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L'intervento di 13 minuti all'Assemblea generale delle Nazioni Unite, in cui ha ribadito il sostegno dell'Italia all'Ucraina e il dovere della comunità internazionale a "non voltarsi dall'altra parte", poi la cena con lo staff e subito in volo verso Roma.
La premier Giorgia Meloni anticipa il rientro, come reso noto domenica, 'sforbiciando' la missione Unga a New York di un giorno, dal 25 settembre -come da programma- al 24. E così non sarà presente al vertice sull'Ucraina organizzato da Joe Biden per la giornata di mercoledì, presente Volodymyr Zelensky. O meglio ci sarà, ma collegata da Roma.
E salterà, ancora una volta, il tradizionale ricevimento al Metropolitan Museum offerto dal Presidente degli States ai partecipanti all'Assemblea generale delle Nazioni Unite: lo scorso anno lo mancò per trascorrere la serata con la figlia Ginevra, una scelta che venne travolta dalle polemiche. E stavolta c'è il rischio possa bissare, sollevando oltretutto sospetti su un possibile cambio di direzione nel sostegno a Kiev. Che lei -al suo arrivo a Palazzo di Vetro immortalata dai fotografi insieme a Zelensky, a cui ha ribadito "il convinto sostegno dell'Italia"- smentisce con forza.
In un punto stampa nel quartier generale delle Nazioni Unite, Meloni risponde con fermezza a chi le domanda se dietro l'assenza al vertice di sostegno a Kiev ci sia un cambio di linea dell'Italia: "No, poi io capisco che si cerchi di sostenere tesi anche contro l'evidenza. L'incontro sull'Ucraina è stato spostato su richiesta in particolare degli Stati Uniti a domani, parteciperemo lo stesso e, al di là del tentativo di dimostrare cose che non sono dimostrabili, la posizione italiana non cambia e non sta cambiando, come dimostra l'incontro di questa mattina con Zelensky".
Dunque la stoccata ai cronisti. "Penso che non sia neanche così utile per la nazione, che ha il pregio che tutti riconoscono al mondo della chiarezza e determinazione nel sostenere l'Ucraina, cercare di raccontare un'altra storia. Non dico per il governo, ma per l'Italia che per una volta è considerata seria, affidabile, e che non cambia posizione come cambia il vento".
MELONI D'AMERICA
Estratto dell'articolo di Ilario Lombardo per www.lastampa.it
«Follow the money – suggerisce Giorgia Meloni - Una intuizione di due grandi giudici italiani, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, che è diventata un modello, anche a livello internazionale, per contrastare le organizzazioni criminali». Nell’anno due del governo Meloni, la premier torna davanti all’Assemblea generale delle Nazioni Unite per tirare anche un po’ un bilancio di quanto fatto nell’anno della presidenza italiana del G7.
In mezzo a molti concetti espressi già al suo debutto all’Onu nel 2023, cita il metodo investigativo ideato dai due giudici ammazzati dalla mafia che la premier suggerisce di adottare contro gli scafisti.
Un anno fa davanti al tempio sacro della diplomazia del Palazzo di Vetro, sfregiato da nuove guerre nel cuore dell’Europa e in Medio Oriente, Meloni propose «di dichiarare una guerra globale ai trafficanti di esseri umani». Oggi si dice felice che «quell’appello non sia caduto nel vuoto, e che in primis a livello G7 si sia trovata l’intesa per dare vita ad un coordinamento internazionale per smantellare queste reti criminali». Ma non basta: «Le Nazioni Unite devono fare di più, perché queste organizzazioni criminali sono schiavisti del Terzo Millennio».
Meloni rivendica l’avvio del Piano Mattei. I progetti di cooperazione dell’Italia con i Paesi africani. Ricorda i piani già avviati in Algeria, Etiopia, Kenya. L’economia e lo sviluppo economico e sociale come motore per contrastare l’immigrazione illegale, con un obiettivo: di garantire «a decine di migliaia di persone che affrontano viaggi disperati per entrare illegalmente in Europa il loro diritto a non dover emigrare».
Di fronte ai delegati delle Nazioni Unite la premier non ostenta l’orgoglio sovranista come aveva fatto la sera prima nel discorso all’Atlantic Council. C’è la volontà di dare uno sguardo largo sulle grandi sfide del mondo. Sull’immigrazione, la ricetta che propone è ispirata a Falcone e Borsellino, e prevede una maggiore convergenza tra polizia, servizi di intelligence e autorità giudiziarie di diversi Paesi.
«È un metodo con il quale l’Italia intende rafforzare la sua cooperazione anche con le nazioni dell’America Latina». Perché «c’è un filo rosso che lega le organizzazioni che speculano sulla tratta di esseri umani in Africa e chi gestisce il traffico di stupefacenti in Sudamerica».
Guerra in Ucraina, la polveriera israelo-plestinese e il Venezuela sono i tre capitoli della «frammentazione geo-politica» che Meloni analizza nel suo discorso. Sul regime di Maduro: «È nostro dovere alzare la voce. La comunità internazionale non può rimanere a guardare mentre, a distanza di quasi due mesi dalle elezioni del 28 luglio scorso, ancora non è stato riconosciuto il risultato elettorale, ma nel frattempo si è consumata una brutale repressione».
La premier ribadisce la necessità per l’Occidente della difesa dell’Ucraina dall’aggressione russa, e di un mutuo riconoscimento tra Israele e popolo palestinese, che Meloni, come gli altri partner internazionali, considera l’unica strada per poter far tacere le armi.
La ferita inferta da Mosca al sistema internazionale fondato sulle regole è stato un detonatore che ha posto «i sistemi politici democratici» di fronte a «insidie inedite». La risposta della diplomazia fatica ad affermarsi di fronte ai massacri ordinati da Vladimir Putin. Ma non sarà sempre così. Nel 2025, ricorda Meloni, cadranno gli ottanta anni della Carta delle Nazioni Unite. «Carta che sancisce principi e valori che in questo tempo sono stati messi in discussione addirittura da un membro permanente del Consiglio di sicurezza».
La guerra scatenata dalla Russia impone di ragionare sul futuro delle Nazioni Unite e sulla nuova governance che gli Stati Uniti propongono di allargare. Ma con una formula che, come già sostenuto ampiamente da Meloni nei quattro giorni di missione a New York, non piace al governo italiano: «Sarebbe un errore creare nuove gerarchie, con nuovi seggi permanenti – ribadisce la premier - Siamo aperti a discutere la riforma senza alcun pregiudizio, ma vogliamo una riforma che serva a rappresentare meglio tutti, non a rappresentare meglio alcuni».
Tra i tanti temi sfiorati nel discorso, Meloni ritorna ancora una volta sull’Intelligenza Artificiale. La sfida del secolo, il motore della futura rivoluzione industriale. Il business che si muove dietro l’innovazione è enorme. E basta vedere che ben prima dei colloqui con altri capi di Stato e di governo, Meloni ha avuto colloqui con i vertici di Open AI, Google, Motorola. Per non parlare di Musk, l’inventore di Tesla e padrone di X, il supermiliardario diventato sostenitore di Donald Trump e fan di Meloni. La premier non intravede le possibilità di investimento in Italia ma è attenta a ribadire i pericoli che si nascondono dietro la mancanza di una regolazione sull’AI.
I toni questa volta assumono una venatura più pessimista, però. «Non sono certa che sia corretto chiamarla intelligenza. Perché intelligente è chi fa le domande, non chi dà le risposte processando i dati». [...]
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