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Vincere, ma non stravincere. Perché se alle Europee gli crolla Forza Italia, finora il suo vero puntello, per Matteo Renzi sono guai seri. Da un lato, il Pd lo aspetta al varco del 30%, soglia sotto la quale la vecchia guardia del partito si scatenerebbe per fargli pagare con gli interessi tutte le umiliazioni e le lezioncine subite.
Dall'altro, se per il movimento di Berlusconi le urne confermassero realmente i sondaggi disastrosi di questi giorni, è evidente che salterebbe il Renzusconi e ad Arcore impugnerebbero nuovamente l'ascia di guerra.
E' questo il corridoio stretto nel quale va inquadrato lo scontro di questi giorni tra Piero Grasso e Renzie. Uno scontro che è deflagrato alla vigilia della presentazione del disegno di legge del governo sulla riforma del Senato, ma che in realtà è pronto a inabissarsi nuovamente per poi esplodere, con più forza, dopo le elezioni europee del 25-26 maggio.
Il presidente del Senato, palermitano a sangue freddo con stampato in faccia il mitico sorriso dell'arciere di Egina, è un pezzo di sistema e gli dà voce. Se avverte Pittibimbo che in Senato "i numeri non ci sono", difficile che abbia torto.
A Palazzo Madama il quorum è di 161 voti: Italicum e Renzusconi passano solo se i 108 piddini votano compatti con i 67 forzisti. I senatori che ci si può perdere per strada, anche contando gli alfanoidi, sono davvero pochi. E Grasso sa che i renziani, nel Pd, sono solo una cinquantina. Insomma, per il Rottam'attore sarebbe consigliabile scendere a patti.
"Sempre meglio campare che tirare le cuoia", predicava Giulio Andreotti, il cui vero punto di forza, nel mantenimento del potere, era non mettersi mai tutti contro e impedire che i nemici si saldassero tra loro. La vita come un eterno congresso democristiano, insomma. Ma forse non è un caso che Renzie abbia trionfato con le primarie. E il rischio è che l'ex sindaco creda che abolire di fatto il Senato sia come cancellare un consorzio montano dell'Appennino pistoiese.
Il giovane premier ha un bisogno continuo di barriere da saltare, di cancelli da sfondare, di collinette da asfaltare. E ossessionato com'è dal "rischio palude", come lo chiama lui, corre senza sosta. I suoi avversari lo hanno capito e tentano continuamente di alzargli l'asticella. Sperano che prima o poi si schianti.
Lui annuncia un piano di riforme ambizioso e promette 80 euro in busta paga a 10 milioni circa di italiani e il suo partito che fa? Concorre alla ricerca delle coperture finanziarie e discute negli organi del Pd di possibili migliorie? Manco per sogno. I compagni del Nazareno lo mandano avanti e dicono, più o meno a mezza bocca: vediamo se piglia il 30% alle europee.
Perché se non lo piglia, c'è da giurarci, partirà la richiesta di una "maggiore democrazia interna". Come minimo. E come massimo? Come massimo si rischiano l'incidente parlamentare per il governo ed elezioni anticipate con il mezzo Mattarellum rianimato dalla Consulta.
Contro il Rottam'attore, però, non ci sono solo Grasso o il ventre molle del Pd. In realtà l'intervento del presidente del Senato riflette anche alcune perplessità del Colle, che oggi i fogli più renziani davano frettolosamente per appianate con un semplice e continuo invio di bozze da parte della Boschi.
Il problema è che c'è un punto nevralgico, e che non può essere derubricato a mera "resistenza al cambiamento", nel progetto di Renzi sul Senato: l'equilibrio tra i poteri dello Stato. Se si ha in mente un rafforzamento dei poteri del premier, e si commette anche l'imperdonabile errore di annunciare che si vuole ottenere il diritto di revocare i ministri, non lo si può far marciare di pari passo con la fine del bicameralismo perfetto e l'approdo a una sola Camera, per giunta di "nominati" senza preferenze. Il risultato finale rischia di essere assai sbilanciato su Palazzo Chigi e anche un po' pericoloso.
"Non è solo questione di limare le unghie al Quirinale e licenziare i senatori, il problema è che se dopo Renzi tutto questo viene raccolto da Berlusconi, o chi per lui, ci si pentirà amaramente di certe riforme cesariste", spiega sotto garanzia di anonimato un senatore del Pd con lunga esperienza. Del resto, le obiezioni di questo tipo, nei giorni scorsi, erano state fatte arrivare a Renzie. Ma quella fuga in avanti sul potere di revoca dei ministri è stata presa come uno schiaffo in faccia.
Adesso, dopo che Grasso si è fatto carico di far sapere che "così non va", in molti scommettono su una tregua, magari con la scusa di inserire un emendamento sulla parità di genere nell'Italicum che gli stessi senatori renziani hanno auspicato dopo la prova di forza di Montecitorio.
E magari Renzie metterà nel cassetto progetti di ampliamento del potere personale. Poi, la parola passerà alle urne e a quel famoso 30% che il premier deve portare a casa per tutti: per sé, per il governo e per il suo riottoso Pd. Sperando ovviamente che a sua volta Forza Italia galleggi sopra quota venti, soglia sotto la quale rischia di perdere il suo prezioso alleato di pietra.
MATTEO RENZI IN CONFERENZA STAMPA A PALAZZO CHIGI FOTO LAPRESSE MATTEO RENZI IN CONFERENZA STAMPA A PALAZZO CHIGI FOTO LAPRESSE madia e boschi ansa RENZI, BOSCHI,GIULIO ANDREOTTI berlusconi e andreottiPIERO GRASSO SENATO ALFANO E RENZI ed df e fbac d RENZI E ALFANO IN SENATO FOTO LAPRESSE
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