricordano con un sorriso a Palazzo Chigi - quando dicevamo che i problemi di Berlusconi potevano rimanere fuori dalla vita del governo, che non avrebbero inciso. à andata proprio così».
Letta apprezza anche la misura del dibattito in aula, l'assenza di festeggiamenti da parte del suo partito, il Pd. Considera quest'atteggiamento in sintonia con il suo lavoro e con la delicatezza del momento. Ed è anche il segno che il Paese può essere considerato già "oltre Berlusconi". Il premier ora si concentra sulla sua nuova maggioranza.
I 171 sì ottenuti nella notte di martedì con il voto di fiducia sulla legge di stabilità «sono un numero elevato», spiega in una conferenza stampa a Palazzo Chigi mentre al Senato si consuma l'ultimo atto della caduta. «Questo risultato molto significativo ci darà forza, coesione e prospettiva per tutto il 2014».
Abbastanza forza da mostrare immediatamente i muscoli ai 6 viceministri e sottosegretari di Forza Italia. Che Letta invita, senza fretta per carità , a dimettersi per tracciare una definitiva linea di chiarezza. I numeri «non sono risicati», sono quelli che aveva il governo Berlusconi nel 2008 e con i quali ha amministrato l'innesto l'Italia fino alla fine del 2011. In realtà , i lettiani si aspettano almeno altre 10-12 adesioni di parlamentari favorevoli alla Grande coalizione.
Sarebbe la prova generale di una blindatura dell'esecutivo, il viatico per affrontare al meglio le riforme istituzionali, di risorse per il lavoro e il semestre italiano di presidenza dell'Unione europea.
Se il presidente del Consiglio ricorda che questi consensi non li aveva «nemmeno il governo Berlusconi negli anni scorsi, tranne una volta nel 2008 con una fiducia di 173 voti», bisogna adesso calcolare il contraccolpo sugli scissionisti del Nuovo centrodestra, freschi di strappo dal decaduto senatore.
I 30 voti di Angelino Alfano (il subentrante a Berlusconi infatti si schiera con l'Ncd) sono determinanti a Palazzo Madama e hanno subito la necessità di farsi sentire. Il vicepremier infatti annuncia un'offensiva per «la riforma della giustizia entro un anno». à il cavallo di battaglia di vent'anni di berlusconismo, non è detto che adesso non possa fare breccia anche nelle file del Partito democratico. Ma sembra soprattutto tattica per mantenere le posizioni nel campo ridisegnato della destra.
Quello che invece il nuovo assetto dovrà evitare sono gli scossoni sulla squadra del governo. «Il tema del rimpasto al momento non si pone», dice. Si pone invece l'inevitabilità di una verifica della nuova maggioranza. A partire dai tormenti di Scelta civica, dalla nuova formazione delle colombe ex Pdl e dal passaggio temporalmente più lontano ma più importante per il futuro politico di Letta. «Vedrò i leader della maggioranza per fare il punto», annuncia il premier. «Dopo l'8 dicembre». Ossia dopo le primarie
del Pd, dopo la probabile vittoria di Matteo Renzi che si propone di "rivoluzionare" il centrosinistra.
à il patto con il sindaco di Firenze lo snodo principale dei prossimi giorni, i primi con il Cavaliere fuori dal Parlamento. Dice Letta che «le riforme istituzionali devono essere fatte cercando il consenso di tutto il Paese. Userò la forza che abbiamo oggi - aggiunge - per accelerare il percorso di riforme, il Paese ne ha bisogno».
Ma quali riforme? Quale legge elettorale? Se Renzi vuole dettare "l'agenda" partirà proprio dalla risposta a queste domande. Non è detto che coincideranno con le risposte di Letta e della sua maggioranza, ovvero con i desideri del Nuovo centrodestra. Quello che chiede Alfano è tempo, spazio per costruire un'alternativa al consenso popolare di Berlusconi e un assetto istituzionale che consenta alla sua forza politica di battersi nelle urne. Difficile che siano le stesse priorità di Renzi.
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