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Dal “Corriere di Bologna” - http://corrieredibologna.corriere.it/
Un bonus indebito, riconosciutole nonostante «inconsistenti risultati e fittizie competenze organizzative». La vicenda di Zoia Veronesi, storica segretaria di Pierluigi Bersani finita nella bufera qualche anno fa per il contratto da dirigente stipulato nel 2008 con la Regione ma assolta in abbreviato dall’accusa di truffa, torna di nuovo sotto i riflettori. La Procura regionale della Corte dei conti ha messo nel mirino i premi di risultato percepiti tra il 2008 e il 2010 e ritenuti indebiti dai magistrati contabili secondo cui le prestazioni svolte da Veronesi per conto della Regione sarebbero, nell’ipotesi dell’accusa, fumose e del tutto prive di qualsiasi apprezzabile possibilità di riscontro.
ZOIA VERONESI SEGRETARIA DI BERSANI
Il danno erariale contestato dai procuratori Attilio Beccia e Antonio Nenna sarebbe il risultato, secondo il rapporto della Guardia di finanza all’origine del procedimento, di «indebita corresponsione della retribuzione di risultato» a Veronesi dall’1 giugno 2008 al 28 marzo 2010, quando avrebbe svolto solo formalmente il proprio incarico nella sede della Regione a Roma, dove si sarebbe dovuta occupare, come dirigente «professional», del «raccordo con le Istituzioni centrali e il Parlamento» (incarico, scrivono i magistrati, creato ad hoc per darle la qualifica «professional »), mentre in realtà avrebbe continuato a fare da segretaria a Bersani. Per questo chiedono la condanna a un risarcimento per danno erariale di 37.251.
Non li chiedono solo a Veronesi, ma anche a Bruno Solaroli e Gaudenzio Garavini, all’epoca rispettivamente capo di gabinetto del presidente della Regione e dirigente regionale. I pm hanno ricostruito i provvedimenti adottati tra l’1 giugno 2008 e il 28 marzo 2010, data della dimissioni di Veronesi dal rapporto di servizio, cui seguì la soppressione d’ufficio della struttura speciale di cui «fu l’unica e sola conferitaria con la Regione Emilia- Romagna». Poi fu assunta dal Pd.
PIERLUIGI BERSANI ALLA FESTA DELL UNITA A MILANO
Atti ritenuti «affetti da vari profili di illegittimità». Comportamenti connotati da dolo, per l’accusa. In particolare al vaglio dei giudici ci sono il conferimento dell’incarico dirigenziale a Veronesi, formalizzato il 30 maggio 2008, la successiva delibera regionale e una serie di altri atti con cui Solaroli e Garavini «avrebbero positivamente valutato gli inconsistenti risultati e le fittizie competenze organizzative poste in essere» da Veronesi.
Secondo l’accusa in realtà il contributo offerto dalla Veronesi fu per lo meno fumoso e gli obiettivi fissati per il raggiungimento del bonus del tutto fragili se non inesistenti. Sul punto, la Procura della Corte dei Conti diverge dalla sentenza penale che fu di assoluzione piena per Solaroli e Veronesi dall’accusa di truffa per 140.737 euro, cioè l’intero stipendio che Veronesi ha incassato tra il 2008 e il 2010.
Per i pm contabili infatti non è condivisibile dire che sia conforme alla legge che la misurazione e la valutazione di Veronesi sia stata fatta oralmente, oppure al telefono, da Solaroli. Citando varia giurisprudenza, si sottolinea infatti «che emerge inequivocabilmente che gli obiettivi e gli indicatori devono essere previamente fissati al momento di conferimento dell’incarico dirigenziale e non possono essere negoziati oralmente, volta per volta, tra le parti»; inoltre, «forma scritta e motivazione degli atti sono requisiti indispensabili » per una corretta valutazione dei dirigenti pubblici. Nel caso specifico, il pieno raggiungimento dei risultati dirigenziali «non risulta comprovato da alcun rapporto scritto, né da alcun atto o provvedimento formalizzato da Veronesi ».
Una ricostruzione respinta dalle difese nell’atto di comparizione sotto diversi profili. La difesa di Veronesi ha sottolineato come la signora non possa rispondere per eventuali valutazioni errate di terzi, ma ha anche ribadito che l’assenza di rapporti scritti del lavoro effettuato a Roma «non sia indice di falsità delle valutazioni conseguite ». Per i difensori era prassi consolidata in Regione che per le valutazioni dei dirigenti non fosse richiesta una analisi scritta. I legali hanno poi naturalmente fatto leva su alcuni passaggi della sentenza di assoluzione («perché il fatto non sussiste»).
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