
DAGOREPORT - COSA FRULLAVA NELLA TESTA TIRATA A LUCIDO DI ANDREA ORCEL QUANDO STAMATTINA…
1. CALLIMACHI: “SONO CERTA, L’ITALIA HA PAGATO IL RISCATTO PER GRETA E VANESSA”
Alessio Schiesari per il Fatto Quotidiano
greta e vanessa atterrano a roma gentiloni le accoglie 1
‘’Non conosco le modalità, ma so per certo che il governo italiano ha pagato un riscatto per Greta e Vanessa”. Rukmini Maria Callimachi, giornalista del New York Times e finalista al Premio Pulitzer 2009, è tra le massime esperte internazionali di rapimenti compiuti da gruppi jihadisti. È attraverso il suo lavoro che sappiamo che i governi europei hanno pagato 125 milioni di dollari in riscatti ai rapitori negli ultimi sei anni. E tra i casi che ha analizzato più a fondo ci sono diversi italiani.
Greta Ramelli 21 anni- una dei 6 italiani rapiti
Riscatti ai jihadisti per risolvere i sequestri, è una prassi consolidata?
Cominciamo col dire che il governo italiano ha sempre pagato per i riscatti. Conosco da vicino i casi di Sandra Mariani, e Rossella Urru, entrambe rapita da al Qaeda in Algeria. Nel caso di Mariani gli appoggi locali erano in Burkina Faso, il denaro è stato stanziato dal governo italiano e pagato attraverso mediatori locali.
Greta Ramelli (S) e Vanessa Marzullo
Spesso però questo riscatto è mascherato da aiuto umanitario. Il Paese europeo paga una governo locale o una ong, che poi gira il dovuto ai sequestratori. L’ha fatto anche la Germania nel 2003 in Mali. Si scrive aiuto umanitario, si legge riscatto.
Nel caso di Greta e Vanessa si ipotizzato un riscatto milionario , qualcuno ha scritto 12 milioni di euro, altri sei. Le sembra credibile?
Non so dire come l’Italia abbia “finanziato” la liberazione, ma so per certo che ha pagato. I mediatori dei due casi citati in precedenza me l’hanno confermato.
C’è una divergenza molto forte di strategia tra i Paesi europei da un lato, e Stati Uniti e Regno Unito dall’altro.
Il governo americano è uno dei pochi che ha un atteggiamento “nero o bianco”: in passato non ha dato nulla ai gruppi terroristici. Il prezzo da pagare è che molti ostaggi americani sono stati uccisi. Ma per gli Usa l’unica opzione per risolvere un sequestro è il raid militare.
Questo comportamento diverso può creare problemi ai rapporti bilaterali?
Credo che gli Usa abbiano provato attraverso i canali diplomatici a far capire che non sono felici di questa strategia. D’altro canto, i governi continentali ufficialmente negano sempre i pagamenti perché in qualche modo si vergognano.
Peraltro al summit del G8 a Londra nel 2013 tutti i governi si sono impegnati a non pagare i riscatti. Parlando con i rappresentati Usa ho però capito che per loro quella dei riscatti non è una priorità: ci sono talmente tanti tavoli aperti nei rapporti bilaterali, che non è un tema in cima alle priorità.
Nella sua inchiesta scrive che gli affiliati di al Qaeda nel Maghreb hanno modificato le consuetudini per i sequestri anche nel Medio Oriente. In che modo?
Nel Maghreb i sequestrati sono considerati risorse, per questo vengono trattati bene. In passato per gli ostaggi sia dell’Isis che di al Qaeda questo non avveniva. Prendiamo il caso dell’americano Theo Padnos, per due anni prigioniero di al Nusra: che veniva torturato tutti i giorni. Questo con Greta e Vanessa non è avvenuto, un po’ perché è cambiato l’approccio, e forse anche perché si tratta di due ragazze.
2. L’EX 007: “DATI SOLDI ANCHE CON B.”
Enrico Fierro per “la Repubblica”
‘’La verità è che abbiamo sempre pagato. S.E.M.P.R.E. Te lo dico a caratteri cubitali, così lo capisci e la finiamo qui”. Il signore che ci parla è una vecchia volpe dei servizi con esperienze in quella che definisce “la fogna” mediorientale. L’uomo ha appeso la barba finta al chiodo. “Faccio il pensionato e mi diverto a leggere le stronzate che scrivete voi giornalisti. Tutto si paga in inferni come l’Afghanistan, l’Iraq, la Siria, posti dove la guerra è un business, una industria diffusa, qui paghi tutto, e quando non lo fai allora ti riporti il morto a casa. Lo ricordi Enzo Baldoni?”.
