
DAGOREPORT - PIJAMOSE MILANO! E CHE CE' VO'! DALL’ALTO DELLE REGIONALI LOMBARDE DEL 2023, CON IL…
1. DA INSEDIAMENTI MENO 1% ESPORTAZIONI ISRAELE IN UE
Massimo Lomonaco per l'ANSA
Meno dell'1% del totale delle esportazioni da Israele verso l'Europa che nel 2014 sono state di circa 13 miliardi di euro. E' questo, secondo le stime più recenti, il dato su cui ricadranno le etichette volute dalla Ue per segnalare al consumatore i beni prodotti da aziende israeliane, dai pomodori al vino ad altro, nei Territori Occupati palestinesi. Una mossa che tuttavia rischia di avere pesanti ricadute occupazionali sulle circa 10.000 famiglie palestinesi che traggono reddito da quelle produzioni.
"Se la Ue vuole vedere la reale coesistenza - tuona Avi Roeh, presidente di Yesha l'organizzazione che raggruppa tutte le comunità israeliane in Giudea e Samaria (Cisgiordania) - venga a visitarci e gli sarà chiaro che stanno etichettando le persone sbagliate". "Attività come queste nelle quali arabi ed ebrei lavorano insieme - insiste - dovrebbero essere come monete d'oro per la pace e non boicottate".
L'agricoltura è una sorta di fiore all'occhiello della produzione degli "insediamenti illegali" ebraici - come vengono definiti dalla Comunità internazionale - ma non c'e' solo verdura, frutta, olio ed altro. A Barkan - insediamento fondato nel 1981 nella Cisgiordania centrale a circa 25 chilometri da Tel Aviv - oltre a produrre uno dei migliori vini del paese, esportato ovunque - sorge una zona industriale di 160 stabilimenti che impiegano 7100 persone, metà israeliani e metà palestinesi. Un polo di avanguardia in molti settori. Tra questi l'azienda Lipski che produce plastica, che esporta molto in Europa e che è stata una delle strutture nella quale il viceministro degli esteri Tzipi Hotovely ha invitato i giornalisti stranieri alla vigilia della decisione della Ue.
soda stream prodotta nei territori occupati
"Un simbolo di coesistenza", ha detto Hotovely sottolineando che il 60% dei dipendenti sono palestinesi ed hanno posizioni di responsabilità e di direzione. "Qui - ha aggiunto - c'e' un Medio Oriente tranquillo, di speranze, di pace e di cooperazione economica". Fatto sta che la decisione della Ue, a giudizio di Israele, non potrà non avere ricadute nonostante l'esiguità del totale delle esportazioni in Europa dei prodotti che provengono dagli insediamenti. E già a Barkan, dopo le decisioni di Bruxelles, c'è chi pensa che sarà inevitabile ridurre il lavoro lasciando a casa sia israeliani sia palestinesi.
Tra le aziende di Barkan c'è anche 'Hummus Shamir' che esporta il 6% della sua produzione in Europa. Finora - come ha raccontato il suo direttore Ami Guy - sui beni c'era scritto 'Made in Israel' mentre in futuro la dicitura dovrà essere 'Made in West Bank, in Israeli settlement'. Tra i suoi dipendenti ci sono 110 palestinesi e, se le vendite caleranno, teme di essere costretto a licenziare.
roma manifesti boicotta israele 2
A sud di Barkan, in direzione di Ramallah, sempre in Cisgiordania, c'è la 'Psagot Winery': "noi - ha detto alla Radio militare Yaacov Berg - esportiamo il 70% dei nostri prodotti e il 25% va in Europa. L'etichettatura ci arrechera' danno: un pò come succede per le sigarette, chi la applica vuole dissuadere". Ma Berg non pensa di mollare, anzi. "Dobbiamo e possiamo reagire. Dobbiamo creare una rete di smercio per i sostenitori di Israele che vogliono identificarsi con noi. Dare loro la possibililità di acquistare proprio i nostri prodotti". "E sono sicuro - ha concluso - che se riusciremo a farlo entro un anno le nostre vendite cresceranno del 30%".
2. SE IL BOLLINO VALE SOLO PER ISRAELE
Mattia Feltri per “la Stampa”
Ci sono pompelmi che vengono da Israele e pompelmi che vengono dalle colonie. Per noi sarà facile distinguere perché, per decisione dell' Unione europea, i pompelmi della seconda specie saranno di conseguenza etichettati. Chi intendesse danneggiare economicamente le imprese dei territori occupati avrà dunque buon gioco, anche se è difficile immaginare quale sarà la portata di un eventuale boicottaggio, spesso sollecitato dai nemici delle politiche sioniste su tutti i prodotti israeliani.
