IL NEGRO CON IL PICCONE ALL’ESAME DEGLI PSICHIATRI - LA FOLLA CONTESTA BORGHEZIO E IL SUO BANCHETTO ANTI-IMMIGRATI

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1 - BORGHEZIO CONTESTATO
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2 - "BASTA SPECULARE SULLE TRAGEDIE" LA FOLLA CONTESTA LA LEGA NORD
Pa.Col. per "la Stampa"

Don Angelo prende la parola per l'omelia e non vola una mosca nella chiesa di piazza Belloveso, dove tutta Niguarda si è radunata per cercare conforto e una spiegazione a un gesto di follia che spiegazioni non ha. «Gesù non dice andate sulla terra a giudicare, ma predicate la misericordia di Dio».

E ce ne vuole di misericordia per accettare che un giovane sbandato di 31 anni, per giunta clandestino, abbia imbracciato un piccone e per un'ora e mezzo abbia dato la caccia, uccidendo e ferendo, alla gente del quartiere.

Ma don Angelo conosce il senso della sofferenza e sa toccare le corde migliori: «I segni della croce parlano della nostra condizione umana, segnata da fragilità e ci aiutano ad elaborare quanto vissuto dalla nostra comunità in modo drammatico. Il Signore si è preso il nostro fratello Alessandro e noi abbiamo il bisogno di chiedere a Dio di comprendere e riflettere nel modo giusto. Non sappiamo chi è quell'uomo disperato, forse malato, ma talmente in solitudine da avere innestato sulle sue fragilità questa follia. Non ci serve puntare il dito da giudici spietati anche se ieri abbiamo avuto tutti la percezione della presenza del male. La rabbia è un sentimento umano ma noi dobbiamo metabolizzarla senza puntare il dito su un'intera comunità. Scegliamo la preghiera perché rabbia e ira non entrino nei nostri cuori».

Ma fuori dalla Chiesa, mentre si spegne l'eco dell'omelia si alza la voce della polemica: c'è già chi ha deciso responsabilità e colpe, delitti e castighi, e non esita a puntare il dito per coltivare esattamente ciò che don Angelo depreca: rabbia e ira.

E' l'europarlamentare Giovanni Borghezio, che alle dieci e mezzo del mattino compare con un banchetto della Lega nord proprio davanti alla parrocchia per accusare del massacro di Kabobo il ghanese, il presidente della Camera Laura Boldrini e il ministro per l'integrazione Kyenge. Ci sono consiglieri provinciali e l'ex presidente del Consiglio regionale Davide Boni. Lo striscione è eloquente: «La cittadinanza agli immigrati porta all'invasione del Paese».

L'intenzione sarebbe quella di raccogliere firme contro l'ipotesi di facilitare la cittadinanza agli immigrati. Ma il banchetto della Lega e tantomeno Borghezio non ottengono l'effetto desiderato. Perché Niguarda non gradisce chi specula sulle tragedie. Così partono le contestazioni da diversi cittadini: «Vai a casa Borghezio, non ti vogliamo».

«Farabutto, ridacci indietro i soldi che avete rubato, la barca e i diamanti. Se due giorni fa avessi incontrato il ragazzo che ieri è stato ucciso gli avresti sputato addosso». Ovviamente l'europarlamentare risponde per le rime. «Siete peggio dei clandestini, voi siete la causa di tutto ciò, vergogna!».

Poi trascende e tocca alla polizia intervenire per calmare gli animi. All'esponente leghista non rimane che risalire in macchina e andarsene. Mentre ai tavolini del bar dove l'altro mattina Alessandro Carolè è stato ucciso a colpi di piccone, la gente torna a sedersi per un caffè e commentare. Qualcuno deposita sull'erba un piccolo mazzo di rose e un biglietto: «Caro Alessandro, eri una persona tranquilla che stava per i fatti suoi... Se quel pazzoide fosse stato mandato al suo paese, come doveva... Ciao amico. Una conoscente».

2 - L'UOMO CON IL PICCONE ALL'ESAME DEGLI PSICHIATRI
Pa.Col. per "la Stampa"

La notte di Mada Kabobo è stata breve e spaventosa, prima che decidesse di armarsi di una spranga e poi di un piccone per il suo raid di follia nel quartiere Niguarda. Ore passate da solo al buio, con gli occhi sbarrati dalla paura, per ripararsi da un violento temporale in una baracca del Parco Nord, due assi in croce, un tetto di lamiera e un puzzo insopportabile tutt'intorno.

E' stato questo l'ultimo rifugio conosciuto del ghanese che ha seminato morte e terrore nel quartiere che gira intorno a piazza Belloveso. Il rifugio, provvisorio e meta anche di altri sbandati, lo hanno individuato i carabinieri organizzando sabato una battuta in grande stile, come se dovessero cercare un sequestrato.

Ripercorrendo a ritroso la strada fatta da questo 31enne impazzito, sono arrivati nel grande parco che segna i confini della periferia nord della città. Lui non ha raccontato nulla, chiuso nel mutismo assoluto da quando, alle 6,37 di sabato mattina, è stato fermato da una pattuglia dopo che aveva infierito sulla sua ultima vittima, Daniele Carella, 20 anni, che ancora lotta tra la vita e la morte.

«Ho fame», ha detto soltanto nel suo inglese stentato agli investigatori che lo interrogavano, poi ha chiuso gli occhi entrando in uno stato catatonico, mentre intorno i carabinieri cercavano di risolvere il suo mistero.

La sua presenza a Milano viene segnalata la prima volta a metà marzo scorso, quando viene fermato e identificato per un controllo che lo qualifica come immigrato in attesa di un verdetto per la richiesta di asilo politico.

Dunque, secondo la legge, impossibile da espellere, anche se il tribunale di Lecce ha già respinto la sua prima domanda e lui ha fatto ricorso.

Mada Kabobo, un metro e 78 di altezza, fisico asciutto, ventre appiattito dalla fame, adesso è un fantasma che ciondola silenzioso in una cella d'isolamento a San Vittore, controllato a vista e già sottoposto alle prime visite psichiatriche. Oggi o domani dovrebbe essere interrogato dal gip per la convalida dell'arresto. Sconosciuto alle persone della sua stessa comunità, agli sbandati clandestini che come lui si muovono attraverso l'Italia vivendo di stenti, Kabobo, appare come un solitario che la sofferenza psichica ha reso indifferente al mondo.

Nella baracca del Parco Nord i militari hanno trovato qualche vestito e nulla più. Alla sua identificazione sono arrivati grazie alle impronte digitali, registrate negli archivi delle forze dell'ordine dopo che l'uomo, arrivato a Bari nel luglio del 2011, aveva fatto domanda di asilo politico.

Il primo agosto di quello stesso anno era stato poi identificato insieme agli immigrati del centro accoglienza che erano fuggiti per bloccare tangenziali e binari in segno di protesta. Arrestato per la rivolta, in carcere a Lecce decide di rubare un televisore in una cella dei suoi vicini e non riuscendoci, lo distrugge. Uscito di prigione il 17 febbraio dell'anno scorso, fa tappa a Foggia dove ha un obbligo di dimora per rapina.

Ricompare a Milano a metà marzo dove viene controllato in viale Monza, davanti a una farmacia. Poi, il buio. Nessuno lo nota a Niguarda, nessuno ne segnala la presenza in altre zone. Kabobo, non ha amici, non ha parenti, è un invisibile, un intoccabile. E impazzisce nella sua solitudine. Fino all'alba di sabato, quando decide di far sapere al mondo della sua esistenza. Distruggendo quella degli altri.

 

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