Enzo Baldoni, pubblicitario e giornalista free-lance per la rivista Diario di Enrico Deaglio viene rapito nei pressi di Latifiya, città irachena del triangolo sunnita, il 20 agosto del 2004, il 26 viene ufficializzata la sua morte. “Ecco – ci racconta il nostro uomo – ci sono anche casi in cui non ti danno il tempo di pagare”. E allora, aggiungiamo noi attingendo ai ricordi, scatta l’operazione demolizione della vittima .
l'auto dove viaggiava calipari
Ricordiamo alcuni titoli su Baldoni pubblicati all’epoca da Libero, il quotidiano diretto da Vittorio Feltri che aveva tra le sue firme di punta sull’intelligence Renato Farina, successivamente scoperto in rapporti ottimi con i servizi con il nome di “agente Betulla”: “Vacanze intelligenti”, “Il pacifista col Kalashnikov”. Non solo, ma all’epoca ambienti della nostra intelligence fecero circolare la notizia dell’esistenza di un video dove si vedeva Baldoni lottare con i suoi rapitori, altro materiale utile ad accreditare la tesi di un uomo davvero imprudente.
La verità sulla morte del giornalista non è ancora venuta fuori, ma anche in quel caso, nonostante smentite e depistaggi, una trattativa ci fu, o quantomeno fu avviata. E allora ha ragione il nostro ex 007 che per trattare devi avere tempo, i danari non sono un problema. Tempo e buoni contatti sul territorio. Ma per i quattro contractors rapiti in Iraq in quel 2004, non ci furono trattative, né soldi spesi: Maurizio Agliano, Umberto Cupertino, Salvatore Stefio, i tre sopravvissuti dopo l’uccisione di Fabrizio Quattrocchi, furono liberati dopo un blitz.
iraq fabrizio quattrocchi01 ,mini
“E come fai a individuare una stamberga di Ramadi, città a oltre cento chilometri da Baghdad, dove i tre erano rinchiusi insieme a un polacco (Jerzy Ros, ndr) se non paghi informatori, gole profonde, gente che sta un po’ di qua e un po’ di là?”. L’allora ministro degli Esteri, Franco Frattini, disse che non c’era stata trattativa: “È stata una azione di intelligence e militare senza spargimento di sangue”.
“Beato te – è la replica – e che doveva dire? Darvi il numero del bonifico con l’iban e tutto? Ma per favore, la linea è sempre la stessa, ieri come oggi, con Frattini o con Gentiloni. Negare, negare sempre. Per i tre la trattativa fu lunga, soprattutto dopo l’esecuzione di Quattrocchi (“vi faccio vedere come muore un italiano”, ndr), e con varie concessioni.
Il 14 aprile esce la notizia della morte di Quattrocchi, il giorno dopo c’è l’ultimatum dei rapitori e la minaccia di uccidere un ostaggio ogni 48 ore, il 20 aprile si apre un corridoio umanitario della Cri per Falluja, intanto tutti, ministri, governo e opposizione dichiaravano che con i terroristi non si tratta”.
L’8 giugno la liberazione, rivendicata davanti alle tv di tutto il mondo dagli americani, contrari fermamente a ogni concessione ai rapitori. Il nostro sorride. “So bravi gli americani, ma il merito di quel blitz è tutto dei colleghi polacchi, gente che stava in Iraq dal Novanta, che conosceva tutti, buoni e cattivi, anche loro hanno trattato e pagato per arrivare in quel covo”.
Misteri, strani personaggi che si muovono sul terreno infido di una guerra dove non esistono confini, il ricorso a organizzazioni che hanno conquistato una loro autorevolezza sul campo.
È il caso di Emergency di Gino Strada che viene attivata nel sequestro dei contractors e in quello del giornalista di Repubblica Daniele Mastrogiacomo, il ruolo di Maurizio Scelli, all’epoca commissario della Croce Rossa, successivamente deputato berlusconiano, nella liberazione delle “due Simona”, le volontarie di un “Ponte per…” rapite il 7 settembre del 2004 a Baghdad. Il 28 settembre, e dopo un’altalena di comunicati sulla loro morte, vengono liberate e consegnate nelle mani di Scelli.