Semmai, come è stato segnalato, fa un pochino impressione che il bollino di democratica qualità venga applicato proprio alla vigilia del viaggio europeo di Hassan Rohani, presidente iraniano che sarà domani a Roma.
monaci tibetani soldati cinesi
Duemila esecuzioni di pena di morte dall' inizio dell' anno non ci impediscono di acquistare caviale iraniano nelle migliori gastronomie, se abbiamo i soldi, o i più economici pistacchi, esposti su tutti gli scaffali di supermercato. I rapporti economici dell' Occidente con Teheran sono fitti, a prescindere dai diritti umani: come ha scritto il «Wall Street Journal», il controllo e le restrizioni su Internet vengono bene grazie alla collaborazione della tedesca Siemens e della finlandese Nokia.
L' Italia, poi, importa dall' Iran il petrolio e in fatto di energie
ci tocca o ci è toccato di comprarne dalle più attive dittature: dalla Libia di Gheddafi, dall' Arabia Saudita dove, per i pochi che non lo sapessero, le donne vengono lapidate con pietre di dimensioni stabilite per legge, che non siano così piccole da fare poco male né così grosse da chiudere la pratica troppo rapidamente. E del resto non si è mai sentito uno smettere di essere tifoso del Milan perché è sponsorizzato dalla Fly Emirates: lì gli impulsi di giustizia s' annacquano.
La contesa sui territori occupati da Israele dopo la guerra subita e vinta nel 1967 rimane per gli europei questione più stringente.
Ogni santa volta che dall' Italia parte una delegazione diretta in Cina si aprono dibatti infiniti e infinitamente sterili su quanto sia eticamente tollerabile concludere affari con un regime liberticida. E non è il caso di elencare, nemmeno sommariamente, gli abiti, i giocattoli, le chincaglierie, i milioni di oggetti Made in China entrati nella nostra economia e nella nostra vita quotidiana.
Eppure parlare di rapporti fra nazioni, fra democrazie e dittature, di questioni che corrono lungo i confini vale poco o niente in un mondo in cui la certificazione di provenienza dei prodotti indica soltanto l' ultimo di numerosi passaggi, di Paese in Paese, o di continente in continente. E piuttosto, ogni tanto, salta fuori la scandalosa notizia di multinazionali che sfruttano i bambini o devastano l' ambiente e dopo un giro di reportage e di commenti la cosa finisce lì.
roma manifesti boicotta israele 5
Non esiste nemmeno un sito o un elenco ufficiale (se c' è, è ben occultato) di multinazionali irrispettose delle più immediate regole di umana convivenza: esistono siti credibili (ma non affidabilissimi) in cui i marchi più familiari, di cui abbiamo la memoria e le dispense piene, sono accusati di sottopagare operai per orari impossibili, di reprimere i diritti sindacali, di sostenere regimi tirannici, di appoggiarsi a paradisi fiscali. Il problema è: come si combattono dittatori e multinazionali? Un po' più difficilmente che i pompelmi del Golan.
3. QUEL MARCHIO EUROPEO CHE OFFENDE ISRAELE
Pierluigi Battista per il "Corriere della Sera"
L’Unione Europea tace sulle dittature. Non dice una parola, da sempre, sui regimi tirannici con cui intrecciare soddisfacenti rapporti economici. Plaude alle mediazioni, ma mica per spirito di pace, solo per convenienza. Figurarsi se l’Unione Europea, politicamente una nullità nelle grandi questioni che insanguinano il mondo, emette un solo fiato di indignazione, per dire, sui rapporti con la Cina che occupa il Tibet e manda in galera i dissidenti. O sull’Arabia Saudita, con cui si stabiliscono buoni rapporti mentre ancora si pratica la lapidazione delle adultere e si legalizza lo stupro delle bambine che vengono costrette a sposarsi, vendute dalle famiglie. Silenzio assoluto, omertà, come sempre.
Poi, quando compare la parola «Israele», l’Unione Europea si risveglia dal suo torpore e decide di marchiare i prodotti dello Stato ebraico sfornati dalle officine e dai capannoni dei territori sotto controllo dell’Autorità nazionale palestinese. Qui l’Europa, dimentica del passato atroce in cui i negozi degli ebrei venivano perseguitati e le merci degli ebrei confiscate o boicottate, decide di dare una mano alla campagna che i regimi autoritari del Medio Oriente imbastiscono contro l’unica democrazia di quell’area, cioè lo Stato di Israele.
Il fatto che esistano fabbriche israeliane situate (anche) in Cisgiordania dove operano lavoratori palestinesi liberamente assunti e con contratti regolari di lavoro non dovrebbe essere uno scandalo nel mondo globalizzato. Non c’è nessuna ragione economica per «marchiare» dei prodotti.
MILITARI RUSSI PRENDONO IL CONTROLLO DELLA CRIMEA
C’è solo una ragione politica: il boicottaggio sistematico di Israele, delle merci israeliane, degli studiosi israeliani (da parte delle Università europee). Esistono nel mondo un’infinità di territori contesi. Ma esiste solo un caso in cui le istituzioni del mondo diventano fiscali: quando c’è di mezzo Israele. È il solito trattamento speciale. La solita tentazione del boicottaggio. La decisione europea scredita l’idea di Europa. Una decisione sconcertante. Sarebbe saggio ritirarla.
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