MIGLIORISTI O “PIGLIORISTI”? – POMICINO RIACCENDE IL RACCONTO DELLE PRESUNTE TANGENTI ALLA CORRENTE DI NAPOLITANO TRAMITE UMBERTO RANIERI

Vai all'articolo precedente Vai all'articolo precedente
guarda la fotogallery

Gianni Barbacetto per il "Fatto quotidiano"

Le polemiche su Mani Pulite non sono mai pura accademia sul passato, continuano a essere usate per incidere sul presente: anche la nuova "bomba" lanciata sul capo dello Stato da Paolo Cirino Pomicino, ex protagonista della Prima Repubblica. "Antonio Di Pietro mi chiese: ‘È vero che Giorgio Napolitano ha ricevuto soldi da lei?'. Io risposi che non era vero, ma lui insisteva: ‘Guardi che c'è un testimone, un suo amico, che lo ha confessato'.

Se l'ha detto, ha detto una sciocchezza, perché non è vero, risposi io. E infatti la confessione era finta, me lo rivelò lo stesso Di Pietro poco dopo: un tranello per farmi dire che Napolitano aveva preso una tangente. Ma si può gestire la giustizia con questi metodi?".

Questa la "bomba" sganciata da Pomicino e raccolta da Paolo Bracalini sul Giornale di ieri, in risposta all'intervista di Di Pietro ad Aldo Cazzullo del Corriere sulla tragica fine di Raul Gardini. I magistrati di Milano volevano dunque incastrare con un trucco Napolitano, allora massimo esponente dell'ala migliorista del Pci e oggi attivissimo e intoccabile presidente della Repubblica.

L'ex ministro questa bomba la sgancia oggi, vent'anni dopo i fatti, in un momento delicatissimo: quello in cui Silvio Berlusconi, indagato e condannato dai magistrati di Milano, aspetta di conoscere il suo destino definitivo che sarà deciso da magistrati di Roma, quelli della Cassazione, che il 30 luglio potrebbero decretare la sua uscita dal Parlamento.

È la solita storiografia revisionista su Mani Pulite, o il tentativo inedito di mettere in mezzo Napolitano come estremo garante dell'agibilità politica di Silvio? Se fosse vera la seconda, dovrà certo fare i conti con le difficoltà di stabilire un contatto "operativo" tra gli eventuali desideri del capo dello Stato e le prossime decisioni delle toghe di Cassazione. Comunque sia, vale la pena di raccontare i fatti come si sono svolti davvero.

Bisogna innanzitutto ricordare che Pomicino è un vero esperto della maxi-tangente Enimont pagata a tutti i partiti da Raul Gardini. Oggi dice: "Quella cosiddetta maxi-tangente era invece, come diceva Craxi, una maxi-balla". Eppure proprio Pomicino è il destinatario di una sua fetta consistente: ben 5 miliardi e mezzo di lire, la più grossa delle mazzette incassate da un singolo politico, non segretario di partito, tra tutte quelle scoperte da Mani Pulite.

Quanto al trucco di Di Pietro (fare il tipico "saltafosso", dicendo di sapere già una cosa, per farsela confessare) è una delle tecniche più classiche usate dagli investigatori di tutto il mondo. Ma attenzione: questa volta non si tratta di un "saltafosso". Di Pietro, alla presenza di un altro pm di Mani Pulite, Francesco Greco, il 20 dicembre 1993 contesta a Pomicino dichiarazioni precise rese due giorni prima, nel carcere di Poggioreale di Napoli, da un suo grande amico, Vincenzo Maria Greco, il costruttore ritenuto il regista del sistema delle tangenti per la ricostruzione del dopo-terremoto.

"Pomicino ebbe a dirmi che aveva preso l'impegno con il capogruppo alla Camera del Pci dell'epoca, onorevole Giorgio Napolitano, di permettere un ritorno economico al Pci", dichiara il costruttore. "Mi spiego: il segretario provinciale del Pci dell'epoca era il dottor Umberto Ranieri, attuale deputato e membro della segreteria nazionale del Pds. Costui era il riferimento a Napoli dell'onorevole Napolitano. Pomicino mi disse che già riceveva somme di denaro dalla società Metronapoli (...) e che si era impegnato con l'onorevole Napolitano a far pervenire una parte di queste somme da lui ricevute in favore del dottor Ranieri".

Pomicino smentisce (almeno in parte) il suo amico costruttore, negando di aver versato soldi di persona a Ranieri e sostenendo di aver saputo del denaro dato al Pci dall'ingegner Italo Della Morte, della società Metronapoli, che non può confermare perché è ormai deceduto: "Mi disse che versava contributi anche al Pci. Tutto ciò", mette a verbale Pomicino, "venne da me messo in rapporto con quanto accaduto durante l'approvazione della legge finanziaria.

Fu proprio il gruppo comunista a sollecitare in commissione l'inserimento di uno stanziamento di cospicue somme a favore della metropolitana di Napoli... Il gruppo comunista capitanato da Napolitano ebbe a votare l'approvazione di tale articolo di legge, pur votando contro l'intera legge finanziaria".

Nessun "saltafosso", dunque, e nessuna marcia indietro di Di Pietro. È Pomicino che conferma, ma solo a metà, le dichiarazioni dell'amico e lascia sospesa la domanda su Napolitano, doverosa e obbligatoria dopo le dichiarazioni di Vincenzo Maria Greco.

Gli atti sulla vicenda vengono mandati alla procura di Napoli, che apre un fascicolo e iscrive nel registro degli indagati Napolitano, diventato nel frattempo presidente della Camera: è un atto dovuto, che i magistrati napoletani compiono con grande cautela, secretando il nome e chiudendo gli atti in cassaforte. Poi però l'indagine si arena: restata senza conferme, deve essere archiviata.

Comunque sia, le nuove dichiarazioni di Pomicino, al di là di altre eventuali intenzioni, finiscono involontariamente per smontare una delle più grandi balle su Mani Pulite dette e ripetute per vent'anni, e cioè che i magistrati di Milano volevano colpire Dc e Psi, salvando il Pci. Ma come: Di Pietro e gli altri (dopo aver messo sotto indagine tutto il Pci di Milano) fanno domande precise anche su un leader nazionale come Napolitano. È una delle "zanzate" da sbirro di Di Pietro, secondo la memoria labile di Pomicino. È invece un doveroso riscontro alle dichiarazioni di un indagato, secondo i verbali: e "carta canta".

 

Paolo Cirino Pomicino GIORGIO NAPOLITANO lbrtrntn38 umberto ranieriANTONIO DI PIETRO bettino craxi gardini raul