Ancora una volta la versione ufficiale fu “nessun riscatto pagato”, ma nel 2006, il britannico Times rivelò che l’Italia aveva pagato 11 milioni di dollari, 5 per la liberazione delle due operatrici di un “Ponte per…”, e 6 per riavere la giornalista del Manifesto Giuliana Sgrena, rapita il 4 febbraio 2005 e liberata il 4 marzo. Nel tragitto verso l’aeroporto, un militare americano sparò ferendo la Sgrena e uccidendo il funzionario del Sismi Nicola Calipari.
corriere daniele mastrogiacomo gino strada
3. CATTAI: PARTIRE FU UNO SBAGLIO MA LO STATO NON PUÒ IMPORRE VETI
Vladimiro Polchi per “la Repubblica”
«Se me lo avessero chiesto, avrei sconsigliato a Vanessa e Greta di partire: nessuno dei nostri volontari oggi è in Siria. Nessuna assicurazione lo coprirebbe. Nei Paesi in guerra, bisogna usare maggiori cautele».
bruno tucci pro daniele mastrogiacomo lap
Gianfranco Cattai, fino al 2013 presidente dell’Aoi (associazione delle ong italiane), oggi è a capo della Focsiv: federazione di 72 organismi di volontariato, attivi in oltre 80 Paesi nel mondo. Per lui, «è giusto che le ong valutino i rischi e non impegnino i propri uomini laddove non ci siano sufficienti margini di sicurezza, ma è sbagliato inserire ora divieti o autorizzazioni da parte di organismi statali».
Secondo lei, le due volontarie italiane hanno sbagliato a partire per la Siria?
«Personalmente gli avrei detto di non andare. Avrei ricordato i casi del giornalista Domenico Quirico e soprattutto di Paolo Dall’Oglio, che era partito per aiutare i civili siriani e di cui si è persa purtroppo ogni traccia».
C’è stata una sottovalutazione del rischio?
«Immagino che le due ragazze avessero valutato la situazione e pensassero di essere sufficientemente protette dai loro contatti in Siria. Forse è mancato un confronto serrato con chi ha una lunga esperienza di cooperazione in situazioni di emergenza ».
Nelle emergenze le regole della cooperazione cambiano?
«Certo e si fanno più restrittive, per non mettere a rischio la vita degli operatori. Noi, per esempio, siamo da tempo in Kurdistan. Operiamo a Erbil, mentre non siamo andati a Kirkuk, perché la valutiamo troppo pericolosa. Per quanto riguarda la Siria, poi, oggi come oggi non manderei nessuno».
Come si fa allora a portare aiuti in questi Paesi?
«Ci sono alternative. In Somalia e Mali, per esempio, lavoriamo solo con operatori locali».
greta e vanessa atterrano a roma 2
Dopo il caso delle due ragazze rapite in Siria, la cooperazione deve ripensare le proprie modalità d’intervento?
«L’attualità di quanto accaduto deve portarci a una riflessione, ma ogni scelta precipitosa è sbagliata. Lo spontaneismo degli interventi deve sposarsi sempre più con la competenza e la conoscenza delle situazioni».
Per il presidente della commissione Difesa del Senato, Nicola Latorre, chi vuole andare in una zona di guerra dovrebbe ottenere il via libera dalle autorità italiane. Insomma, senza l’ok della Farnesina non si parte. Che ne pensa?
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«Attenti a decisioni a caldo. Le ong italiane hanno un know-how spesso superiore a quello del ministero degli Esteri. È giusto agire con prudenza, non compiere gesti da sprovveduti, non andare in alcuni Paesi a rischio, ma siamo contrari a divieti dall’esterno ».
Oggi come sono regolati i vostri rapporti con la Farnesina?
«In base alla legge 49 del 1987 sulla cooperazione internazionale, recentemente rinnovata, le ong sono tenute a segnalare alle ambasciate la loro presenza in un dato Paese. A maggior ragione nelle zone a rischio, le circolari del ministero ci impongono un continuo contatto con la Farnesina. Il ministero può sconsigliare, ma non può vietare».
È giusto pagare un riscatto per salvare la vita di un operatore?
«È un dilemma terribile. Nella mia lunga storia non mi è mai capitato, anche se abbiamo avuto dei martiri tra i nostri volontari. La vita viene sempre al primo posto. Ma certo il non pagamento è il presupposto per restare a operare in un Paese. Una volta che paghi, salvi una vita, ma rendi più pericolosa la permanenza degli altri operatori. Per tutto questo, non bisognerebbe essere incauti nelle partenze».
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