DAGOREPORT - ED ORA, CHE È STATO “ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE”, CHE SUCCEDE? SALVINI…
Francesco Guerrera per "La Stampa"
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È il paradosso di Big Tech: più i giganti di Silicon Valley hanno successo, più entrano nel mirino di politici, autorità di settore e rivali. I risultati finanziari per il primo trimestre, annunciati un paio di settimane fa, hanno confermato in maniera lampante la stazza di Facebook, Apple e compagnia, aizzando i loro nemici.
Nemmeno il calo delle azioni delle grandi della tecnologica negli ultimi giorni, dovuta alla paura di un ritorno di fiamma dell'inflazione, sembra aver placato i critici di Big Tech.
Ormai è solo questione di tempo prima che una delle Faamg (Facebook, Apple, Amazon, Microsoft e Google) venga colpita da un'altra multa, un atto normativo o nuove misure di regolamentazione volte a limitarne lo strapotere economico. «Strapotere» è la parola giusta.
La performance dei primi tre mesi dell'anno non lascia dubbi su chi abbia vinto la sfida economica lanciata dalla pandemia. Anche dopo il recente calo, le cinque sorelle della tecnologia contribuiscono quasi un quarto dell'intero S&P 500, l'indice-guida della borsa Usa - il doppio di cinque anni fa.
L'adorazione di Wall Street è giustificata. Silicon Valley è ormai inesorabilmente integrata nell'esistenza di noi tutti. Più di tre miliardi di persone hanno utilizzato Instagram, WhatsApp o Facebook (tutte di proprietà di quest'ultima) almeno una volta nel mese scorso.
Le vendite di iPhone hanno raggiunto 47 miliardi di dollari nell'ultimo trimestre, con un incredibile prezzo medio di 847 dollari, mentre Amazon, il supermercato dell'internet, ora guadagna quasi un milione di dollari al minuto vendendo e spedendo merci a consumatori di mezzo mondo.
Ma, come diceva l'Uomo Ragno «da un grande potere derivano grandi responsabilità». Due giorni dopo i risultati-record di Apple, la Commissione Europea ha lanciato un durissimo attacco contro la società californiana, accusandola di «abusare» della propria «posizione dominante» nell'Apple Store per restringere la concorrenza.
Negli Usa il coro dei politici che vogliono «fare qualcosa» per ridurre l'influenza delle Faamg sta diventando sempre più forte. Sia al governo, dove l'amministrazione Biden e il Congresso democratico si preoccupano di infrazioni della privacy, oligopolio sul mercato della pubblicità e del futuro dei media tradizionali, che all'opposizione, dove i repubblicani vogliono imbrigliare un gruppo di società e imprenditori che considerano troppo di sinistra.
Fino ad ora la risposta di Silicon Valley è oscillata tra sorpresa e indifferenza. La prima proviene dalla tradizione radicale e «contro» l'industria tecnologica americana. Il patron di Facebook Mark Zuckerberg, il capo di Apple Tim Cook e gli altri titani di Big Tech non accettano l'idea che aziende create per promuovere progresso, cambiamento e «disruption» - la rivoluzione dello status quo - possano essere considerate nemiche del bene pubblico.
L'indifferenza viene invece dagli utili principeschi di queste società. I 10 miliardi di dollari che Google ha dovuto pagare all'Ue negli ultimi tre anni sarebbero una cifra enorme per moltissime aziende, non per una che ha accumulato un fatturato di 55 miliardi di dollari negli ultimi tre mesi.
Il problema per Silicon Valley è che sorpresa, indifferenza e successi finanziari non fanno che aumentare l'odio dei loro nemici, portando ad un escalation nelle misure punitive.
Visto che le multe non fanno male, certi membri del Congresso Usa stanno già pensando a rimedi strutturali quali la vendita forzata di YouTube da parte di Google, o di Instagram da parte di Facebook.
In Europa, Margrethe Vestager, la tostissima commissaria alla concorrenza, spingerà per cambiamenti radicali nel funzionamento dell'Apple Store che ridurranno i profitti della società di Cupertino.
Come rispondere? La storia antica (la rottura del monopolio del petrolio negli USA nel 1911) e recente (le battaglie di Bruxelles con Microsoft) insegnano che indignazione, soldi e lobbisti non bastano. Quando i regolatori hanno identificato un settore o una società come il "nemico" non lasciano facilmente la preda, anche quando hanno torto.
Vista la colossale posizione di forza di Big Tech, fare delle concessioni "volontarie" a rivali, politici e società civile non dovrebbe costare molto e potrebbe scoraggiare azioni più dure in futuro.
L'Apple Store potrebbe essere un buon inizio: è veramente necessario prendersi il 15-30% di tutte le vendite fatte sul telefonino e non permettere a chi crea le app di comunicare all'utente che possono essere comprate altrove? Pensaci, Tim, perché altrimenti ti ci farà pensare Margrethe.
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