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Paolo Lepri per il "Corriere della Sera"
C'è qualcosa di più, a Berlino, della forte preoccupazione per il futuro dell'Italia e per il ritorno in scena di un uomo politico le cui responsabilità sono sempre apparse chiare e che si è voluto caratterizzare, in questi ultimi mesi, come un avversario della Germania e dell'«Europa tedesca».
E questo sentimento unisce, senza distinzione di schieramento, la classe dirigente e gli opinion-maker. Il «valore aggiunto negativo», in questa fase, è costituito dalla mancanza di una prospettiva chiara sugli sviluppi della situazione in un Paese chiave per la tenuta del quadro europeo. Le soluzioni non sono a portata di mano.
In cancelleria non appare semplice ragionare sul possibile sbocco post-elettorale del terremoto provocato dallo strappo berlusconiano e dalla decisione del presidente del Consiglio di dimettersi una volta approvata la legge di Stabilità . Una ricandidatura di Monti? Angela Merkel non può puntare su uno scenario che, se avverrà , è ancora lontano da maturare.
E, a parte gli uomini dell'attuale governo, in Italia non esistono o quasi interlocutori con cui confrontarsi sulle strategie migliori o ai quali rivolgere qualche consiglio dietro le quinte. La scelta di staccare la spina ai tecnici guidati da Monti può spazzare via quel poco dialogo che era rimasto tra i cristiano-democratici e il centrodestra italiano. Da un certo punto di vista è più semplice la posizione dell'opposizione socialdemocratica, che auspica (è questa l'opinione del candidato cancelliere Peer Steinbrück) un esecutivo Bersani che non chiuda con l'esperienza di quest'ultimo anno.
Anche se Angela Merkel volesse, non c'è in Italia un Sarkozy di cui si possa appoggiare la riconferma. La situazione è troppo diversa e molto più complicata. Si è anche capito, poi, che interferire nella politica interna di un altro Paese è spesso controproducente. Il caso francese lo ha dimostrato chiaramente, e anche nella situazione italiana sono molti i rischi di interventi troppo espliciti.
Il fronte berlusconiano potrebbe sfruttare il conflitto con la Germania come arma propagandistica nella campagna elettorale ispirata a toni antieuropei che sta preparando. E, come scrivono acutamente Carsten Volkery e Philipp Wittrock su Der Spiegel, c'è anche il pericolo che parole d'ordine anti-austerità provenienti da Roma possano risvegliare quella parte del mondo politico tedesco che si scagliava contro il lassismo dei Paesi mediterranei. Populisti contro populisti.
Si spiega in questo modo la prudenza con cui da parte tedesca si evita e si eviterà di intervenire direttamente sul problema Berlusconi, come era accaduto invece nel recente passato. Se le parole hanno un peso, non è però un caso che ieri siano scesi in campo due uomini di governo del calibro di Wolfgang Schäuble e di Guido Westerwelle.
Il ministro delle Finanze è stato più prevedibile («ci aspettiamo che l'Italia continui a rispettare pienamente gli obblighi europei concordati e continui sul cammino di riforme intrapreso»), mentre il suo collega degli Esteri ha messo bene in chiaro che «l'Italia non deve rimanere a due terzi del percorso, perché questo porterebbe non solo all'Italia ma anche all'Europa nuove turbolenze». Il verbo usato è «dovere». Non ci sono altre opzioni.
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